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Fintech, servono sand-box italiane per bilanciare regole e terreno di gioco

Terminato il periodo di sperimentazione o il soggetto diventa robusto e accede al mercato con un’autorizzazione piena e regole comuni per tutti oppure esce dal mercato se la sperimentazione non ha funzionato.   È necessario creare delle sand-box in Italia nel settore della concessione dei finanziamenti per bilanciare le regole e assicurare un terreno di…

Terminato il periodo di sperimentazione o il soggetto diventa robusto e accede al mercato con un’autorizzazione piena e regole comuni per tutti oppure esce dal mercato se la sperimentazione non ha funzionato.

 

È necessario creare delle sand-box in Italia nel settore della concessione dei finanziamenti per bilanciare le regole e assicurare un terreno di gioco comune. È quanto ha detto l’avvocato Alessandro Portolano in Commissione Finanze alla Camera, in merito all’indagine conoscitiva sulle tematiche relative all’impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo. “Vorrei partire dalla costatazione dello scenario in cui si deve collocare la sua disciplina: quando parliamo di Fintech l’accento cade sempre sul ‘tech’ cioè sul fascino, l’importanza e il potenziale del digitale mentre quando si parla del ‘fin’ l’accento, sia pure con diversità di toni, cade sempre sul potenziale canale di finanziamento delle imprese e in particolare delle pmi. Rimane un po’ sullo sfondo secondo me un aspetto: e cioè il fatto che quando si parla di finanziamenti e capitali che affluiscono alle pmi si deve parlare di risparmi diffusi presso il pubblico. E questo porta come corollario l’esigenza di tutela del risparmio stesso ma anche la considerazione che non ci si muove in un vuoto normativo. In sostanza il fenomeno del Fintech non è fenomeno privo di normativa ma è un fenomeno innovativo che sta cercando di incastrarsi in un contesto con norme che già esistono. Un terzo corollario, infine, è che è necessario assicurare un level play field”.

“A mio avviso è difficile parlare di una sand-box unica ma di una per settore: si può immaginare, quindi, un ruolo del Mef per il bando o per verificare i requisiti di innovazione ma poi vanno messe in capo alle singole autorità di vigilanza”, ha evidenziato l’avvocato secondo il quale l’esigenza principale rimane però quella di bilanciare il regime di tutela all’interno della sand-box stessa: “Ci muoviamo in un contesto delicato: i servizi finanziari sono assoggettati a una regolamentazione stringente e richiedono autorizzazioni. Mentre la riserva di attività per la concessione di finanziamenti non è di matrice comunitaria e su quella il legislatore italiano ha una libertà di manovra più ampia”. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il quadro normativo “è in continua evoluzione ma è soprattutto il Capital Market Union varato nel settembre scorso, cioè il documento che sta avviando a livello europeo il progetto di integrazione della vigilanza sui mercati finanziari, ad avere un passaggio esplicito che assegna alle autorità di vigilanza europea il compito di assicurare convergenza a livello locale dei requisiti di autorizzazione e di chiarire il regime dell’outsorcing imperante nel settore. Senza trascurare l’accenno esplicito al coordinamento delle Esa, le autorità di vigilanza europee alle innovation hub e l’emanazione di linee guida sulle sand-box stesse”.

È su questo sfondo che vanno pensate “le linee di intervento per realizzare una sand-box” contemperando cioè “le esigenza di tutela del risparmio e l’alleggerimento degli oneri degli intermediari”. Per Portolano si può lavorare, ad esempio, sul concetto di professionalità: “Nel settore finanziario le attività sono soggette a riserva quando sono svolte con professionalità verso il pubblico. In questo senso si può lavorare allora introducendo una nozione di professionalità qualificata fino a che ci si muove nella sand-box ponendo dei limiti per esempio degli importi massimi o nel numero massimo clienti”. Un altro ambito in cui si può lavorare è quello del principio di proporzionalità nell’azione di vigilanza “riconosciuto dal legislatore anche in Italia – ha ammesso l’avvocato –, cioè l’esercizio di un potere di vigilanza adeguato al raggiungimento del fine col minore sacrifico degli interessi dei destinatari. Quindi non minori oneri o rischi ma minori oneri e requisiti ridotti in modo proporzionale rispetto al ridursi dei rischi dell’attività anche per le start up”.

A questo punto, prosegue Portolano “terminato” il periodo di sperimentazione nella sand-box “o il soggetto diventa robusto e accede al mercato con un’autorizzazione piena oppure il soggetto esce dal mercato se la sperimentazione non ha funzionato. Questa sand-box, dunque, non comporta che ci sia un ‘liberi tutti’ o ‘un alleggerimento definitivo’ ma solo una sperimentazione con le autorità” al cui termine “la normativa da seguire deve essere comune per tutti”. L’avvocato ha spiegato di non vedere “realisticamente la creazione di una sand-box nel mondo bancario perché nella scala della regolamentazione le banche sono il soggetto più robusto e rigido visto che raccolgono i depositi e le esigenze di cautela sono al massimo” così come “non la vedo – ha aggiunto – nella gestione collettiva del risparmio ma solo nella concessione di finanziamenti”.

Sui servizi di pagamento, infine, cioè la direttiva Psd ha “al suo interno una norma fondamentale che consentirebbe a mio avviso di lavorare per una costituzione di una sand-box” visto che dà agli Stati membri la possibilità “di derogare anche in toto dal regime normativo della psd agli operatori che hanno una media complessiva dell’importo delle operazioni nell’anno precedente” sotto una certa soglia. Per i portali crowdfunding, infine, “esiste il divieto di offerta di titoli di debito ma sono scettico sull’eliminazione totale del vincolo senza bilanciamento all’investimento da parte di investitori professionali. Si possono trovare comunque dei surrogati e se si sceglie di farlo si può mettere un tetto”, ha concluso Portolano.

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