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Foodora

Foodora vince a Torino ma la legge italiana perde

Il Tribunale ha ritenuto che non ci fossero i requisiti per far rientrare l’utilizzo della forza lavoro di Foodora in un contesto di rapporto subordinato, ma i fattorini vengono controllati nei movimenti e “sfruttati” secondo i legali. E’ tempo di nuove leggi sul lavoro. L’approfondimento di Giusy Caretto  A Torino Foodora ha stravinto. La società…

A Torino Foodora ha stravinto. La società del food delivery (delle consegne di cibo a domicilio, per intenderci) non sfrutta i suoi dipendenti, semplicemente perchè dipendenti non lo sono. Si tratta, per il giudice, di lavoratori autonomi e di prestazioni occasionali.

Ma la sentenza rischia di essere un precedente per le nuove dispute e i nuovi problemi che la gig economy porta con sé. I non-dipendenti di Foodora sono controllati ad ogni loro movimento, devono fare corse contro il tempo (anche sotto la neve) per garantire le consegne, hanno una copertura assicurativa blanda, inconsistente, come denunciano alcuni rider, e la loro paga è di soli 3,6 euro a consegna. Il giudice (forse) non avrebbe potuto decidere altrimenti (il tribunale ha ritenuto che non ci sono infatti i requisiti per far rientrare l’utilizzo della forza lavoro in un contesto di rapporto subordinato), ma la sentenza potrebbe giustificare altri comportamenti simili che ledono la dignità del lavoratore. Ma andiamo per gradi.

LA SENTENZA

Cosa è successo? Sei rider di Foodora hanno intentato una causa civile contro la società tedesca Foodora, contestando l’interruzione improvvisa del rapporto di lavoro dovuta alla mobilitazione degli stessi riders, avvenuta nel 2016, per chiedere all’azienda un giusto trattamento economico e normativo.

Il Tribunale del lavoro di Torino, però, ha respinto il ricorso, ritenendo che i rider sono collaboratori autonomi non legati da un rapporto di lavoro subordinato. E dunque nessun rimborso per chi ha perso il posto di lavoro.

GLI AVVOCATI DEI RIDERS

Dopo la sentenza, è lecito che sorga una domanda: la legge consente uno “sfruttamento”? Dopo la lettura della sentenza, i fattorini presenti in aula sono rimasti in silenzio, mentre non hanno taciuto i loro avvocati.

“Purtroppo oggi non è stata fatta giustizia, questo è il nostro Paese. Quello che colpisce di più è che un’azienda può mandare chiunque a lasciare pacchi senza alcuna tutela”, ha affermato il legale Sergio Bonetto.

“Forse per cambiare le cose deve scapparci il morto. Sicuramente faremo appello. Questi contratti tolgono dignità ai lavoratori. E’ come se tutte le battaglie combattute negli ultimi ottant’anni non contassero più nulla”, ha aggiunto la collega Giulia Druetta.

LAVORATORI NON TUTELATI

I rider, secondo quanto denunciato dall’avvocato Druetta, lavorano “con contratti privi di tutela, sotto ricatto e al di fuori dalle regole previste da qualunque attività lavorativa” e “nella vicenda Foodora c’è stata una discriminazione, un comportamento lesivo della dignità dei lavoratori”.

La paga è bassa (3,6 euro a consegna), lavorano anche in condizioni estreme, sono sempre sotto controllo (come se avessero un braccialetto elettronico) e non hanno una copertura assicurative efficiente (proprio sulla questione contratti e trattamento dei dipendenti, a luglio 2017 avevamo chiesto a Foodora di chiarire la sua posizione, senza mai ricevere risposta su questi argomenti).

E TRATTATI COME DIPENDENTI

“I fattorini Foodora erano sottoposti a un continuo controllo. Ogni loro movimento era tracciato, come se avessero un braccialetto elettronico. Un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, nonostante fossero inquadrati come collaboratori autonomi. A Foodora non importava delle condizioni del lavoratore vi era una costante pressione psicologica sui rider, finalizzata al mantenimento del posto di lavoro”, ha spiegato Druetta, aggiungendo che i fattorini sono “totalmente assoggettati al potere del datore di lavoro, con un controllo totale sugli orari che potevano essere modificati anche senza alcun preavviso”.

E per far capire meglio quale fosse il rapporto di lavoro, Druetta ha citato il caso di un fattorino che, dopo quattro ore di pedalate, scrisse nella chat aziendale di avere male alle gambe. “Il superiore rispose che gli spiaceva, ma che aveva bisogno di tutti i rider per l’intero turno”.

SERVONO NUOVE LEGGI

Ma se il giudice non può fare altrimenti, allora è opportuno che Parlamento e governo intervengano con nuove leggi sul lavoro che contemplino anche le prestazioni per la gig economy e che, una volta per tutte, sanciscano diritti e doveri di lavoratori ed aziende, tutelando la dignità di chi offre il proprio servizio.

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