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Tempest

Leonardo-Finmeccanica, tutti i costi dell’indecisione del governo sul caccia di sesta generazione

Conversazione di Start Magazine con Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dello Iai e co-autore del report "Il futuro velivolo da combattimento e l’Europa"

I dibattuti F35 sono storia “vecchia”. Alla ribalta ci sono i successivi caccia di sesta generazione. Nelle ultime settimane think tank, addetti ai lavori e aziende del settore (a partire da Leonardo-Finmeccanica) stanno chiedendo più o meno esplicitamente al governo gialloverde di decidere sulla prossima generazione di velivoli da combattimento, chiamati anche Future Combat Air System (Fcas). In Europa la scelta è infatti tra il progetto made in Uk, Tempest (al quale partecipa il ramo britannico di Leonardo-Finmeccanica), e quello franco-tedesco a cui si è aggiunta a febbraio la Spagna.

Ma che cosa c’è in ballo? Quanti anni ci vogliono per implementare i nuovi caccia? E quante risorse sono necessarie? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dello Iai e co-autore del report “Il futuro velivolo da combattimento e l’Europa” con Michele Nones.

GRAN BRETAGNA, FRANCIA, GERMANIA E SPAGNA GIÀ ORGANIZZATI

Intorno al 2040, 96 Eurofighter dell’Aeronautica militare andranno in pensione e si deve decidere adesso con quale velivoli sostituirli. “Come per le grandi infrastrutture, si tratta di fare investimenti pluridecennali in sistemi che poi rimangano in servizio per decenni. Non sono attivabili dall’oggi al domani. In questi mesi la scelta del caccia di 6 generazione è tornata alla ribalta perché Francia e Germania hanno accelerato sulla cooperazione bi-laterale per posizionarsi in questo settore strategico e anche la Gran Bretagna nel 2018 ha lanciato un suo progetto da 2 miliardi di sterline di ricerca tecnologica e sta cercando dei partner per formare un’alleanza entro la fine del 2019”, spiega Marrone a Start Magazine. Al progetto franco-tedesco si è unita poi la Spagna a febbraio. Dunque negli ultimi 12 mesi Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna si sono mossi: l’unico Paese che non si è ancora mosso formalmente è l’Italia.

PROGRAMMI VENTENNALI

Basti pensare che “gli Eurofighter attualmente in servizio e che andranno in pensione nel 2040 si è iniziato a progettarli nel 1981 e sono stati consegnati a fine anni ’90. Quindi ci vogliono 20 anni da quando si mette in cantiere quel tipo di aeroplano a quando entra in servizio – dice Marrone – Lo stesso è avvenuto con il cacciabombardiere di quinta generazione F-35, messo in cantiere nei primi anni ’90 e che è entrato in servizio nell’ultimo decennio”.  In virtù di queste tempistiche va deciso in questo momento se sostituire l’Eurofighter con il Tempest a trazione britannica o con il velivolo franco-tedesco.

I PAESI CHE PREMONO SULL’ACCELERATORE

In realtà non ci sono scadenze da rispettare, piuttosto “i tempi da rispettare sono dettati dall’opportunità politica”.  Come ricorda il responsabile del Programma Difesa dello Iai, “la Gran Bretagna a luglio 2018 ha detto che entro luglio 2019 avrebbe voluto fare una ricognizione dei possibili partner ed entro dicembre 2019 chiudere il consorzio. Vero è che questi tempi sono poi assoggettati dalla decisione politica. Ma la Svezia sta negoziando con la Gran Bretagna, pertanto prima dell’estate potrebbe annunciare la partnership per la realizzazione del Tempest spingendo sull’acceleratore. Stessa spinta in avanti avvenuta sul versante franco-tedesco con l’ingresso della Spagna. Non c’è una tabella rigida da rispettare ma c’è un’accelerazione da parte di chi guida questi progetti: da una parte Francia e Germania e dall’altra la Gran Bretagna”.

LA POSIZIONE DELL’AM

Se da una parte l’attenzione politica e il dibattito mediatico è spostato su tutti altri temi, a livello istituzionale e delle forze armate c’è una riflessione su quali siano le opzioni migliori per equipaggiare l’Aeronautica e l’aviazione della Marina Militare. Non a caso, la scorsa settimana il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Gen. Alberto Rosso, ha rilasciato alla Rivista Italiana Difesa un’intervista in cui ha evidenziato l’importanza per l’Aeronautica e per l’intero comparto aerospaziale italiano di partecipare all’impresa del nuovo caccia europeo; se optare per il programma Tempest britannico (dove è già presente Leonardo con la sua divisione britannica) o per il programma franco-tedesco Dassault-Airbus è questione di ordine politico sulla base dei requisiti dell’AM. Per Marrone si tratta di vedere se il livello politico prenderà atto e sarà consapevole della necessità di fare un investimento lungimirante i cui frutti non ci saranno nei prossimi mesi ma nei prossimi decenni come fu fatto per l’Eurofighter e per l’f-35.

E QUELLA DLL’ESECUTIVO

Durante il salone di Farnborough dell’anno scorso, il ministro Trenta ha firmato una dichiarazione di intenti con il suo corrispettivo britannico che rappresenta “un passo importante politico militare su cooperazioni future ma non si tratta di un impegno particolare su questo programma di procurement”. Di tutt’altro significato è stata invece la dichiarazione pubblica dello scorso settembre del sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo (M5S) riguardo il Tempest: “È doveroso per l’Italia mettersi in prima linea”. Marrone fa notare che “in un comunicato stampa ufficiale del governo spagnolo dello scorso dicembre in cui si esprimeva interesse per il progetto franco-tedesco si riportava anche che l’Italia era interessata al progetto britannico. Evidentemente qualcosa si sta muovendo”.

QUANTO PESA IL COINVOLGIMENTO BRITANNICO DI LEONARDO-FINMECCANICA?

“La decisione va presa guardando le esigenze delle forze armate italiane. L’Italia come altri paesi industrializzati ha cercato di mantenere la capacità interna a livello nazionale di sviluppare, produrre manutenere e aggiornare questi sistemi e tecnologie per non dover dipendere, in caso di crisi, da forniture straniere”, spiega il responsabile del Programma Difesa dello Iai. E tutto ciò per paesi di medie dimensioni come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e l’Italia, che non sono gli Stati Uniti è possibile solo cooperando. La propensione al progetto britannico deriva anche da una consolidata prassi di cooperazione industriale con l’industria britannica nel settore aereo e elicotteristico, dell’elettronica e della radaristica. Mentre nel settore spaziale  o in quello marittimo l’industria italiana è più connessa a quella francese per esempio. “L’elemento politico-industriale è da tenere in considerazione, visto che Leonardo ha già un’importante presenza industriale in Gran Bretagna”. Se i due governi concordassero su un progetto congiunto “per l’industria italiana ci sarebbe un effetto massa perché sarebbe una presenza sul mercato sia italiano si britannico e ci sarebbe un maggiore ritorno tecnologico e industriale”. Senza contare le eventuali ricadute, commissioni anche per le industri italiane, non solo quelle grandi come Leonardo e Avio per la parte motoristica, ma anche le piccole medie imprese dell’indotto.

E IL FONDO EUROPEO DI DIFESA

Rispetto inoltre al Fondo europeo di Difesa, per la parte di ricerca tecnologica consiste in 3,9 miliardi per il 2021-2027 evidenzia Marrone e la scelta britannica non esclude a priori la possibilità di accedervi. “Di questi solo una piccola parte potrebbe andare a progetti che sviluppino tecnologie e componenti per il veicolo di prossima generazione. Stiamo parlando cioè di alcune centinaia di milioni di euro, non sono tanti ma nemmeno pochi. Questo cofinanziamento viene dato a consorzi formati almeno da 3 aziende di 3 paesi membri. Francia, Germania e Spagna hanno già tutte le carte in regola per accedervi essendo paesi Ue. Tuttavia, se nel consorzio a guida britannica, Olanda, Svezia e Italia facessero domanda di finanziamento per lo sviluppo di tecnologie per il caccia potrebbero accedervi anche in caso di Brexit”. In quel caso la Gran Bretagna farebbe parte di consorzio finanziato dall’Ue rispettando la regola del minimo di 3 paesi membri. “È più difficile ma non è impossibile”.

LE RISORSE NECESSARIE

Per quanto riguardo il costo del caccia di sesta generazione, “è ancora da capire, dipende tutto dai requisiti. Per il momento l’investimento in tecnologie, nei materiali, nelle componenti nei radar, cyber, non sono così elevati perché si tratta di uno sviluppo tecnologico assolutamente compatibile con il bilancio della difesa tanto più se si razionalizzassero le inefficienze e le spese del personale e infrastrutture”, puntualizza Marrone. Una volta sviluppate le tecnologie, andrà messa a sistema la piattaforma e andranno acquistati i velivoli. “È un costo sostenibile, scaglionato nei decenni così come lo è stato acquistare gli Eurofighter e gli fF-35. Il bilancio della Difesa è fatto per acquisizioni di lungo periodo se c’è stabilità e pianificazione e se si razionalizza la spesa”.

UNA PRECISAZIONE SUGLI F-35

Per quanto riguarda l’avviato dibattito sul numero di f-35 da acquistare, l’esperto dello Iai precisa che “gli F-35 servono per sostituire 246 velivoli tra Tornado, Amx e Av 8B che sono stati costruiti negli anni 60 e 70 ormai obsoleti. Se ne sostituiscono 246 con 91 aerei per un rapporto di circa 1 a 3. 91 è già un numero ridotto rispetto ai 131 preventivati all’inizio. Meno di così non si può fare a meno che non si voglia rinunciare all’Aeronautica e all’aviazione da usare nella portaerei della Marina”. Proprio per questo motivo strutturale tutti i governi sia di centro destra sia di centro sinistra hanno mantenuto il programma cercando al tempo stesso di far sì che i velivoli fossero prodotti in Italia per un ritorno industriale tecnologico. “A questo ritmo di acquisizione, meno di 10 velivoli l’anno, il programma è compatibile con il bilancio della Difesa”.

LE CONSEGUENZE DI UNA NON DECISIONE

Se l’Italia continua a temporeggiare, rischia di rimanere esclusa da entrambi i consorzi subendone tutte le conseguenze, sia a livello strategico sia industriale. “Mentre gli Eurofighter e i Tornado sono stati disegnati per rispondere alle esigenze italiane, per gli F-35 c’è stata una partecipazione e sicuramente rispondono anche alle esigenze italiane: tra 20 anni ci troveremo nella situazione di dover rinnovare il parco macchine, ma se ci auto-escludiamo dai consorzi che sviluppano quei sistemi, dovremo semplicemente comprarli”. Marrone non ha dubbi: “L’alternativa è rinunciare all’Aeronautica o comprare dei velivoli sviluppati e prodotti dagli altri. In questo caso il budget della Difesa verrebbe comunque speso ma i benefici economici andrebbero soltanto alle aziende straniere. Ci sarebbe un costo senza nessun beneficio di tipo industriale ed occupazionale”.

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