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Vi spiego perché la legge finanziaria 2020 è di fatto già scritta

La prossima legge di bilancio conterrà dei tagli approssimativi per consentire ancora una volta di rimandare l’aumento dell’Iva e non conterrà alcuno stimolo alla crescita. L’azione di stimolo che proverrebbe da una riduzione delle imposte, come quella sollecitata dalla Lega, vi sarebbe solo se essa fosse fatta in deficit. Il commento di Giorgio La Malfa, economista ed ex ministro

 

L’occasione per impostare una politica economica di sviluppo in discontinuità con i governi della precedente legislatura i due partiti che formano l’attuale coalizione l’hanno persa esattamente un anno fa, subito dopo essere andati al potere. Ora è troppo tardi per recriminare, come stanno facendo gli esponenti della Lega dopo una prima riunione con il ministro Tria e come certamente continueranno a fare ambedue i partiti fino alla presentazione del bilancio 2020 all’inizio di ottobre.

I padroni e i garanti del “contratto” – non del contratto originale fra i due alleati, ma di quello stipulato poche settimane fa con la Commissione Europea per evitare la procedura di infrazione – sono il presidente del Consiglio e il ministro Tria e questi possono essere spodestati solo con una crisi di governo che i due partner sono troppo spaventati per aprire. Questa volta, a differenza dell’anno scorso, il ministro dell’Economia può tranquillamente dire tutti i no necessari ai due partner di governo, perché le loro sono minacce vuote.

Il momento in cui i due alleati potevano dare il senso di una svolta, che del resto l’opinione pubblica attendeva dopo anni di stagnazione economica, era all’indomani della formazione del governo. Era quella l’occasione per formulare un programma coraggioso che comprendesse anche il superamento dei limiti stretti di bilancio negoziati dai governi precedenti. Bisognava predisporre un ampio programma di investimenti, mostrare che attraverso la realizzazione di quel programma si poteva ottenere una riduzione in prospettiva del rapporto debito-Pil maggiore di quella precedentemente concordata e dichiararsi disponibili a confrontarsi sia sui numeri che sui contenuti del programma con l’Europa.

Questo non è stato fatto. Anzi non è stato neppure tentato. Il perché lo si è capito quasi subito, osservando l’azione di governo. All’origine del problema c’è il cosiddetto contratto stipulato dalla Lega e dai Cinque stelle ed al quale essi fanno continuo riferimento, non tanto quello che c’era nel contratto, ma quello che mancava.

La parte mancante era un comune progetto di rilancio dell’economia italiana o almeno l’impegno a dedicare alla definizione di questo programma la prima fase dell’attività del governo. Nel contratto c‘era soltanto l’elencazione – anzi la giustapposizione – dei rispettivi programmi elettorali. La sola cosa alla quale il governo si è dedicato nei primi mesi è stata la presentazione di questi programmi elettorali al di fuori di qualunque cornice coerente.

Il governo è stato considerato come il veicolo per la realizzazione delle promesse elettorali dei due partiti. Così invece di un serio programma di investimenti volto a fare ripartire la crescita dell’economia italiana, abbiamo avuto il velleitario superamento dei limiti concordati con la Commissione Europea dai governi precedenti per finanziare due programmi di spesa corrente che non avevano – e non hanno avuto – alcun effetto positivo sulla crescita dell’economia italiana.

Da lì il disastro che si è manifestato una prima volta quando a dicembre il governo ha dovuto riscrivere in tutta fretta la finanziaria per riportare il deficit per il 2019 dal 2,4 per cento a un più prudente 2,04 per cento. E di lì il secondo disastro a metà di quest’anno quando la Commissione Europea ha contestato la violazione degli impegni presi da questo stesso Governo a dicembre e dunque il possibile inizio di una procedura di infrazione contro l’Italia, basata sul superamento dei limiti concordati per il 2018, per il 2019 e per il 2020.

Portando la firma, apposta poche settimane prima, del governo italiano – non del solo ministro dell’Economia – la violazione di quegli impegni avrebbe comportato l’avvio pressocché automatico della procedura di infrazione. A quel punto è stato giocoforza accettare di correggere le tendenze messe in luce ed era troppo tardi per rimettere in discussione integralmente la strategia di politica economica come si sarebbe potuto fare all’inizio del mandato. Così il presidente del Consiglio e il ministro Tria hanno sottoscritto un duplice impegno, quello di correggere i conti del 2019 – il che è stato fatto con delibera del Consiglio dei Ministri di qualche settimana fa – e di tenere il 2020 nei limiti convenuti. Solo allora la Commissione Europea, mentre i due vicepresidenti facevano polemiche inutili contro l’Europa, ha bloccato la procedura di infrazione.

Per questo la legge finanziaria 2020 è di fatto già scritta. Conterrà dei tagli approssimativi per consentire ancora una volta di rimandare l’aumento dell’Iva e non conterrà alcuno stimolo alla crescita. D’altra parte l’azione di stimolo che proverrebbe da una riduzione delle imposte, come quella sollecitata dalla Lega, vi sarebbe solo se essa fosse fatta in deficit o almeno finanziata da tagli di spesa meno utili ai fini dello sviluppo.

Dal momento che il deficit non verrà rimesso in questione – e questo governo non è più in grado di metterlo in discussione – né si procederà a una vasta riorganizzazione del bilancio per scegliere spese produttive e tagliare le spese improduttive – il che richiederebbe tempo e capacità di lavoro che questo Esecutivo non ha – non c’è politica di sviluppo.

E l’Italia continuerà a essere il fanalino di coda in Europa. Solo una svolta politica di cui ancora non si vedono i protagonisti potrebbe consentire di tentare di fare ripartire il Paese. Ma dovrebbe cominciare una storia molto diversa.

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