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Vi spiego perché la rassicurazioni di Gualtieri sul Mes non rassicurano. Il commento di Polillo

L'audizione parlamentare del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri (Pd), analizzata dall'editorialista Gianfranco Polillo

 

Chissà se Roberto Gualtieri, da storico attento qual è, conosce un vecchio testo curato da Ignazio Visco, nel 1985, per le edizioni de Il Mulino, prima di assurgere alla carica di Governatore della Banca d’Italia? Il suo titolo era: “Le aspettative nell’analisi economica”. E recava gli scritti sull’argomento dei principali economisti: da Keynes a Hicks, per terminare con Paul Davinson sulla “aspettative razionali”. Domanda d’obbligo, visto il tenore del suo intervento presso la Commissione Finanze del Senato: dove si discuteva del Mes. Vale a dire della nuova disciplina del Fondo salva Stati. Che tanta bagarre ha prodotto nella dirimpettaia Aula di Montecitorio. Al limite dello scontro fisico tra esponenti della maggioranza e dell’opposizione.

Apparentemente sembra di no. Altrimenti non avrebbe detto: “Le preoccupazioni sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, che “adesso in alcuni settori sembra suscitare grande interesse”, sono “del tutto infondate e basate su informazioni non precise e non corrette”. Soprattutto non avrebbe definito “comico” il fatto che la riforma “rappresenti una terribile innovazione che definisce due categorie di Paesi o attenta alla stabilità finanziaria dell’Italia”.

Perché quelle preoccupazioni erano state espresse dallo stesso Governatore della Banca d’Italia. “I vantaggi piccoli e incerti di un meccanismo di ristrutturazione del debito – aveva detto nel corso seminario OMFIF-Banca d’Italia “Il futuro dell’area dell’euro” dello scorso 15 novembre – devono essere valutati rispetto all’enorme rischio che il semplice annuncio della sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, che potrebbero dimostrarsi auto avveranti”, Ecco, quindi, il gioco perverso di certi accadimenti. Lo avevamo già scritto. Ma spesso: repetita iuvant.

Su un punto, tuttavia, il ministro dell’Economia ha ragione. La situazione è ormai compromessa. Non vi potranno essere modifiche sostanziali alla bozza del Trattato. Quindi la tesi di Giuseppe Conte, secondo il quale, intervenendo nell’Aula di Montecitorio, aveva detto che il Parlamento italiano rimaneva comunque sovrano nel non ratificare il nuovo Trattato, sono in aperto contrasto con il pensiero del rappresentante dell’Economia. Se, infatti, il Parlamento italiano avesse l’ardire di compiere quel passo, la reazione dei mercati sarebbe quella temuta dal Governatore della Banca d’Italia. Del resto lo stesso Luigi Di Maio, fino a qualche ora fa, decisamente contrario ad ogni ipotesi di ratifica, si è già smarcato. Assumendo una posizione più possibilista: vedremo, cercheremo. E via dicendo.

Un fatto resta, tuttavia, incontrovertibile. Nella riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno, Giuseppe Conte ha disatteso le delibere del Parlamento italiano. Doveva opporsi al Trattato, secondo quanto previsto dalla risoluzione a firma di Riccardo Molinari e Francesco D’Uva (capi gruppo di Lega e 5 stelle). Ed invece ha dato il via libera alla continuazione del negoziato, su elementi di dettaglio. Forse non sarà un “tradimento”, come ha detto Giorgia Meloni, ma certo non è stata una buona azione. Che, in altri tempi, avrebbe, forse, portato alla crisi di governo.

Nel merito della discussione tecnica, le perplessità sono evidenti. Lo stesso Conte, seppur in modo inconsapevole – almeno così riteniamo – le aveva evidenziato parlando del passaggio “dal cosiddetto “dual limb” al “single limb” delle clausole di azione collettiva già comunque presenti nel trattato in vigore e operanti a partire dal 2013.” Problemi un po’ complicati. A partire da quell’anno i titoli emessi da ciascuno Stato potevano essere accompagnati dalla clausola di azione collettiva. Lo strumento era calibrato soprattutto per scongiurare eventuali fughe dall’euro. In questa eventualità infatti gli stessi non potevano essere rimborsati con l’eventuale nuova moneta (svalutata), ma tenendo conto della perdita di cambio. Lo strumento giuridico era rappresentato dalla cosiddetta Cac. L’azione collettiva. Visto che era richiesta una maggioranza che, a seconda dei casi variava dal 50 al 75 per cento, dei possessori di quel singolo titolo, i quali avrebbero deciso come farsi rimborsare.

Con il “single limb”, il panorama cambia. Basterebbe, infatti, una singola votazione per coinvolgere non il singolo titolo, ma l’intera struttura del debito pubblico. In tal modo il precedente istituto, ch’era una garanzia per i vecchi sottoscrittori, si trasforma in una pistola fumante a danno di tutti i risparmiatori che hanno dato la loro fiducia all’emittente. Basterebbe, infatti, che un Soros di turno, acquistasse sul mercato secondario la maggioranza dei titoli emessi in una sola tornata, per determinare, in condizioni di difficoltà per il Paese emittente, la ristrutturazione di tutto il suo debito.

Come questo sia compatibile con il principio di uguaglianza, previsto dall’articolo 3 della nostra Costituzione e con il 47 (tutela del risparmio), è tesi ardua da dimostrare. Per molto meno – va ricordato – alcune norme dei Trattati sono stati sottoposti al preventivo parere della Corte costituzionale tedesca.

Checché ne dica Roberto Gualtieri, si apre pertanto una fase che tutto è meno che “comica”. E questo a prescindere da altri rilievi, relativi al rapporto tra Mes e Commissione europea. Anche in questo caso vale il paragone. E’ forse meglio trattare in sede Onu o Fondo monetario internazionale? Ai greci, che già hanno potuto sperimentare, sulla loro pelle, questa differenza varrebbe la pena porre l’interrogativo.

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