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Veolia Suez

Lo Stato ha i soldi per la gestione pubblica a 5 stelle dell’acqua?

Considerazioni a margine del rapporto di Fondazione Utilitatis e Istat sul sistema idrico e sulla scia della riforma Daga per l'acqua pubblica

Da tempo il M5S non si faceva sentire sul tema dell’acqua pubblica. E’ tornato a farlo due giorni fa Luigi Di Maio.

Quel mantra dei tempi dei vaffa….. in virtù del quale è stata presentata in Parlamento una proposta di legge per rivedere le attuali gestioni ed affidarle solo a soggetti pubblici. La materia è complessa e nella sua specificità come servizio pubblico essenziale con un forte valore ambientale, sopporta il peso di una mancata riforma. Se ne discute da anni senza mai venirne a capo.

E’ mancato il salto di qualità per rendere anche questo comparto industriale più moderno e civile. Il M5S sta provando in tutti i modi a ridimensionare il ruolo dei soggetti privati che gestiscono il servizio. Il dato è che negli ultimi anni sono stati proprio gli attuali gestori ad aver investito sulle condutture e sui servizi correlati.

Intanto che il Parlamento riprenderà la discussione sulla legge di cui è prima firmataria l’onorevole Federica Daga, la Fondazione Utilitatis e l’Istat hanno fatto la radiografia dei costi sostenuti dalle famiglie per l’acqua nel più ampio contesto dei servizi pubblici. Il Blue Book presentato dice in sintesi due cose: l’acqua costa di più nelle Regioni del Centro e del Mezzogiorno; la spesa media mensile familiare per beni e servizi è salita a 2.571 euro. Per avere acqua in casa ogni famiglia italiana spende in media 14,65 euro. Ma mentre nel Mezzogiorno il costo medio sale a 16,87 euro e nel Centro a 16,43, nel Nord è di 12,41 euro. Una differenza di 4,46 euro tra le due medie del Nord e del Sud.

Per ragioni che sarebbe lungo elencare qui, i servizi pubblici delle Regioni del Nord – dall’energia, ai trasporti, agli ambientali – hanno storia e qualità diverse da quelli del Sud, nonostante gli sforzi che in queste Regioni si compiono quotidianamente. Quello idrico, più di ogni altro, risente delle difficoltà economiche delle famiglie che non riescono a far quadrare i conti.

Nella radiografia della Fondazione Utilitatis non sfugge, infatti, che le società di gestione nel Sud vantano mediamente il 14% di mancati incassi sulle bollette. Anche in questo caso il divario con il resto del Paese è evidente, laddove la media nazionale di arretrati si ferma al 4,6%. Con la pubblicizzazione del servizio, come sperano i M5S, queste differenze sicuramente non scompariranno.

Se il punto politico sono le tariffe dell’acqua, con i canoni di smaltimento e dei servizi di fognatura, spesso criticate dai Cinquestelle, è noto che le tariffe sono valutate ed approvate dall’Arera. Dentro ci sono una serie di costi reali. Le aziende, in più, nei bilanci devono iscrivere anche quei mancati guadagni dovuti alla morosità. Se tutto diventa pubblico chi si accolla questi costi? Per non dire delle aziende partecipate dagli Enti locali che hanno bilanci assai differenziati. Del resto il Blue Book di Utilitatis ha accertato che anche il bonus idrico per le famiglie disagiate, non supera i 30 euro l’anno.

La riforma ipotizzata dal M5S costa circa 20 miliardi di euro tra riscatti, penali, mancati ammortamenti, ricorsi delle società concessionarie. Da quando nel 2012 la competenza sul sistema idrico è passata all’Arera la spesa sulle reti è salita a 54 euro per abitante, rispetto ai 20 euro precedenti. L’intero sistema distributivo ha ancora molte falle, sia chiaro. Ma viene difficile pensare che escludendo dalla gestione le attuali aziende specializzate, lo Stato possa mantenere un livello di investimenti pari a quello degli ultimi anni.

Le funzioni dell’Autorità regolatrice, che in qualche modo si vogliono rivedere, devono restare tali dicono manager ed esperti. Sono altri gli obiettivi che una seria riforma deve perseguire: potenziamento delle infrastrutture, depuratori da attivare o costruire, controlli sugli usi civili, agricoli, industriali, recupero ambientale della materia prima, lotta alle frodi. Un elenco di attività necessarie per superare uno stallo che dura da anni, nonostante un referendum nel 2011. Se non si fanno fughe in avanti e si hanno a cuore i servizi essenziali per i cittadini, con tutte le implicazioni economiche ed ambientali, è il caso di avere i piedi ben piantati per terra. Con lo stato della finanza pubblica, dove andrebbero mai a battere cassa Regioni, Comuni, Consorzi per “dissetare” gli italiani?

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