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Airbnb, Amazon, Booking, Facebook, Google, Netflix. Chi colpirà (e chi no) la web tax e come funzionerà

Come funzionerà la web tax approvata dal governo. Le aziende escluse e quelle interessate. Numeri, obiettivi e un rischio: le società colpite potranno ribaltare sulle imprese italiane che utilizzano i loro servizi digitali. Tutti i dettagli e le polemiche

 

Gragnuola di nuove tasse nella manovra: compresa l’imposta sui servizi digitali. Come funzionerà la web tax? E chi colpirà? Ecco tutti i particolari.

La bozza di legge di bilancio chiarisce anche i contorni della tassazione dei servizi digitali. Sarà colpita ad esempio la pubblicità su Google e Facebook. E altrettanto i servizi marketplace di Amazon e Ebay, sempre più utilizzati dalle piccole e medie imprese per velocizzare il loro processo di digitalizzazione e incrementare l’export.

LA NATURA DELL’IMPOSTA

E’ stata quindi confermata un’imposta sul B2B e non su B2C. La norma si applicherà sul flusso dei servizi a partire dal primo gennaio 2020.

ECCO LE AZIENDE CHE PAGHERANNO LA WEB TAX

La web tax è in sostanza un’imposta che sarà pagata dalle multinazionali del web come Google, Facebook, Booking, Apple, Expedia, Airbnb, Amazon, eBay e altri.

IL RISCHIO DI TRASLAZIONE

Ci sarà una buona probabilità che questi gruppi la possano ribaltare sulle imprese italiane che utilizzano i loro servizi dematerializzati, quali piattaforme ed applicazioni digitali, di intermediazione per la vendita di beni e servizi, o vetrine virtuali. Ma sarà il ministero dell’Economia a definire meglio l’ambito preciso di applicazioni con decreti attuativi.

QUALI SONO LE AZIENDE ESCLUSE

Sono esclusi dall’applicazione dell’aliquota del 3% sui ricavi digitali tutti i soggetti della sharing economy, ossia Airbnb, Deliveroo, Netflix e Spotify. Ma con la possibilità – notano i tecnici che hanno studiato la materia – che rientrino con riferimento ad attività di advertising o vendita di dati. Esclusi anche i servizi di intermediazione finanziaria e le piattaforme di scambio di energia elettrica.

LA CLAUSOLA

Il governo ha previsto questa clausola: le disposizioni sono abrogate se e quando Ocse e Unione europea portino a compimento e conclusione il progetto di una web tax globale.

I NUMERI SULL’IMPOSTA

“L’imposta sui servizi digitali – scrive Italia Oggi – interviene sulle norme approvate nella legge di Bilancio 2019 (legge 145/2018) che hanno introdotto una aliquota del 3% sui servizi digitali i soggetti esercenti attività d’impresa che, singolarmente o a livello di gruppo, nel corso di un anno solare, realizzano congiuntamente: a) un ammontare complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a euro 750.000.000; b) un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali, di cui al comma 37, realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a euro 5.500.000″.

QUALI SONO I SERVIZI NON DIGITALI

Che cosa non si considerano servizi digitali? La fornitura diretta di beni e servizi nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale, la fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il sito web del fornitore di quei beni e servizi quando il fornitore non svolge funzione di intermediario, la messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia dei contenuti digitali.

L’ANALISI DI ITALIA OGGI

“Nella pratica – nota Italia Oggi – si dovrà dunque vivisezionare l’attività delle piattaforme perché ad esempio sui film prodotti direttamente da Netflix non si applicherà l’imposta che al contrario sarà applicabile sui film di terzi che Netflix trasmette con accordi di licenza”.

IL COMMENTO DI LISCIA (NETCOMM)

Roberto Liscia, presidente di Netcomm (il consorzio del commercio digitale in Italia), sostiene che la proposta rappresenti un’iniziativa fortemente negativa verso le imprese: “Le nuove regole fiscali in discussione si pongono come un’ennesima tassa che deprimerà ulteriormente il mercato, riversandosi sulle nostre imprese, mediamente di piccole dimensioni, che presentano un saldo digitale negativo. Rileviamo, infatti, che ci sono 20 mila aziende nel nostro Paese che utilizzano piattaforme digitali per vendere le loro merci. È chiaro che un’ulteriore tassa, come quella prevista, sarebbe un costo eccessivo per la stragrande maggioranza. Siamo contrari all’ipotesi di una web tax non armonizzata a livello europeo e lo siamo ancora di più quando vediamo a rischio le possibilità per le imprese del nostro Made in Italy di competere sui mercati globali. Siamo al passo opposto rispetto ad alcuni esecutivi del passato, in cui si ventilava l’idea di finanziare le imprese tese all’internazionalizzazione”.

Aggiunge Liscia: “Netcomm sostiene da sempre che la tassazione dell’economia digitale debba essere affrontata con una visione globale che tenga conto del quadro fiscale internazionale al fine di evitare gravi asimmetrie competitive tra singole imprese e Stati. In tale scenario riteniamo che l’OCSE rappresenti l’Organizzazione più adeguata per stimolare tali riflessioni e guidare la riforma in collaborazione con le Autorità europee. È per tali ragioni che riteniamo quanto mai opportuno – come affermato più volte – evitare azioni unilaterali da parte dei singoli Paesi posto che potrebbero avere gravi impatti sulle imprese ostacolando l’adozione o lo sviluppo delle nuove tecnologie da parte delle imprese stesse. Alla luce dei chiari progressi dell’OCSE, raccomandiamo quindi al Governo italiano di sospendere eventuali azioni unilaterali ricercando lo sviluppo di linee coerenti con il quadro internazionale”.

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