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Vodafone Droni

Perché la temporanea paralisi di Vodafone deve preoccupare. Il commento di Rapetto

C’è chi ha romanticamente parlato di “guasto alle linee”. Per un paio d’ore è emerso il ricordo di qualche malfunzionamento all’alba della telefonia fissa, di qualche problema di una stagione in cui si viveva benissimo anche senza essere connessi al mondo. La temporanea paralisi di Vodafone è un brutto segno dei nostri tempi, un indizio…

C’è chi ha romanticamente parlato di “guasto alle linee”. Per un paio d’ore è emerso il ricordo di qualche malfunzionamento all’alba della telefonia fissa, di qualche problema di una stagione in cui si viveva benissimo anche senza essere connessi al mondo.

La temporanea paralisi di Vodafone è un brutto segno dei nostri tempi, un indizio di vulnerabilità che non dovrebbe sfuggire a chi ha a cuore il futuro. Eppure quel disastro si è rapidamente trasformato in una festa in cui l’utenza – ubriacata con “Giga illimitati in omaggio” – invece di disperarsi si è subito vista ricompensata (e non risarcita, poco importa) per il disagio patito.

Il grave disservizio ha scosso gli addetti ai lavori, indecisi se scoprire cosa sia effettivamente successo o se trovar la radice del problema in uno scenario di guerra invisibile.
Gli effetti sono stati evidenti, le cause un po’ meno.

Il popolo perennemente online ha provato il brivido di una asfissia telematica, sentendosi mancare l’aria e perdendo i sensi nell’odierno contesto in cui si è vivi solo se connessi alla Rete. Il non dar peso all’accaduto, atteggiamento che molti hanno filosoficamente adottato, è stata una reazione “zen” che non è figlia di maturità e cultura ma è la diretta discendente della più profonda inconsapevolezza.

Chi ha alzato le spalle, e magari ha gioito per il poter stare finalmente due ore in santa pace, non si è reso conto che l’interruzione delle comunicazioni equivale al blocco di ogni attività “network-dependent” ovvero vincolata dalla sussistenza di un collegamento digitale.

Siamo un Paese in cui nel 2003 abbiamo vissuto un allucinante e interminabile black-out elettrico e ci si è fatti sedare dalla fantasiosa attribuzione del problema alla caduta di un albero in Svizzera. Siccome si è sopravvissuti a catastrofi di quel genere, tanta gente ha cominciato a credere che “tutto passa”, Non il “panta rei”, ma il banale “prima o poi tutto va a posto” che manifesta uno sconsolato fatalismo.

Mentre c’è chi parla di 5G e di incredibili performance, ieri chi aveva il disperato bisogno di comunicare si è trovato dinanzi al muro dell’isolamento assoluto. Non consola il fatto che la situazione sia tornata alla normalità dopo un paio d’ore. Non respirare a lungo, oltre i limiti della più sbalorditiva apnea, porta a conseguenze estreme.

Ieri il nostro vivere cibernetico ha provato un terribile soffocamento e le analisi tecniche stabiliranno cosa abbia determinato una simile interruzione del nostro ciclo biologico ormai indissolubilmente legato alla regolare funzionamento dei dispositivi elettronici.

L’azienda che è stata trafitta non è un qualunque operatore telefonico, ma un colosso che a livello continentale vanta una supremazia indiscussa. A ben guardare è anche quella realtà la cui “filiale” italiana è all’origine di una serie di rivelazioni in ordine alla inaffidabilità di determinati apparati tecnologici di un produttore cinese, universalmente sospettato di spiare le comunicazioni a giro d’orizzonte e di compromettere la sicurezza nazionale in ogni angolo del mondo.

Senza troppi giri di parole, Vodafone Italia è quella legata al dossier che puntava il dito contro Huawei, carte che non sono certo piaciute né al leader degli strumenti di telecomunicazioni di Shenzen né al governo di Pechino.

Il problema – l’ho detto e ripetuto fino alla nausea e non mi stancherò di ribadirlo – non è soltanto quello di trovarsi “nudi” dinanzi alla grandi orecchie cinesi capaci di ascoltare e memorizzare telefonate, messaggi e quant’altro.

Il dramma è che chi produce determinati “giocattoli” è in grado di controllarli da remoto. La possibilità di eseguire la diagnostica a distanza si tramuta nell’opportunità di lavorare su “macchine” che – dislocate ovunque – riconoscono la “voce del padrone” e non hanno nessuna ritrosia ad eseguire i comandi che eventualmente vengono impartiti.

Voglio augurarmi (spes ultima dea) che ieri non ci siano state interferenze di sorta, ma ho nitida coscienza che un fornitore messo al bando sia disposto a giocare qualunque carta – anche non convenzionale – per rivalersi.

Il discorso è lungo, ma – quel che è peggio – non importa quasi a nessuno. La cybersecurity è l’etimo di grande richiamo da appiccicare al titolo di qualunque convegno o workshop, è l’occasione per fare chiacchiere da bar dando l’impressione di essere aggiornati e dotti, è l’ingrediente di qualunque budget per etichettare spese che non verranno sostenute o finiranno sciupate.

La cybersecurity è tutto, fuorché una questione seria da risolvere.

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