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Huawei Regno Unito

Come nasce il caso Huawei negli Usa e in Italia?

L’approfondimento di Umberto Rapetto, Generale (ris.) della Guardia di Finanza, già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche

Se “Tutti dicono I love you” è un classico delle opere di Woody Allen, il “tutti parlano di Huawei” è invece la sintesi di una spinosa questione di estrema attualità.

Mentre tutti si affannano a saperne di più e a spiegare anche quello che non sanno, nessuno si premura di tirare l’immaginario freno di emergenza dell’ipotetico convoglio su cui corre il Sistema Paese e fermare pensieri e opinioni prima che imbocchino binari sbagliati.

Chi ancora crede che si tratti di una novità e di qualcosa ancora da approfondire, spiace segnalarlo, si sbaglia.

La vicenda se si trattasse di un bimbo sarebbe già pronta a frequentare la seconda elementare perché la sua nascita risale a sette anni orsono e non a qualche mese fa.

Per fornire un piccolo contributo a soddisfazione della legittima curiosità collettiva, senza scomodare i pastori (ora impegnati nella sacrosanta rivendicazione dei loro diritti) e i Re Magi, vale la pena raccontare il Natale di questa mastodontica problematica per consentire – a chi deve decidere – di “ricominciare da tre” (Troisi docet) e non da zero come avrebbe voluto l’indimenticabile Gino Bartali.

La genesi è riconducibile all’8 ottobre 2012, data di pubblicazione – da parte della U.S. House of Representatives – del corposo “Investigative Report on the U.S. National Security Issues Posed by Chinese Telecommunications Companies Huawei and ZTE”. E’ il documento con cui si evidenzia formalmente il rischio di vulnerabilità e vengono ipotizzati seri rischi di spionaggio. La lettura del testo può fornire un interessante stimolo a chi – trovato il bandolo della matassa – vuole leggere la fonte primigenia del contendere.

In realtà il Report della Camera dei Rappresentanti USA arriva dopo una lunga gestazione e a guardare con attenzione ci si accorge che la “gravidanza” è stata particolarmente lunga.

Già nel 2005, infatti, il celeberrimo think tank americano RAND Corporation aveva individuato una serie di criticità connesse a Huawei nell’ambito della ricerca “A New Direction for China’s Defense Industry” (qui un piccolo estratto agevola i più curiosi). L’esame molto interessante di RAND mette in chiaro i primi passi di Huawei, narrando quando l’odierno colosso cinese si impegnava nel “reverse engineering” (ovvero “smontava” per carpirne i segreti industriali) della Lucent, per poi scippare gli specialisti di CISCO operanti in India e così a seguire.

Non è da trascurare che nell’autunno del 2010 la stampa internazionale aveva mostrato interesse a Huawei e ai rapporti di quell’azienda con le realtà governative di Pechino ed in particolare con l’intelligence cinese. Questi rumors non lasciano indifferente il Congresso americano che il 12 ottobre dello stesso anno decide di incaricare la Federal Communition Commission (FCC) di occuparsi del problema delle reti di telecomunicazioni Usa.

Proprio la lettera indirizzata a Julius Genachowsky, presidente della FCC, è una pietra miliare nel panorama della tutela degli interessi e della sicurezza nazionali.

Il Congresso aveva chiesto in quella occasione all’Ente regolatore se si era attivato con il Dipartimento per la Homeland Security e con la comunità dell’Intelligence per affrontare in maniera sistematica i possibili rischi, se aveva monitorato la compravendita dei prodotti Huawei e ZTE, se disponeva di una mappa dettagliata di operatori telefonici e specifiche infrastrutture in cui i dispositivi potenzialmente pericolosi fossero stati installati e così via.

Il successivo step informatico risale al gennaio 2011. Lo U.S.-China Economic and Security Review Commission Staff, basandosi su informazioni acquisite fino al novembre precedente) in quel periodo aveva presentato un rapporto dal titolo “THE NATIONAL SECURITY IMPLICATIONS OF INVESTMENTS AND PRODUCTS FROM THE PEOPLE’S REPUBLIC OF CHINA IN THE TELECOMMUNICATIONS SECTOR” anch’esso meritevole di attenzione.

Nonostante già nel febbraio 2011 circolassero in Rete (in blog vicini all’underground digitale) rumors su ipotesi di spionaggio cinese in Italia, nel successivo mese di giugno Telecom Italia firma un significativo accordo con Kevin Tao, Presidente di Huawei Europa. L’agreement – di importanza strategica – viene sottoscritto alla presenza del Vice-Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping e del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Arriviamo, finalmente, al 2012 ma prima che si rompano le acque e venga partorito il report dei deputati Usa ci sono ancora due elementi indispensabili per un corretto e strutturato approccio all’“affaire Huawei”.

Il 12 giugno 2012 il Permanent Select Committee on Intelligence presso la US House of Representatives formula a Huawei precise istanze con finalità conoscitiva che l’azienda – sollecitata in precedenza a fornire chiarimenti – ha disatteso o non soddisfatto.

Il 13 settembre ha luogo una audizione pubblica. È probabilmente utile leggere gli interventi e le dichiarazioni del Presidente del Committee on Intelligence Mike Rogers, del Ranking Member Dutch Ruppersberger, del Vice Presidente di Huawei Charls Ding e del Vice Presidente per Nord America ed Europa di ZTE Zho Jinyun.

Chi ha voglia di “cucinare” il problema, adesso ha a disposizione gli ingredienti di base. In un Paese di aspiranti Cracchi e Cannavacciuoli forse il mettersi ai fornelli può essere di ispirazione.

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