skip to Main Content

Nucleare Belgio

L’Europa dell’Est non rinuncia alle vecchie centrali nucleari

Nell’Europa al di là dell’Elba si contano diciannove centrali nucleari disseminate dalla Bulgaria alla Lituania, dalla Slovacchia alla Russia europea   I coni in cemento armato tipici delle centrali nucleari spuntano all’improvviso tra le colline verdi della Boemia, ad appena mezz’ora d’auto dal confine con la Baviera. Solo 60 chilometri dividono a est la Germania, che…

Nell’Europa al di là dell’Elba si contano diciannove centrali nucleari disseminate dalla Bulgaria alla Lituania, dalla Slovacchia alla Russia europea

 

I coni in cemento armato tipici delle centrali nucleari spuntano all’improvviso tra le colline verdi della Boemia, ad appena mezz’ora d’auto dal confine con la Baviera. Solo 60 chilometri dividono a est la Germania, che sei anni fa ha deciso di abbandonare l’atomo, da uno degli impianti meno sicuri d’Europa. A sud, l’Austria è ad appena 50 chilometri.

nucleareSiamo a Temelin, sede della più grande centrale nucleare della Repubblica Ceca, due reattori sovietici VVER1000 da poco più di 2.000 megawatt complessivi, entrati in funzione nel 2000 e nel 2003 dopo che i lavori, iniziati nel 1987, erano più volte stati interrotti per adeguarli agli standard dell’Europa occidentale. Nel frattempo erano caduti muri e cortine di ferro.
La Repubblica Ceca è solo uno dei tanti Stati dell’Europa centro-orientale che, a differenza della Germania di Angela Merkel, hanno deciso di puntare sempre di più sull’energia nucleare per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.

Già oggi il panorama dell’Europa al di là dell’Elba è ricco di atomo: diciannove centrali disseminate dalla Bulgaria alla Lituania, dalla Slovacchia alla Russia europea, passando anche per quell’Ucraina che nel 1986 visse la catastrofe nucleare di Chernobyl. Solo nei paesi membri dell’Unione, sono in funzione venti reattori: uno in Slovenia, a Krsko, a una manciata di chilometri da Trieste, sei in Repubblica ceca, divisi fra Temelin e Dukovany, che coprono un terzo del fabbisogno energetico del paese, cinque in Slovacchia tra Bohunice e Mochovce, quattro lungo il corso generoso del Danubio, fra la rumena Cernovoda e la bulgara Kosloduj, quattro in Ungheria a Paks, dove i reattori da 2.000 megawatt attualmente in funzione coprono il 40% del fabbisogno energetico del paese danubiano. Ancora più a est, si ritrova la tradizione nucleare dell’ex superpotenza sovietica: ventisei reattori forniscono energia a una terra ricca di gas come la Russia, quindici all’Ucraina.

Bombe a orologeria, denunciano gli ecologisti, in gran parte vecchi reattori di costruzione sovietica i cui sistemi di sicurezza non rispettano gli standard moderni. Una preoccupazione che l’Unione Europea aveva recepito dopo il crollo del blocco comunista: nei dossier che hanno dettato tempi e modi dell’allargamento a est, i commissari Ue hanno voluto includere obbligi di revisione e messa in ordine della maggioranza dei reattori. Il caso più eclatante è stato quello di Ignalina, in Lituania, una centrale basata su due reattori a grafite, la stessa struttura di quello esploso a Chernobyl. L’impianto forniva il 78 per cento del fabbisogno energetico della piccola repubblica baltica, una dipendenza dall’atomo paragonabile solo a quella della Francia, ma Bruxelles non ha voluto sentir ragioni e, già nel 2004, aveva ordinato lo spegnimento di un reattore. Dopo un lungo braccio di ferro, otto anni fa venne spento anche il secondo. Le altre revisioni hanno accresciuto la sicurezza dei vecchi reattori, ma le preoccupazioni restano, come quella dei tedeschi nei confronti della centrale ceca di Temelin, dove l’ultimo guasto risale al settembre dello scorso anno.

Ma i paesi dell’est non intendono rinunciare alle vecchie centrali e sono anche alla vigilia di un intenso programma di rinascita nucleare. I piani sono ambiziosi, sebbene procedano con enorme lentezza, fra proteste delle popolazioni locali e difficoltà finanziarie. Così proprio in Repubblica Ceca, la società statale Cez ha dovuto congelare la costruzione di due nuovi reattori a Temelin prevista già quattro anni fa. Anche in Slovacchia segna il passo il progetto di ampliare la centrale di Bohunice, così come nessun progresso viene segnalato nei piani sloveni di potenziare Krsko o in quelli rumeni di Cernavoda: le ambizioni, però, restano in attesa di trovare i soldi.

Nel frattempo si sono allungati anche i tempi dell’ingresso nell’era nucleare della Polonia, l’unico dei paesi est-europei che non aveva abbracciato piani nucleari nell’era socialista. Il nuovo piano, varato anni fa dal governo di Donald Tusk e confermato da quello di Beata Szydlo, prevede la costruzione di due centrali: la prima sarebbe dovuta entrare in funzione nel 2020 a Zarnowiec, a nord-ovest di Danzica ma l’inizio dei lavori è stato sempre rimandato e con esso, naturalmente, anche la futura entrata in attività. La seconda dovrebbe essere attiva dal 2030: in ballo ci sono le località di Kopan e Warta-Klempicz.

nucleareSi è sbloccata invece l’impasse in Ungheria. Dopo il via libera dell’Ue, il prossimo anno inizieranno i lavori di ampliamento della centrale di Paks, un’operazione da 12 miliardi e mezzo di euro completamente prefinanziata dalla società statale russa Rosatom. Il primo dei due nuovi reattori entrerà in funzione nel 2023. Nelle tre Repubbliche baltiche da anni si pensa a una rinascita di Ignalina sotto moderne spoglie: un piano comune per reattori di nuova generazione in grado di fornire tremila megawatt per i bisogni di Lituania, Estonia e Lettonia. La Bulgaria non ha ancora abbandonato il progetto di un nuovo reattore a Belene, località sul Danubio. Il problema, anche qui, è essenzialmente economico: il reattore che era già stato prenotato in Russia è troppo costoso e solo l’intervento di un finanziatore potrebbe sbloccare la situazione. Nel frattempo il governo lavora alle licenze per il prolungamento dell’attività dei due reattori di Kosloduj: la prima è stata già ottenuta.

Ancora più ad est, i piani procedono più speditamente. Ad Astraviec, ad appena 16 chilometri dal confine dell’Ue, è in fase di completamento la costruzione da parte dei russi della prima centrale bielorussa, frutto di un accordo fra Vladimir Putin e Alexander Lukaschenko. La Lituania protesta per la vicinanza al suo confine, ma in meno di due anni la centrale sarà in attività. Dal canto suo Mosca, oltre a supportare la primavera atomica di vecchi-nuovi partner in Europa centro-orientale (ma anche in Asia), ha varato un proprio piano per 28 reattori di nuova generazione che dovranno portare il contributo del nucleare al paniere energetico dal 18 fino al 30%. In compenso verranno messi in pensione 11 vecchi reattori in tre centrali.

Infine l’Ucraina. Problemi finanziari e preoccupazioni legate al conflitto in Donbass ispirano per ora una strategia difensiva: nessun nuovo reattore ma una richiesta all’Iaea, l’agenzia mondiale dell’energia, di contribuire alla messa in sicurezza dei reattori esistenti, cui non si intende rinunciare.

Pierluigi Mennitti

Back To Top