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Quota 102

Vi spiego le vere ragioni del conflitto fra M5S e Lega su pensioni d’oro e d’argento

L'analisi di Gianfranco Polillo, già sottosegretario all'Economia ed editorialista di Start Magazine, sul dibattito in corso nella maggioranza di governo sulle pensioni

Alla fine i nodi stanno venendo al pettine. E siamo solo agli inizi. In attesa di scoprire cosa ci riserverà l’autunno, con la manovra di bilancio, la discussione sulle ipotesi di riforma delle pensioni sta entrando nel vivo.

Imputato numero uno, le cosiddette “pensioni d’oro”. Il cui importo non dovrebbero superare una determinata cifra, sempre che quest’ultima, dopo le necessarie manipolazioni, sia determinabile. Senza alimentare il più vasto contenzioso della più recente storia nazionale. Con Tribunali ingolfati dal ricorso di migliaia di pensionati imbufaliti. Che abbiano resistito alla tentazione di trasferirsi in uno di quei paradisi fiscali (Portogallo e dintorni), per recuperare, in termini di minori imposte, il piccolo o grande esproprio subito.

Si tratta, comunque, di un tormentone che dura dal 2011. Risale, infatti, al comma 21 dell’articolo 24 del decreto legge 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici) più noto come “il decreto Salva Italia”.

Nella retorica montiana, il primo tentativo di colpire gli “odiosi” privilegi, con un contributo di solidarietà che doveva durare dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2017. Fu riscosso dallo Stato per poco più di due anni. Poi nel giugno del 2013, la Corte dichiarò la norma incostituzionale (116/2013). E lo Stato costretto a restituire il mal tonto. Per fortuna senza interessi.

Nell’economia complessiva di quel provvedimento la norma aveva un senso. Il decreto stabiliva le nuove regole della cosiddetta “legge Fornero”. Che anche i pensionati più benestanti potessero pagare qualcosa, ci stava. Non vi furono quindi particolari obiezioni, anche perché erano in molti a ritenere che la disposizione fosse incostituzionale. Si trattava quindi di un prestito coatto, più che di prelievo definitivo. Che comunque contribuì, per la sua quota parte, a raffreddare la domanda interna e, quindi, a ridurre il forte disavanzo con i conti con l’estero. Con un effetto netto positivo.

Ci riprovò con più cattiveria e determinazione il governo di Enrico Letta. A soli sei mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale, il prelievo sulle pensioni più elevate fu deciso con il comma 486 della legge 147 (finanziaria 2014). Il periodo fu ristretto da 5 a 3 anni, ma le aliquote raddoppiate. Il dispositivo giuridico fu reso più sofisticato, per evitare di incorrere nei rilievi della Corte Costituzionale. Segno di un accanimento poco giustificato. La crisi italiana mostrava sintomi di miglioramento, che non reclamavano misure di quella natura.

Al tempo stesso durante la discussione in Commissione si propose di garantire le stesse, anzi maggiori, risorse, elevando, in alternativa, dal 3 al 4 per cento l’aliquota che gravava sui redditi superiori a 300 mila euro. Si sarebbero colpiti i pensionati – nababbi, ma anche gli altri Paperoni. Ed il gettito sarebbe stato di gran lunga superiore. Sebbene il sacrificio pro – capite, essendo la platea molto più vasta, ridotto. Ci fu nulla da fare. Ed ancora oggi non sono chiari i motivi di quell’agire politico. Si voleva colpire l’elettorato di Silvio Berlusconi, partner scomodo di quel Governo? Penalizzare il Nord, dove è presente il maggio numero di pensionati? Interrogativi non risolti, ma che si ripongono nuovamente.

In questo lungo periodo non sono mancate proposte volte a ricalcolare l’importo delle pensioni. Ne fecero cavallo di battaglia sia Giorgia Meloni che Carlo Cottarelli. Uno stravagante sodalizio. Ecco spuntare il contratto per il governo del cambiamento che fissa l’asticella a 5.000 euro netti. Oltre quella cifra, la pensione va ricalcolata per tener conto della differenza tra rendita e contributi versati. Per la verità una di quelle equazioni che non consentono soluzioni, per la mancanza di parametri e l’eccesso di incognite. Lo stesso Tito Boeri, presidente dell’Inps, da sempre a favore di un intervento “non per cassa, ma per equità”, si è dovuto rassegnare, di fronte all’insondabilità di quel baratro cognitivo.

Cosa che non ha minimamente preoccupato Luigi Di Maio. Il suo problema non è quello di evitare nuovi pasticci in tema previdenziale, ma trovare i soldi per aumentare le pensioni sociali. Che insieme al salario di cittadinanza dilagano nel Mezzogiorno: terra di conquista dei 5 stelle. Accelerare su questo fronte è utile per tanti motivi. Riguarda la concorrenza per la leadership, rispetto alla Lega, in vista delle possibili elezioni. Ma può anche rappresentare una via d’uscita per la vicenda Ilva, qualora la trattativa, con gli indiani, alla fine dovesse abortire. Si può chiudere la fabbrica, come traspare da alcune discussioni all’interno di una ristretta cerchia di militanti, e ricorrere all’ammortizzatore sociale del salario di cittadinanza. Staremo a vedere.

Il fatto è che le ragioni della Lega sono esattamente opposte. E quindi il conflitto inevitabile. Il presidente del gruppo, Alessandro Molinari, ha commesso l’ingenuità di firmare una proposta di legge con il suo collega dei 5 stelle, Francesco D’Uva, che penalizza sostanzialmente le pensioni di anzianità. Ha ripetuto, in altre parole, le schema del Pd durante il Governo Letta, ma con un impatto sociale e politico, specie nei confronti del Nord, ben più devastante. Accortesi dell’errore, ha cercato quindi di correre ai ripari, proponendo quelle modifiche, di cui i 5 stelle, non vogliono nemmeno sentir parlare. Difficile prevedere come se ne uscirà. Anche perché non sarà facile spiegare (anche alla Corte Costituzionale) che con la mano destra si possono colpire le vecchie pensioni di anzianità e mentre con la mano sinistra e “quota 100”, che modifica la legge Fornero, se ne creano di nuove.

GLI APPROFONDIMENTI DI START MAGAZINE SUL TEMA:

IL TESTO DEL CONTROVERSO PROGETTO DI LEGGE M5S-LEGA

IL COMMENTO DI MICHELE ARNESE AL DDL D’UVA-MOLINARI SULLE PENSIONI D’ORO

L’ANALISI DI GIULIANO CAZZOLA AL TESTO M5S-LEGA

LA PROPOSTA DI ALBERTO BRAMBILLA SUL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’

IL COMMENTO DI CAZZOLA SULLA PROPOSTA BRAMBILLA

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