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Direttiva Copyright

La riforma Ue del copyright? Danneggerà le start up. Parla il prof. Zanero (Politecnico Milano)

“Chi ci perde? Le startup, le piccole e medie imprese europee e i cittadini. Tutti coloro che (teoricamente!) dovrebbero essere rappresentati dal Parlamento Europeo”. Parola di Stefano Zanero, professore associato del dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria al Politecnico di Milano. Zanero è l’unico italiano fra i 70 esperti di Internet che hanno firmato una lettera aperta…

“Chi ci perde? Le startup, le piccole e medie imprese europee e i cittadini. Tutti coloro che (teoricamente!) dovrebbero essere rappresentati dal Parlamento Europeo”.

Parola di Stefano Zanero, professore associato del dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria al Politecnico di Milano.

Zanero è l’unico italiano fra i 70 esperti di Internet che hanno firmato una lettera aperta al presidente del Parlamento dell’Unione europea Antonio Tajani: si «compie – scrivono i 70 esperti e accademici – un passo senza precedenti verso la trasformazione di Internet da piattaforma aperta per condividere e innovare a strumento per la sorveglianza e il controllo automatico degli utenti».

Professore, come è nato l’appello? E perché l’ha firmato?

L’appello è stato scritto da vari autori sotto l’egida della EFF (la Electronic Frontier Foundation, benemerita associazione statunitense che si occupa di difendere le libertà digitali). Condividendo lo spirito ed ogni parola della lettera aperta, ho deciso di sottoscriverla quando gli amici della EFF me l’hanno chiesto.

Quindi non è necessaria una riforma del diritto d’autore?

La questione che la lettera affronta non è il diritto d’autore in sé (su cui potremmo disquisire a lungo). Anzi, la lettera inizia mettendo subito in chiaro che in quanto creatori ed autori di software e altri contenuti protetti dal diritto d’autore, siamo sensibili alla tematica.

Allora che cosa contestate?

Ciò che contestiamo radicalmente sono due dei metodi che sono stati inseriti in questa specifica riforma, in quanto insensati e pericolosi.

Veniamo ai 2 articoli più rilevanti. L’articolo 11, “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale”, prevede l’introduzione di una link tax, ossia una tassa sui link, dicono i critici. I diritti di copyright verrebbero estesi così agli snippet, ossia le anteprime degli articoli composte da titolo, immagine e sommario create automaticamente dai social network e dagli aggregatori di notizie quando pubblicano un link. E’ davvero un beneficio per gli editori?

Partiamo dal presupposto che il concetto di “link” è alla base del funzionamento del web, che è poi l’unica parte di Internet che molte persone conoscono. Questo articolo va incontro a una posizione spesso esposta dagli editori di giornali che è da un lato pericolosa (perché i meccanismi di riscossione renderanno complicato l’uso dei link nei propri contenuti, a meno che essi vengano pubblicati su grandi piattaforme che gestiscono direttamente questo “costo”), e dall’altro assurdamente controproducente: gran parte del traffico verso i giornali online oggi viene generato proprio dai contenuti pubblicati sui social network! Infatti, nei paesi dove iniziative simili sono già state sperimentate, c’è stata un’immediata marcia indietro degli editori.

In base all’art 13, i siti web dovranno adottare misure “appropriate” per impedire che il materiale protetto da copyright appaia sulla loro piattaforma. In molti sostengono che la maggior parte delle piattaforme minori non potranno permettersi sistemi di controllo adeguati e ne potrebbe conseguire una limitazione alla limitazione alla libertà di espressione. Cosa ne pensa?

Sicuramente quest’obbligo, se mantenuto, creerebbe enormi danni alle piattaforme minori: pensi che solo l’accesso a un database come AudibleMagic o simili costa decine di migliaia di euro al mese a livello d’ingresso. In altre parole, l’Unione Europea sta sabotando le sue stesse startup a favore dei giganti del web (al contrario di tutte le chiacchiere). E questo è solo il macroscopico e immediato danno economico.

Ci sono altri tipi di danni secondo lei?

I danni fondamentali di questa norma sono non economici: filtri automatici limiteranno la libertà d’espressione, trasformeranno il copyright in un filtro preventivo di tipo censorio, creeranno enormi problemi per sistemi come Wikipedia, per i portali di collaborazione sul codice sorgente. Il tutto per imporre un tipo di controllo che sappiamo già essere inefficace.

Allora chiariamo: chi favorisce e chi sfavorisce secondo lei la normativa in fieri?

L’articolo 11 non favorisce proprio nessuno: crea dei danni (micro) alle piattaforme, crea fastidi agli utenti, crea enormi ostacoli tecnologici alle start up, e creerà anche danni incommensurabili agli editori. Mi viene da citare il compianto maestro Giancarlo Livraghi (uno dei primi a occuparsi di libertà digitali in rete in Italia, con la sua ALCEI) e il suo libro sul “potere della stupidità”: chi fa danno agli altri per averne un vantaggio è malvagio; chi invece danneggia gli altri e se stesso, è stupido. Ed è molto meglio trattare con i malvagi che con gli stupidi: uno può trovare un compromesso, a volte.

E l’articolo 13 chi favorisce?

L’articolo 13 regala ai produttori di contenuti ciò che hanno cercato per anni di ottenere per le vie legali (senza riuscirci), ovvero di considerare le piattaforme che ospitano UGC (contenuti generati dagli utenti) come responsabili del filtraggio preventivo, anziché come “puri trasmettitori” di informazione come sono considerati gli ISP (service provider). E’ evidente che per questi rappresenta una “vittoria”. Tuttavia, se si considera che la norma sostanzialmente impone qualcosa di vicino allo status quo dei meccanismi di protezione da copia implementati, ad esempio, da YouTube, proprio non si comprende come questo possa rappresentare una soluzione al problema del cosiddetto value gap.

E’ vero che le grandi piattaforme come Google e Facebook con l’attuale impostazione sono di fatto soddisfatte?

Soddisfatte non direi, ma sicuramente sono sostanzialmente già vicine a rispondere a ciò che la normativa chiede (o almeno così pare: ma sono
certo che riapriremo una lunga stagione di contenzioso nella quale i fornitori di contenuti cercheranno di ampliare i limiti della norma il più possibile).

E allora chi ci perde?

E’ chiaro: le startup, le piccole e medie imprese europee e i cittadini. Tutti coloro che (teoricamente!) dovrebbero essere rappresentati dal Parlamento Europeo.

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