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Sundar Pichai

Google, il report sul Coronavirus, l’utilità per gli Stati e 5 domande da utenti

 Google ha messo in chiaro gli spostamenti di 131 Paesi colpiti dal Coronavirus, compresa l'Italia. Fatti, numeri e domande

Google non è mai andata troppo d’accordo con la privacy. Gmail, per esempio, è stata in più occasioni accusata di offrire la possibilità di leggere e-mail private senza il consenso dei legittimi proprietari (l’ultima volta l’accusa arrivò dal Wall Street Journal, secondo cui l’accesso fu persino concesso a due app di terze parti, Return Path e Edison Software). Poi ci sono le ben note vicende legate agli assistenti virtuali. Tim Verheyden, giornalista della Vrt Nws, la scorsa estate spiegò al WSJ di avere avuto accesso a oltre mille frammenti di file audio che un contractor di Google aveva trascritto. In diversi casi erano state registrate anche conversazioni senza che vi fosse una interazione con l’utente. Insomma, origliate. E a Google non restò altro che ammettere che era proprio così.

L’IMPORTANZA DEI DATI

In questo periodo storico, i dati valgono più dell’oro e del petrolio. E Google è un immenso raccoglitore di dati. La gratuità apparente delle sue applicazioni è ripagata in maniera più o meno inconsapevole dagli utenti che, usando i suoi software per fare acquisti, trovare numeri civici cittadini, effettuare ricerche, permettono al colosso statunitense una profilazione completa. È come se ciascuno di noi lasciasse dietro di sé una lunga fila di briciole di pane. Più che briciole sono tasselli di un puzzle che, da soli, vogliono dire ben poco ma, raccolti pazientemente dagli algoritmi, ricreano la mappatura completa degli spostamenti, degli interessi, degli hobby e persino di dati molto sensibili come lo stato di salute, l’orientamento politico, il credo religioso e, perché no, pure i gusti sessuali. Google ci conosce insomma meglio di un parente, di un amico o del proprio coniuge. E ormai non lo nasconde nemmeno più.

ALCUNI DATI RACCOLTI DA GOOGLE

Del resto, le norme più restrittive in tema di privacy hanno quantomeno costretto il Colosso statunitense a esplicitare nelle informative i dati raccolti. Ecco cosa scrive in merito Google:

Raccogliamo informazioni circa le tue attività nei nostri servizi, che usiamo ad esempio per consigliarti un video di YouTube che potrebbe piacerti. Le informazioni riguardanti le attività possono includere:

  • Termini che cerchi
  • Video che guardi
  • Visualizzazioni e interazioni con contenuti e annunci
  • Informazioni vocali e audio quando utilizzi le funzionalità audio
  • Acquisti
  • Persone con cui comunichi o condividi contenuti
  • Attività su siti e app di terze parti che utilizzano i nostri servizi
  • Cronologia di navigazione di Chrome che hai sincronizzato con il tuo account Google

Anche le telefonate non sfuggono a Google: “Se utilizzi i nostri servizi per effettuare o ricevere chiamate o mandare e ricevere messaggi, potremmo raccogliere informazioni sui log relativi alle telefonate, ad esempio numero di telefono, numero del chiamante, numero del ricevente, numeri di deviazione, ora e data delle chiamate e dei messaggi, durata delle chiamate, informazioni sul routing e tipi di chiamate“.

ESISTONO ALTERNATIVE A GOOGLE?

Google insomma non nasconde nulla. Ma resta da chiedersi quanti utenti siano al corrente dell’esistenza di questa pagina, quanti la abbiano letta tutta, quanti siano in grado di comprenderne il contenuto, quanti possano avere chiaro il valore economico delle informazioni che stanno cedendo gratuitamente. E poi c’è un tema: ormai Google e le sue app sono essenziali per lavorare, per spostarsi, per organizzare una vacanza. Abbiamo dunque un’alternativa altrettanto valida ma che consenta di preservare la nostra privacy? Certamente no. Dovremmo smembrare tutti i servizi gratuiti in altrettanti a pagamento.

IL REPORT SUL CORONAVIRUS

Prendiamo per esempio il recente rapporto che Google ha rilasciato per aiutare le autorità, lavorando sui big data in proprio possesso. È stato redatto sfruttando il medesimo meccanismo che permette a Google Maps di indicarci le zone meno trafficate. L’occhio elettronico del colosso guidato da Sundar Pichai ha scrutato ben 131 Paesi differenti ed è in grado di dirci dove si sta riversando la gente. Il controllo è capillare perché Google è in grado di sapere l’afflusso ai negozi e persino ai parchi. “Le autorità sanitarie ci hanno detto – si legge nel blogpost di Google – che questo stesso tipo di dati aggregati e anonimizzati potrebbe essere utile per prendere decisioni critiche nella lotta Covid-19”.

GOOGLE SOTTOLINEA: DATI ANONIMI

Consapevole del terreno assai scivoloso su cui si sta muovendo, la stessa Google precisa: “Mostreremo le tendenze su un arco di diverse settimane con le informazioni più recenti che si riferiscono a 48-72 ore prima della pubblicazione. L’aumento o la diminuzione delle visite apparirà in punti percentuale, mentre non saranno condivisi i numeri assoluti delle visite. Per proteggere la privacy delle persone, non verrà resa disponibile alcuna informazione personale identificabile, come la posizione di una persona, i contatti intercorsi o gli spostamenti”. Qui è possibile leggere il report sugli spostamenti degli italiani nel mese di marzo.

L’INTERESSE PER I BIG DATA

L’esempio coreano parrebbe dimostrare che i big data sono utili alleati nella battaglia contro il coronavirus. L’uso di app che tracciano gli spostamenti delle persone ha permesso alla Corea di non incorrere in brutali lockdown. E l’Italia pare volerne seguire le tracce, sebbene la risposta del governo sia stata quella di decretare la quarantena del Paese. La task force di esperti del ministro per l’Innovazione tecnologica Paola Pisano dovrebbe servire proprio a predisporre software di questo tipo. Ma dovremmo avere una cultura giuridica differente, che mira a tutelare maggiormente la riservatezza. Nulla, comunque, è ancora deciso a livello governativo sul tema.

GARANTE PRIVACY: LIMITAZIONI SOLO TEMPORANEE

In tempi di Coronavirus, insomma, non è solo la nostra salute a essere messa sotto attacco, ma anche la nostra privacy. Il Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, all’Ansa qualche settimana fa ha dichiarato: “[parlare di privacy oggi, ndr] Non solo ha senso, ma è essenziale per consentire di orientare l’azione di prevenzione nel modo più equilibrato e compatibile con i principi democratici. La sfida posta da questa emergenza di tipo sanitario è coniugare efficacia dell’azione di prevenzione e contrasto del contagio, con le garanzie essenziali di tutela dei diritti fondamentali, quali appunto la privacy, che sono soggetti a bilanciamento con altri beni giuridici quali, in primo luogo, la salute pubblica”.

SORO: L’EMERGENZA NON È FONTE DEL DIRITTO

In quella occasione Soro aveva anche specificato: “I diritti possono, in contesti emergenziali, subire limitazioni anche incisive, ma queste devono essere proporzionali alle esigenze specifiche e temporalmente limitate. La forza della democrazia è anche nella sua resilienza: nella sua capacità cioè di modulare le deroghe alle regole ordinarie, in ragione delle necessità, inscrivendole in un quadro di garanzie certe e senza cedere a improvvisazioni. Il limite dell’emergenza è insomma nel suo non essere autonoma fonte del diritto ma una circostanza che il diritto deve normare, pur con eccezioni e regole duttili, per distinguersi tanto dalla forza, quanto dall’arbitrio”.

I DUBBI SUL REPORT DI GOOGLE

Per molti parlare di diritto della privacy in momenti simili è poco più di un capriccio. Il report di Google può rivelarsi molto utile perché può suggerire alle autorità se le misure intraprese stanno funzionando e se vengono rispettate (addirittura il monitoraggio copre tutte le regioni). Gli Stati, per fortuna o purtroppo, oggi non dispongono delle infrastrutture tecnologiche necessarie per un simile controllo della propria popolazione. Lo hanno però i privati e il report infatti ribadisce anche l’estrema capillarità e precisione con cui l’azienda passa al setaccio le nostre vite. Come abbiamo già detto, Google scrive: “Per proteggere la privacy delle persone, non verrà resa disponibile alcuna informazione personale identificabile, come la posizione di una persona, i contatti intercorsi o gli spostamenti”, ma non dice che la software house di Mountain View non è in possesso di quelle informazioni. Anzi, lascia presupporre che le abbia. Quindi sarebbe auspicabile avere almeno risposta a queste domande:

A – Abbiamo mai dato il nostro consenso a Google perché operasse un controllo tanto pervasivo?

B – Quei dati sono stati raccolti solo durante l’effettivo utilizzo da parte dell’utente dei software Google o pescando informazioni a strascico da smartphone che in quel momento non avevano in funzione app di Google e magari erano persino in standby?

C – Google è una azienda privata. Qualche Stato ha chiesto di tracciarci durante la pandemia?

D – Google dice che si tratta di screening anonimi. Che garanzie abbiamo? Come sappiamo che i dati a sua disposizione si esauriscano in quel report? Come possiamo essere certi che il rapporto non sia solo il risultato dell’applicazione di filtri che hanno scartato tante altre informazioni che la compagnia potrebbe teoricamente avere?

E – Cosa sappiamo sulle modalità di stoccaggio dei dati? Per quanto tempo Google li conserva? Li condivide con seconde e terze parti? Li condivide con i governi?

F – Cosa ne pensa in merito il Garante della Privacy italiano?

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