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Banda Larga

Banda larga: tutti i numeri (e i ritardi) dell’Italia

A dieci anni di distanza dai primi veri investimenti per lo sviluppo della banda larga, l’Italia resta tra i peggiori d’Europa per connettività   Dieci anni di finanziamenti per accelerare lo sviluppo della banda larga. Quattro miliardi di euro spesi (o impegnati). Eppure, l’Italia digitale resta ancora troppo indietro. Troppo poco è stato realizzato in…

A dieci anni di distanza dai primi veri investimenti per lo sviluppo della banda larga, l’Italia resta tra i peggiori d’Europa per connettività

 

Dieci anni di finanziamenti per accelerare lo sviluppo della banda larga. Quattro miliardi di euro spesi (o impegnati). Eppure, l’Italia digitale resta ancora troppo indietro. Troppo poco è stato realizzato in passato ed ora recuperare il gap con gli altri Paesi europei è difficile. Difficilissimo, visto che anche la poca velocità di connessione fa piazzare il Bel Paese al 25 esimo posto della classifica Desi 2017 (Digital Economy and Society Index 2017), insomma siamo tra gli ultimi in Europa.

Qualcosa, però, sta cambiando. La sfida tra Telecom ed Open Fiber è accesissima. Le due aziende si danno battaglia per cablare prima le città italiane, a tutto vantaggio dei cittadini che però sembrano resti agli abbonamenti alla rete ultraveloce. Ma andiamo per gradi.

La bocciatura dell’Ue

banda largaAnche nel 2017, l’Italia non supera la prova digitale: ci sono stati pochi progressi e nella classifica del Digital Economy and Society Index 2017 (Desi), la graduatoria annuale che fotografa la digitalizzazione nei 28 Stati dell’Unione europea, l’Italia si piazza nuovamente al 25esimo posto, come lo scorso anno. Qualche progesso, a dirla tutta, c’è stato, ma non è abbastanza. Solo Grecia, Bulgaria e Romania fanno peggio.

Concentrandoci sulla connettività dobbiamo dire che l’Italia è migliorata. Anzi “ha compiuto progressi significativi grazie soprattutto al forte aumento della copertura delle reti Nga”, ovvero quelle in fibra ottica con una velocità di almeno 30 Mbps.

La copertura in fibra è aumentata (55% rispetto al 53% del 2015) ma non gli abbonamenti ai servizi da 30 Mbps o superiori. Valevano il 5% nel 2015, nel 2016 siamo arrivati al 12% (contro una media Europea del 37%). I numeri, per il settore, ci fanno posizionare 24esimi su 28.

Ma quanto è stato fatto in Italia per il digitale?

Eppure le politiche per garantire l’installazione e l’accesso alla banda larga non sono mancate. Dal 2007, anno in cui è nato il Comitato interministeriale per la banda larga, fino al 2014, anno 2014, anno in cui il governo Letta ha pubblicato il Rapporto Caio sulla situazione della connettività in Italia, sono stati spesi 1,1 miliardi di euro. E in particolare: 800 milioni sono stati messi sul piatto dal Governo, e 350 sono stati gestiti dalle regioni. I risultati partici sono stati 11 mila chilometri di fibra ottica pubblica.

Il Governo Renzi, nel 2015, punta alla rete che con velocità di 30 e 100 megabit. Ci vogliono, però, 12 miliardi di euro: 7 miliardi li mette lo Stato. Di questi 3 sono stati sbloccati un anno e vanno a finanziare i progetti gestiti dalla società pubblica Infratel, che ha già lanciato due bandi di gara per designare gli operatori per portare la banda larga nelle are a fallimento di mercato. Il primo di questi bandi è già stato assegnato a Open Fiber, mentre il seconda è in fase di aggiudicazione (con Open Fiber favorita). È previsto il lancio di un terzo bando, ora in programmazione. Sono 5, invece, i miliardi di euro che arrivano dai privati.

I numeri dell’Italia

banda largaC’è da dire che se è vero che gli investimenti ci sono stati, è anche vero che gli sforzi fatti da Governi e aziende non sono stati ancora ben ripagati dai cittadini. C’è ancora una percentuale di italiani, pari al 34,9%, secondo i dati Istat, che non utilizza internet regolarmente.

In Italia abbiamo una copertura di banda larga di base adeguata, praticamente al 100% della popolazione, ma mancano gli accessi. Secondo i dati del libro bianco dul digital divide EY, la percentuale delle famiglie abbonate alla banda larga di base su rete fissa è pari al 55%, registrando 16 milioni gli accessi totali, e restando la più bassa della Ue. É pari solo al 12%, come già anticipato, la quota di abbonamenti ultra broadband (copertura pari al 63% della popolazione), contro la media europea del 37%.

Colpa, forse, di una domanda ancora inespressa, per fattori culturali ed economici, come la bassa alfabetizzazione informatica della popolazione. Sempre secondo i dati Defi, infatti, se è vero che sempre più persone sono online, è anche vero che le competenze restano basse in tutti gli indicatori. Il 67% degli italiani accede a internet (contro una media europea del 79%), ma ancora pochi sono gli specialisti Ict.

Risultati ottimi nel settore “mobile”, dove la tecnologia 4G è arrivata ad una copertura del 98% a fine 2016.

La guerra Telecom vs Open Fiber, a tutto vantaggio della fibra

Obiettivo: cablare l’Italia. A condividerlo, su fronti opposti, in una guerra a colpi di promesse, partecipazione alle gare e ricorsi, sono Open Fiber, l’azienda di Enel e di Cassa Depositi e Prestiti, e Telecom Italia, che provando ad accelerare sulla realizzazione delle infrastrutture ha deciso di dare vita ad una newco dedicata allo sviluppo della banda ultralarga. La guerra, dobbiamo dire, la si combatte su più campi.

Il primo è quello delle aree a successo di mercato, il secondo è quello delle aree a fallimento. Telecom, che inizialmente ha partecipato ai bandi Infratel dedicati alle aree a fallimento, ha deciso di ritirarsi dai giochi per procedere autonomamente da un punto di vista del cablaggio: l’azienda di telefonia ha destinato 5 miliardi di euro all’ultrabroadband all’interno del business plan della società. Tim punta a raggiungere oltre il 99% della popolazione con il 4G e il 95% della popolazione con la fibra ottica.

banda ultralargaIl gruppo guidato da Cattaneo avrebbe anche pensato alla nascita di una Newco per accelerare sulla fibra nelle aree a fallimento di mercato. Il Consiglio di Amministrazione di TIM, infatti, ha approvato l’idea dell’Amministratore Delegato Flavio Cattaneo per la creazione di una società dedicata esclusivamente allo sviluppo selettivo di nuove infrastrutture in fibra in aree inserite nella classificazione dei cluster C e D, in base alle norme UE. Tramite la nuova società, Tim potrà raggiungere i propri obiettivi di copertura del Paese con Banda Ultralarga con quasi 2 anni di anticipo rispetto alla tempistica prevista dal piano triennale.

Passiamo ad Open Fiber, il cui lavoro è “una delle più grandi operazioni di project finance in questo momento in Europa”, come affermato da Tommaso Pompei, ad della società. La società ha già portato la sua fibra a Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Milano, Napoli, Perugia, Torino e Venezia e il programma complessivo per la banda ultra larga prevede la sviluppo della rete in 6 anni su oltre 270 città italiane, per circa 9 milioni e mezzo di unità immobiliari servite.

Per quello che riguarda, invece, le aree a fallimento di mercato, Open Fiber, come detto sopra, ha già vinto il primo bando Infratel, classificandosi prima in tutti e cinque i lotti (Abruzzo, Molise, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto ) del primo bando di gara da 1,4 miliardi per la realizzazione della rete in fibra ottica nelle zone a fallimento di mercato. E con molta probabilità potrebbe anche vincere il secondo.

Il piano complessivo degli investimenti, che include le aree A e B (previsti fondi per 4 miliardi) e C e D (1,4 miliardi per la prima gara assegnata a Open Fiber, poi in parte recuperati con i fondi pubblici, che possono diventare 2,5 con la seconda e terza gara) è dell’ordine di 6,5 miliardi, con un ritmo di investimenti di un miliardo all’anno per i prossimi sei anni e con l’obiettivo di cablare 19 milioni di unità immobiliari nel paese”, ha spiegato Tommaso Pompei. “L’interesse del mercato è elevato. L’operazione sarà distribuita sui mercati internazionali, ma nel consorzio ci saranno anche le banche italiane. Non siamo interessati a chiudere in fretta il finanziamento, ma a costruire un’operazione di mercato di successo che nel medio periodo prepari anche il terreno a una quotazione”.

La Banda ultralarga aumenterà la produttività

banda-largaSe è vero che non si sa ancora quando l’Italia potrà vantare una connessione internet davvero veloce, è vero che già si conoscono i benefici. A dirci cosa guadagnerebbero anche le piccole imprese grazie all’installazione della banda ultralarga è un documento redatto dall’Istat, “Valutazione della relazione tra l’uso di Ict da parte delle microimprese, copertura a banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato e performance aziendale”, in cui si prendono in esame 250mila imprese fra 3 e 9 addetti.

In tutti i domini considerati si avrebbe un aumento di produttività variabile dal 7% fino al 23% del valore aggiunto delle aree bianche/bianche dirette calcolato in assenza di investimenti e pari al 13% per il complesso di tutte le aree bianche italiane considerate”, si legge nel documento. A conti fatti, la produttività aumenterebbe di circa 4.900 euro per addetto. È bene specificare che le aree bianche sono quelle considerate a fallimento, in cui è necessario l’intervento pubblico per garantire la copertura del servizio a banda ultralarga.

Se diamo uno sguardo a livello territoriale, i benefici più grandi si avrebbero per le imprese del Nord-Ovest, con un aumento di valore aggiunto del 14%. Seguono, secondo il rapporto dell’Istat, le imprese del Nord-est e del Centro, con un valore aggiunto superiore del 12%. Il Sud e le Isole, invece, avrebbero benefici più limitati, con un valore aggiunto del 9%.

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