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Energia, ecco fini e sfide per Bei e Commissione Ue

Che cosa cambia dopo la delibera Bei pro rinnovabili, i problemi aperti e gli obiettivi annunciati da Bruxelles. L'analisi di Margherita Bianchi per l’Istituto Affari Internazionali (IAI)

La Banca europea degli investimenti (Bei), uno dei maggiori finanziatori multilaterali di progetti finalizzati a sostenere obiettivi climatici e ambientali, ha fornito – solo negli ultimi cinque anni – più di 65 miliardi di euro a favore delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della distribuzione di energia. Un riesame della politica di finanziamento nel settore energetico, avvenuto nel 2013, aveva poi fatto della Bei la prima istituzione finanziaria internazionale a porre concretamente fine ai finanziamenti a favore della produzione di elettricità da carbone e lignite. Pioniera dei green bonds, la Bei è quindi per molti motivi considerata già da tempo, e da molti, ‘la banca del clima’.

UNA DECISIONE STORICA

La decisione, arrivata pochi giorni fa, consolida le ragioni dietro a questa ambiziosa ‘etichetta’, poiché la Banca prevede di non sostenere più, dalla fine del 2021, alcun progetto riguardante la produzione di energia da combustibili fossili, compreso il gas. La Bei ha fissato un nuovo standard in materia di emissioni pari a 250g di Co2 per kilowatt/ora (kWh), sostituendo l’attuale tetto di 550g di Co2/kWh, e ha annunciato che, nel prossimo decennio, mobiliterà mille miliardi di euro di investimenti sostenibili su ambiente e clima. La quota di finanziamenti dedicati agli obiettivi climatici e ambientali raggiungerà il 50% delle operazioni entro il 2025, mantenendo gli impegni negli anni successivi.

LE LINEE GUIDA

Tra le nuove linee guida ci sono la priorità data al principio dell’efficienza energetica (non certo nuovo a livello europeo, ma mai veramente applicato), maggiori investimenti a favore della produzione decentrata di energia, stoccaggio e mobilità elettrica, il potenziamento d’investimenti in rete energetica e interconnessioni transfrontaliere, oltre che più incisivi finanziamenti a sostegno della trasformazione del settore nei Paesi terzi.

UN COMPROMESSO

Con 13,5 miliardi di euro sui fossili negli ultimi cinque anni – di cui nove sul gas –, la decisione ora arrivata è stata presa non senza contrasti tra gli Stati membri, azionisti della Banca. In questi anni la Bei ha finanziato progetti chiave per le priorità di sicurezza energetica e la diversificazione degli approvvigionamenti dell’Unione, primo tra tutti il gasdotto Tap al quale sono arrivati 1,5 miliardi di euro. Altri progetti sul tavolo come il gasdotto EastMed non godranno verosimilmente dello stesso trattamento da adesso.

DOSSIER GAS

Il gas è stato tema divisivo perché rilevante nei mix energetici di molti Stati membri, anche in chiave decarbonizzazione. Undici Stati pianificano di aumentare la capacità delle loro infrastrutture, mentre cinque di estrarlo dal sottosuolo. Tra i primi la Germania e l’Italia: Berlino espanderà e ristrutturerà la rete del gas a lunga tratta, l’Italia le infrastrutture per l’import di gas naturale liquefatto (Gnl) e per l’uso del gas nei trasporti.

IL RUOLO DELLA GERMANIA

Il consenso della ‘pesante’ Germania, che inizialmente aveva minacciato di astenersi dal voto per mancanza di consenso comune all’interno del governo, ha sbloccato la situazione. La proposta iniziale al 2020 è stata infatti posticipata di un anno per venire incontro agli Stati che chiedevano flessibilità sui progetti relativi al gas.

COSA FARA’ LA BEI PER I PAESI DELL’EST

Per quei Paesi che si trovano ad affrontare specifiche sfide in materia d’investimenti energetici – in particolare i Paesi dell’Europa orientale –, la Bei sovvenzionerà fino al 75% dei costi ammissibili dei progetti, permettendo loro di avvalersi del sostegno della Banca anche per la consulenza, oltre che per i finanziamenti. La Banca parteciperà poi al fondo per la Just Transition, pensato proprio per evitare contraccolpi sociali nelle aree in cui la quota fossile da eliminare è più rilevante che in altre.

LA POSIZIONE DEI PAESI DELL’EST

La Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, contrarie alla decisione Bei e restie a sposare la visione della neutralità climatica al 2050, aspettano garanzie in questo senso, che dovrebbero arrivare con la presentazione del Green New Deal. Sei Paesi si sono poi comunque astenuti dal voto: per la poca flessibilità sul gas – Malta, Cipro, Estonia e Lituania –; altri due – Austria e Lussemburgo – per l’ammissibilità del nucleare ai finanziamenti.

LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE UE

Dal Green New Deal, come priorità della presidente eletta della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla decisione della Bei, l’Unione europea sembra pronta a raccogliere la sfida della transizione energetica, sebbene si aspettino garanzie sui molti fronti ancora aperti. La lungimirante scelta della Bei ad esempio non può spegnere i riflettori su una serie di questioni che lascia aperte: la mancata differenziazione tra fonti fossili e il contributo importante che il passaggio dal carbone al gas può portare in determinati contesti – non certo la risposta al cambiamento climatico di per sé, ma un passaggio utile in termini di riduzione di Co2 e di qualità dell’aria.

SCENARI E FRONTI

La necessità, inoltre, di assicurare la sicurezza del mercato a fronte dei minori investimenti in fossile e, da ultimo, la discussione intorno al mantenimento dell’infrastruttura alla luce di una possibile riconversione – seppure parziale – a idrogeno e gas verde. La Commissione lavorerà su molti di questi temi non appena insediata, auspicabilmente dando qualche risposta in più a questi interrogativi.

(estratto di un’analisi pubblicato su Affariinternazionali; qui la versione integrale)

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