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Rapetto Umberto Gen Finanza

Huawei e 5G, che cosa succede in Italia, Francia e Germania? L’analisi di Rapetto

Fatti e approfondimenti su Huawei e non solo nell'analisi di Umberto Rapetto

 

Cybersecurity, cybercrimine e cyberspionaggio al centro dell’ultimo DataRoom di Milena Gabanelli e Fabio Savelli per il Corriere della Sera incentrato sui rischi legati alla tecnologia 5G. A rispondere alle domande dei giornalisti e dei lettori un esperto del settore, Umberto Rapetto, generale (ris.) della Guardia di Finanza, già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche.

LA LEVATA DI SCUDI DI HUAWEI

“Ospite” virtuale inatteso Fabrizio Cortesi, Director, Policy and Strategy, Public Affairs and Communications presso Huawei. Proprio Huawei, del resto, è al centro della nota querelle tra Stati Uniti e Cina sullo sviluppo del 5G (per ulteriori approfondimenti vi rimandiamo a: Che cosa combina l’Europa nella guerra Usa-Cina su Huawei?). Cortesi, intervenuto per email, ha voluto precisare che “con il 5G lo standard di sicurezza è così elevato che nemmeno un computer quantistico riuscirebbe a decifrarlo” ricordando inoltre che “le chiavi di sicurezza non le ha il cinese di turno ma gli operatori di rete” e le vere “backdoor sono semmai rappresentate dalle applicazioni installate nei nostri smartphone”.

LA REPLICA DI RAPETTO

Alla levata di scudi di Huawei, Rapetto (leggi anche: 5G, intercettazioni a rischio o rischio-chiacchiere? Il commento di Rapetto) ha replicato ricordando che “il problema non è solo l’impenetrabilità del sistema, ma che le informazioni sono gestite da device per essere accumulate in archivi elettronici così da permettere all’IA di maturare esperienza, venendo decodificate”. “Sta dunque alla correttezza di chi detiene le chiavi di questi archivi – ha fatto notare il generale delle Fiamme Gialle – non farne un uso improprio”.

SI PUO’ FARE A MENO DI HUAWEI?

Ma è davvero così facile mettere i cinesi alla porta? Del resto, come ha evidenziato Rapetto, “nel nostro Paese non si producono più apparati di quel genere. Il mercato prima era in mano ai statunitensi con Cisco, ora sono preponderanti Zte e Huawei. Noi abbiamo abdicato a quel mercato”. “Nel caso abbiano ragione gli americani a non fidarsi della Cina – si chiede retoricamente l’ex comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche – dobbiamo trovare altre macchine. E siamo sicuri che queste, se esistono, siano affidabili come ci aspettiamo?”.

IL SILENZIO ITALIANO

Le insidie sono a dir poco numerose, superate forse solo dalle incognite. Dato che si naviga a vista, ancora una volta l’Europa si muove a macchia di leopardo: ogni Paese sta affidando le proprie scelte strategiche sul tema a comitati e commissioni. “Il MISE – bacchetta Rapetto – ha un centro di valutazione che dovrebbe sovrintendere a tutto ciò, sarebbe tenuto a dire quando ci si può fidare o meno di questo silenzio, ma c’è solo silenzio. Nulla viene detto da questa realtà istituzionale”. Invece, “in Inghilterra Huawei ha aperto un centro con il corrispettivo della NSA britannica, ma non pare assicurare la trasparenza promessa. In Germania c’è un organismo di intercapedine tra sviluppo economico e servizi segreti”.

PER DORMIRE TRANQUILLI OCCORRE ESSERE PROPRIETARI DELLA RETE?

Insomma, per essere sicuri dobbiamo necessariamente possedere le strade del futuro lungo le quali transiteranno tutti questi preziosissimi dati? Per Rapetto sarebbe auspicabile “un disegno organico di carattere nazionale dove l’Italia prende consapevole del ruolo strategico delle telecomunicazioni”. “Quindi fare un inventario degli strumenti acquistati nel tempo per capire quali potrebbero rappresentare il punto debole del sistema”. Auspicabile anche per il generale “l’istituzione di una autorità in materia”.

I RISCHI CHE CORRONO LE SMARTCITY

Apocalittici gli scenari che si aprono relativamente alla possibilità che un hacker (non il solito lupo solitario, più facilmente i servizi segreti) penetri nel sistema “bucandolo” e, attraverso i router, finisca per controllare intere smart city, sfruttando l’interconnessione dei servizi più disparati, pubblici e privati. “L’hacker di turno – paventa Rapetto – potrebbe generare blackout, colpire il sistema delle telecomunicazioni che oggi sono vitali, assestare un duro colpo ai trasporti e persino al mondo finanziario, saccheggiare dati sensibili come quelli relativi ai database della sanità”.

LO SCENARIO DI RAPETTO

Insomma, ipotesi così estreme da sembrare orwelliane, capaci di stuzzicare non solo la fantasia di scrittori e registi (Rapetto cita la recente pellicola Die Hard 4.0) ma anche di sviluppatori di videogiochi. La software house francese Ubisoft ha creato una serie di successo, Watch Dogs, che permette al giocatore di impersonare hacker provetti che lottano contro il “sistema” penetrando proprio nel cervellone che gestisce futuribili metropoli, così da accedere alla videosorveglianza privata, gestire a piacimento semafori e linee metropolitane, rubare soldi dalle banche e coprendo le proprie malefatte con identità virtuali sottratte a ignari malcapitati. Oggi tutto ciò è fantascienza, domani però potrebbe essere vero. Forse proprio per questo bisognerebbe muoversi per tempo.

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