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Ex Ilva

Vi racconto le ultime piroette di Luigi Di Maio con Arcelor Mittal su Ilva

Il commento di Fernando Liuzzi sulla vicenda Ilva pubblicato sul Diario del Lavoro Venerdì 20 luglio 2018: ecco una data che, dalle pagine di calendari e agendine, entra subito di slancio, se non nella grande Storia, quella con la “S” maiuscola, almeno nella storia della vicenda Ilva. Che cosa è accaduto dunque di così rilevante…

Venerdì 20 luglio 2018: ecco una data che, dalle pagine di calendari e agendine, entra subito di slancio, se non nella grande Storia, quella con la “S” maiuscola, almeno nella storia della vicenda Ilva. Che cosa è accaduto dunque di così rilevante da segnare una tappa particolarmente significativa in una vicenda che si snoda – fatto dopo fatto, passaggio dopo passaggio – da mesi e anni e che, diciamolo subito, sta assumendo toni sempre più surreali?

È successo che l’on. Luigi Di Maio, nella sua veste di Ministro dello Sviluppo Economico, ha risposto alla Camera a un’interpellanza dell’on. Vincenza Labriola. Interpellanza che la deputata pugliese, qualificatasi come figlia di un operaio dell’Ilva, ha rivolto al Governo per sapere cosa intenda fare rispetto a quello che è, a tutt’oggi, il maggior gruppo siderurgico italiano. E ciò anche alla luce delle ultime novità di questa ingarbugliata e complessa vicenda.

Ebbene, la risposta del biministro Di Maio è stata importante non solo per i suoi contenuti, ma perché ha gettato nuova luce su quali siano le vere intenzioni del Governo pentaleghista in merito all’Ilva.

In un primo tempo, ovvero lunedì 9 luglio, il biministro Di Maio (biministro perché ha assunto su di sé, oltre all’incarico di ministro dello Sviluppo Economico, anche quello di ministro del Lavoro), dopo aver incontrato al Mise prima i rappresentanti sindacali, e poi quelli dell’azienda capofila della cordata acquirente dell’Ilva, ovvero di ArcelorMittal, aveva dato mostra di aver assunto un atteggiamento costruttivo rispetto agli sviluppi della stessa vicenda Ilva. Aveva infatti dichiarato che il Governo giudicava “insoddisfacenti” sia i piani ambientali presentati da AM InvestCo, la cordata costituita ad hoc per impulso principale di ArcelorMittal, sia le ricadute occupazionali dei piani industriali elaborati dalla stessa AM investCo. Ma aveva anche dichiarato di aspettarsi dei “miglioramenti” di tali piani. Insomma, dopo essersi fatto bello, in precedenti occasioni, del fatto che lui e il suo staff stavano affrontando l’onerosa lettura delle 23.000 pagine cui, ormai, assomma il corposo dossier Ilva, dava adesso mostra di aver abbandonato i toni apocalittici cari al garante politico del MoVimento 5 Stelle, Beppe Grillo, che dopo le elezioni del 4 marzo aveva detto che avrebbe visto bene, al posto dello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa, un bel parco giochi. E di aver, anzi, assunto un atteggiamento costruttivo, volto a tenere insieme le esigenze ambientali con quelle occupazionali e industriali. Per cui, niente porte sbattute in faccia al colosso franco-indiano dell’acciaio – ArcelorMittal, appunto -, come avrebbero voluto certi ambientalisti estremisti, ma la richiesta di apportare modifiche migliorative ai piani presentati nei mesi scorsi.

Dopo poco più di 24 ore, però, un fatto nuovo cambiava il quadro delineatosi nella serata di lunedì 9, anche se, almeno apparentemente, non mutava ancora l’atteggiamento assunto dal Governo. Infatti, con uno stringatissimo comunicato, emesso nella tarda serata di martedì 10, il Ministero dello Sviluppo economico rendeva noto il testo di una lettera che il Presidente della Regione Puglia, Emiliano, aveva inviato allo stesso Di Maio. Lettera in cui si affermava che la procedura relativa alla gara che aveva portato all’aggiudicazione dell’Ilva alla cordata AM InvestCo “presenta zone d’ombra che andrebbero chiarite al fine di accertare se effettivamente tale aggiudicazione sia avvenuta in favore della migliore offerta”. “Le sarei grato – concludeva Emiliano – se volesse disporre opportune verifiche sulla correttezza della procedura di gara espletata, eventualmente avvalendosi dell’Anac”, cioè, nientemeno, che dell’Autorità nazionale anti-corruzione, quella guidata da Raffaele Cantone.

Ora il punto è che qui Di Maio non si limitava a “prendere atto” dei contenuti di una lettera il cui testo integrale veniva, peraltro, reso prontamente di pubblico dominio, ma accoglieva non si dice con grande rapidità, ma proprio con immediatezza, la richiesta di Emiliano, girando le carte a Cantone.

Insomma, fin qui si vedeva un Ministro, da un lato, costruttivo e, dall’altro tanto corretto da coinvolgere immediatamente l’Anac affinché esaminasse la correttezza sottostante al dossier industriale su cui era personalmente impegnato.

Oggi, però, l’intervento di Di Maio alla Camera ha gettato nuova luce sull’atteggiamento complessivo del Governo. Infatti, per prima cosa, il biministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro ha reso noto di aver già ricevuto una risposta da Cantone. Il che significa che per affrontare un dossier di 23.000 pagine, o almeno quella parte del dossier che si riferisce alla gara vinta nel giugno 2017 dalla cordata AM InvestCo, al rapidissimo Cantone è stata sufficiente la somma di sette giorni di lavoro più un weekend. Meglio di Speedy Gonzales.

Per seconda cosa, Di Maio ha reso noto che nella sua risposta Cantone ha comunicato di aver individuato diversi elementi di “criticità” nelle procedure attraverso le quali i Commissari dell’Amministrazione Straordinaria ritennero, nella primavera del 2017, di aggiudicare i “complessi aziendali” del gruppo Ilva ad AM InvestCo e non alla cordata concorrente, AcciaItalia, quella capitanata dal gruppo indiano Jindal.

Ebbene, ha detto Di Maio, “queste criticità per noi sono macigni”. “Avvierò” quindi “un’indagine interna al Ministero”, ha tuonato Di Maio. Il quale ha proseguito affermando che chi si è reso responsabile della procedura di gara seguita “ne dovrà rispondere”. E ha poi aggiunto: “per ora politicamente”. Tre parole che sono un capolavoro, sotto un profilo comunicativo. A prima vista, infatti, sembrano voler dire “solo politicamente”. Ma in realtà, anche senza esplicitare il pensiero, suggeriscono che, in un secondo tempo, chi è stato responsabile della “procedura di gara” revocata in causa potrebbe essere chiamato a risponderne giudiziariamente.

E chi sarebbe, poi, questo “chi”? Funzionari del Ministero? Questa frase sibillina, infatti, potrebbe essere interpretata come un nuovo capitolo del libro intitolato: “Il Governo penta leghista contro i pubblici funzionari, gli Enti pubblici e le Autorità indipendenti”. Ma va detto che nel pomeriggio l’ex Ministro Calenda, che è un vero signore, si è assunto la piena responsabilità politica di quanto fatto, sotto i Governi Renzi e Gentiloni, in merito all’Ilva.

Ciò detto, ricapitoliamo quanto visto sin qui. Lunedì 9 luglio Di Maio mostra, rispetto alla vicenda Ilva, un atteggiamento costruttivo, molto lontano dalle sparate anti-industrialiste di Beppe Grillo, ovvero del “garante” del movimento di cui lo stesso Di Maio è, dopotutto, il cosiddetto “capo politico” . Martedì 10 Michele Emiliano, Presidente teoricamente piddino della Regione Puglia, gli scrive per denunciare la presenza di “zone d’ombra” nella procedura con cui la stessa Ilva è stata aggiudicata ad ArcelorMittal e suggerisce di sottoporle all’esame dell’Anac. In meno di dieci giorni il Presidente della stessa Anac, Cantone, esamina quindi il materiale e giunge alla conclusione che nel dossier Ilva vi sono diverse “criticità”, Ed ecco che, venerdì 20, Di Maio è già in grado di intervenire alla Camera per dichiarare che quelle “criticità”, per il cosiddetto “Governo del cambiamento” da lui rappresentato, sono dei “macigni”.

Un osservatore non bonario della vicenda potrebbe insomma avere l’impressione che tutto sia stato, come dire, troppo rapido. Il trio Emiliano, Cantone, Di Maio ha dato l’impressione di aver giocato sul campo dell’Ilva come facevano gli attaccanti di certe squadre di calcio del passato quando, giocando a tre punte, si passavano la palla, come usa dire, “a memoria”, ovvero senza neanche guardare dov’era il compagno di squadra perché presupponevano che, a un certo punto dell’azione di gioco, dovesse essere in una certa zona del campo.

Un pensiero, questo, che potrebbe essere, per così dire, corroborato da un dettaglio interessante: l’on. Vincenza Labriola, attualmente deputata di Forza Italia, e quindi dell’opposizione, è stata eletta alla Camera per la prima volta, ovvero nel 2013, come candidata del MoVimento 5 Stelle.

Sia come sia, dopo l’intervento del capo politico dei 5 Stelle alla Camera, il sorriso dovrebbe essere tornato sul volto arcigno del garante, Beppe Grillo. Mentre crescono le preoccupazioni di tutti coloro che pensano che l’esistenza in vita del gruppo Ilva sia una precondizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché l’Italia mantenga la sua posizione di seconda potenza manifatturiera d’Europa.

In serata, un comunicato di ArcelorMittal ha diffuso parole rassicuranti, almeno per ciò che riguarda la volontà dell’azienda: “Ribadiamo il nostro impegno verso Ilva e il rispetto degli impegni che abbiamo preso”.

Resta il fatto che revocare in dubbio la regolarità della procedura attraverso la quale AM InvestCo ha vinto nella primavera del 2017 la gara per l’aggiudicazione dell’Ilva significa minare alla base la validità del contratto con cui, subito dopo l’aggiudicazione, la stessa AM InvestCo ha pattuito quel famoso “affitto di ramo d’azienda” che costituisce la premessa giuridica del successivo acquisto.

Ora se lo stabilimento di Taranto costituisce, come è ampiamente noto, l’acciaieria più grande d’Europa, il Gruppo ArcelorMittal, per proporzioni e capacità produttive, è ai vertici delle classifiche mondiali del settore. Se dovesse essere posto nella condizione di rinunciare all’impresa in cui si è impegnato, non si sa chi potrebbe assumersi il compito di tenere il gruppo Ilva vivo e vegeto in una fase in cui la competizione globale nel settore dell’acciaio si sta facendo più complessa e più dura.

(Articolo pubblicato sul giornale Il Diario del Lavoro)

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