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Internet delle cose: nel mirino finiscono le pompe di benzina. L’articolo di Rapetto

In vetta alla top ten degli “oggetti del desiderio” per i pirati informatici sono finite le pompe di benzina. L'articolo di Umberto Rapetto

 

L’entusiasmante “Internet delle cose” comincia a far sentire un retrogusto sgradevole. Se ancora la cronaca non vanta un vasto numero di episodi in grado di destare un allarme endemico, il fermento nei sotterranei della Rete si fa sempre più tumultuoso.

I dispositivi connessi alla Rete della rete e i gangli di interconnessione telematica hanno conquistato il podio dei bersagli preferiti dai malintenzionati e la loro conquista pare sia di estrema praticabilità: roba da pochi minuti e operazioni alla portata anche di dilettanti delle tecniche di hacking. Il target di spicco è ancora quello dai “router” che costituiscono il crocevia di questi affollati collegamenti, ma chiacchiere e discussioni nei tanti forum digitali underground si concentrano sulle aree di servizio e sui distributori di carburante connessi a Internet.

Nella stagione in cui il pedale dell’acceleratore dell’automazione viene spinto a tavoletta e durante la quale si cerca la semplificazione degli obblighi burocratici e fiscali incombenti sul mondo commerciale (si pensi banalmente alla fatturazione elettronica del “pieno” dell’auto aziendale), si innestano i tentativi più bizzarri di interferenza nel quotidiano quieto vivere.

E così in vetta alla top ten degli “oggetti del desiderio” per i pirati informatici sono finite le pompe di benzina. Girovagando nel deep web – e recentemente i ricercatori di Trend Micro hanno fatto una ricognizione particolarmente dettagliata – ci si accorge che c’è poco da stare tranquilli. La paziente opera di scandaglio (effettuata in contenuti pubblicati in cinque lingue diverse, russo, inglese, arabo, spagnolo e portoghese) ha portato alla redazione del report “Internet of Things in the Cybercrime Underground”, documento che offre una nitida prospettiva sui pericoli incombenti e che può essere considerato una specie di efficace previsione meteorologica su acquazzoni e uragani virtuali prossimi a manifestarsi.

Il tema degli impianti di rifornimento di carburante risulta di particolare attualità nelle invisibili discussioni telematiche in lingua portoghese. Chi corre a pensare a futuribili briganti a Lisbona (terra promessa per i pensionati italiani e non per free-climber dell’hackeraggio) deve ricordare che quell’idioma viene parlato anche altrove e che il Brasile è una tra le realtà maggiormente “vivaci” in tema di sofisticata pirateria informatica.

I forum negli strati inferiori di Internet non si limitano a scambi di chiacchiere, ma veicolano anche contenuti tecnici (spesso sottratti a chi produce pompe di carburante) e “tutorial” video che illustrano le vulnerabilità che permettono l’esecuzione di attività illecite.

Se il passaggio dalla teoria alla pratica non è ancora avvenuto non lo si deve certo ad esitazione o timidezza dei bricconi del terzo millennio: l’atmosfera di stand-by lascia, infatti, trasparire l’intenzione di pianificare minuziosamente la monetizzazione delle falle che sono state scoperte o su cui i banditi stanno lavorando.

Le dinamiche sono, ormai lo si sa, sempre le stesse. Prima di dar luogo ad operazioni criminali “spot” o di avviare vere e proprie campagne di guerra, si tentano le vie “diplomatiche” dell’estorsione al fabbricante di questo o quel dispositivo. La vendita della soluzione o della modifica da apportare viene ritenuta dagli hacker una attività eticamente tollerabile e senza dubbio comunque remunerativa. Se l’azienda non dovesse accettare le condizioni proposte, i “birbaccioni” prima danno una piccola dimostrazione con un assaggio delle loro potenzialità. Nel caso la “degustazione” non convinca le imprese, scatta il piano B e le conseguenze sono facilmente immaginabili. Dall’alterazione di quantitativi e importi fino ad arrivare al blocco dell’erogazione, le malvagità in cantiere potrebbero riservare sorprese memorabili.

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