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Perché Google gongola su privacy e diritto all’oblio

Google non è obbligato a garantire il "diritto all'oblio" agli utenti al di fuori dell'Unione europea. È il parere di un avvocato della Corte di Giustizia europea

Diritto all’oblio sì ma con limite ai confini dell’Unione europea. È questo il parere di un avvocato della Corte di Giustizia europea secondo cui Google e gli altri motori di ricerca non dovrebbero essere costretti ad applicare le severe leggi europee sulla privacy in altre parti del mondo.

La raccomandazione, se seguita da sentenza della Corte di giustizia, sarebbe una grande vittoria per Google, che da tre anni sta combattendo un ordine del regolatore della privacy francese per applicare il principio dell’Ue a livello globale.

DIRITTO ALL’OBLIO

La Corte di giustizia europea ha stabilito il “diritto all’oblio” in una sentenza del 2014 relativa a un reclamo di un cittadino spagnolo contro il materiale a lui collegato nelle ricerche su Google. In questo modo la corte europea è intervenuta in difesa del diritto dell’utente a “essere dimenticato dalla rete”. Il diritto all’oblio è oggi sancito espressamente anche dal Regolamento europeo sui dati personali (Gdpr) all’articolo 17 entrato in vigore lo scorso 25 maggio.

Ad esempio, un individuo può chiedere a Google di rimuovere i collegamenti, incluse le informazioni personali di contatto. Cnbc riporta che dal 2014, Google ha ricevuto quasi 3 milioni di richieste per “rimuovere” gli indirizzi Web dagli utenti di tutta Europa.

LA DISPUTA CON IL REGOLATORE FRANCESE

La questione è sorta dalla lunga battaglia tra il motore di ricerca di Moutain View e la Commission nationale de l’informatique et des libertes (Cnil), l’autorità regolatrice della privacy francese. Nel 2016 Cnil ha multato Google 100.000 euro per non aver rimosso i link di ricerca da tutte le versioni del suo sito. Il regolatore francese insiste sul fatto che il delisting globale è l’unico modo per garantire che le persone nell’Ue siano davvero “rimosse” dal web. Gli utenti potrebbero ancora trovare un link che è stato rimosso su google.fr – la versione francese di Google – se fosse ancora presente su google.com. Sul caso è stato chiamata in causa la più alta corte europea.

A FAVORE DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

Nell’opinione non vincolante di giovedì, Maciej Szpunar, un avvocato generale per la Corte, ha sostenuto che se l’Ue avesse ordinato la rimozione di contenuti da siti web visitati al di fuori dell’Ue, si rischierebbe che altre giurisdizioni usino le proprie leggi per bloccare l’accesso alle informazioni all’interno dell’Ue .

“Esiste il rischio reale di ridurre la libertà di espressione al minimo comune denominatore in Europa e nel mondo”, ha scritto Szpunar.

NON È DETTA L’ULTIMA PAROLA

Come dicevamo, si tratta di un parere non vincolante, si attende ora la decisione finale prevista nei prossimi mesi dal tribunale, che non è obbligato a seguire le dichiarazioni di un avvocato generale. Dopodiché, nessun ulteriore ricorso è ammissibile all’interno dell’Ue.

Sostenuto da una schiera di sostenitori della libertà di espressione, il colosso tecnologico guidato da Sundar Pichai ha affermato che l’estensione della portata territoriale del diritto all’oblio violerebbe la sovranità degli altri paesi e incoraggerebbe regimi autoritari ad affermare il controllo sui contenuti pubblicati oltre i confini dei propri paesi.

“Questo è un caso davvero importante che mette in discussione due diritti fondamentali: quello alla privacy contro la libertà di espressione. Il caso evidenzia il continuo conflitto tra le leggi nazionali e Internet, che non rispetta i confini nazionali” ha commentato al Guardian un avvocato dello studio legale Linklaters di Londra. “La Corte di Giustizia non è tenuta a seguire questa opinione, ma sembra molto probabile che lo farà in questo caso” ha concluso.

 

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