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Climate Change, tutte le ultime scintille di Trump sulle rinnovabili

Ecco le più recenti parole e mosse dell’amministrazione americana sulle politiche energetiche. Fatti, commenti e scenari nell’approfondimento di Emanuele Rossi Il Washington Post ha ottenuto alcuni documenti riservati che riguardano il bilancio federale americano del 2019 (che arriverà entro questo mese), secondo cui l’amministrazione Trump starebbe provvedendo a tagliare del 72 per cento i programmi…

Il Washington Post ha ottenuto alcuni documenti riservati che riguardano il bilancio federale americano del 2019 (che arriverà entro questo mese), secondo cui l’amministrazione Trump starebbe provvedendo a tagliare del 72 per cento i programmi per le energie rinnovabili e per l’efficienza energetica del dipartimento dell’Energia. È una “dichiarazione di intenti e di priorità politiche” scrive il WaPo; un altro colpo che la presidenza vuole indirizzare al settore green, dando sostegno alla sua retorica pro energie fossili; quella secondo cui l’America farà rinascere, per esempio, le miniere di carbone, il “bel carbone pulito” come il presidente ha chiamato nel suo primo SOTU la risorsa di cui alcuni stati rurali ad alta concentrazione di elettori trumpisti sono ricchi.

Carbon TaxUN’ALTRA POSTURA ANTI-OBAMA

Da notare che, come in decine di altre posture, il presidente Donald Trump sostiene il carbone sottolineando la sua differenza rispetto all’amministrazione precedente, responsabile secondo la sua narrazione di una “war on coal” che ha messo in ginocchio l’economia interna di quegli stati (dove però in realtà sono stati i vari processi di automazione industriale a erodere il numero di dipendenti delle miniere, e poi gli shale). Ma lo scontro con la presidenza Obama è da sempre un pallino – paranoico, secondo molti osservatori – dell’Era Trump, e tagliare quel budget serve a seguire questa traiettoria che piace molto ai suoi elettori: per esempio, il dipartimento all’Ambiente (l’Epa, guidato da uno scettico del riscaldamento globale amico di Trump, Scott Pruitt, in questi giorni finito sulla graticola perché i giornali americani hanno ritrovato una sua intervista, concessa a una radio minore di Tulsa nel 2016, in cui definiva l’attuale presidente “un bullo” che “potrebbe abusare della costituzione più di Barack Obama”; e dunque sarebbe meglio dire “ex-amico”), ha esposto trionfalmente all’ingresso della sua palazzina a Washington un poster in cui si elencano le cancellazioni delle normative ambientali d’era obamania come un successo dell’amministrazione attuale.

LA LINEA POLITICA

Favorire l’energia fossile sulle rinnovabili non è tanto una questione strategica, dunque, ma una linea politica: le fonti green sono considerate una sorta di panacea dai sostenitori più radicali del cambiamento climatico, e dunque va da sé che gli assertori dello scetticismo sui climate change come Trump, le catalogano come un costoso rimedio omeopatico per un male che ritengono inesistente (si ricorderà di quando poche settimane fa il presidente su Twitter chiedeva “un po’” di global warming per riscaldare gli americani della East Coast finiti sotto una tempesta di neve). Sulla stessa ottica: l’amministrazione ha da poco imposto tariffe sui pannelli fotovoltaici importati, in una mossa che cerca di creare il primo vettore armato contro Pechino (principale esportatore) mettendo comunque a rischio di contraccolpi un settore – le rinnovabili – in cui Trump non crede; anzi, nella retorica della Casa Bianca viene fatta notare la sovrapposizione tra il settore di quei liberal ideologizzati dal climate change che importano prodotti cinesi a discapito della produzione americana (ovviamente, il contraltare, è il “King Coal” America First di Bellaire, per esempio, in Ohio, swing state che ha contribuito in modo decisivo alla vittoria di Trump alle presidenziali).

CONTRO L’INNOVAZIONE

L’Office of Energy Efficiency e Renewable Energy sarebbe già dovuto finire quest’anno sotto tagli: era stata chiesta una riduzione del budget obamiano da 2.04 miliardi a poco più di 600 milioni di dollari, ma il Congresso non ha recepito la richiesta, finita in mezzo alle negoziazioni sul budget. Ora per il prossimo anno fiscale (quello 2019 per la legge americana parte dal 1 ottobre di quest’anno) la proposta fisserebbe la cifra a 575 milioni, ossia salteranno gran parte delle linee di lavoro programmate per finanziare la ricerca su veicoli a basso consumo di carburante, le tecnologie di bioenergia, la produzione avanzata e l’avanzamento tecnologico sul solare. Sacrificate sull’altare del fossile, sebbene, per esempio, al Cop 23 del novembre scorso (la ventitreesima conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite) si sia raggiunta una visione congiunta e univoca – praticamente globale –, che isola l’America sulla sua linea quasi-antiecologica (per riprendere il discorso: in quell’occasione è stata firmata la Powering Past Coal Alliance, lanciata da Canada e Regno Unito, in cui si prevede il phase out del carbone entro il 2030).

PER QUANTO TRUMP SARÀ ANCORA ANTI-CLIMA?

clima trumpA dispetto delle informazioni clandestine che da diverse settimane escono dalle solite gole profonde dell’amministrazione, in cui si descrive la Casa Bianca di fatto piuttosto indecisa sul futuro verde (si parla addirittura di un clamoroso dietrofront sull’annuncio del ritiro americano dall’accordo sul Clima di Parigi), i dati al momento dicono che l’amministrazione spinge una politica distante dalle questioni climatiche. L’Atlantic, per esempio, fa notare che nel discorso sullo Stato dell’Unione, quello del “beautiful, clean coal”, il presidente non ha mai parlato di Climate Change, dando spinta alla polarizzazione anche su questo argomento. Su cui c’è molta divisione anche all’interno dell’amministrazione stessa. Ancora con un esempio: se da un lato al dipartimento dell’Energia non si combattono i tagli trumpiani, anche perché lo guida è un altro scettico del cambiamento climatico, la Difesa ha redatto a gennaio (reso pubblico in questi giorni) un report sottoposto al Congresso in cui si dimostra che circa il 50 per cento delle basi americane in giro per il mondo potrebbero soffrire in futuro dei danni (temperature estreme, alluvioni e siccità) legati ai cambiamenti climatici. Il Pentagono è una delle agenzie che più di tutte sostiene il global warming come questione di interesse nazionale, ritenendolo una questione strategica con cui fare i conti.

Emanuele Rossi

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