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Bce

Tutte le nuove falle della Bce

Che cosa non va nella Bce tra autorità di risoluzione (per la gestione delle crisi bancarie) e organo di vigilanza? L'approfondimento di Liturri

 

L’articolo di Alessandro Plateroti, pubblicato sul Sole 24 Ore del 8 gennaio, ha destato attenzione ma non il clamore che avrebbe meritato.

In precedenti articoli, Plateroti si era concentrato sui conflitti di interesse della Vigilanza Bce e sul carteggio tra la Nouy e Schauble che chiedeva conto dei costi sostenuti. In questo caso evidenzia l’enorme numero dei contenziosi sorti con investitori che si ritengono danneggiati dagli interventi dell’autorità di risoluzione (organo preposto alla gestione delle crisi bancarie) o dell’organo di vigilanza.

Sembrerebbe un aspetto secondario, ma non lo è. Da fine 2014, questi organismi hanno completamente sostituito le autorità nazionali e si occupano di circa 120 banche dell’eurozona definite ‘significative’ (per intenderci, ci sono anche Monte dei Paschi e Banca Carige, oltre alle altre più grandi banche nazionali).

Tali organismi costituiscono i primi due pilastri dell’Unione Bancaria, messa frettolosamente in piedi dopo la crisi del 2011/2012. Il terzo pilastro, la garanzia comune sui depositi è finito su un binario morto perché, soprattutto i tedeschi, insistono nel chiedere che siano ridotti i rischi presenti nei bilanci delle banche (italiane), prima di procedere alla loro condivisione.

In definitiva, dopo aver atteso 15 anni dall’avvio dell’euro per realizzare che un’unione monetaria senza unione bancaria era una delle cose più dannose e pericolose che si potesse concepire, ora ci permettiamo pure il lusso di avere avviato l’unione bancaria su due gambe anziché tre.

Ma perché tutto questo dovrebbe interessare ad un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori?

Perché da esse dipende la stabilità del nostro sistema bancario, dei nostri risparmi, dei nostri prestiti, delle nostre imprese e sono sempre più numerose le autorevoli voci che criticano le regole poste alla base del loro funzionamento e la loro concreta attuazione. Quindi non solo istituzioni concepite male, ma anche gestite peggio.

L’accusa più frequente è quella di determinare effetti pro-ciclici o, per usare un linguaggio meno aulico, somministrare una cura che ammazza il malato. Valga un esempio su tutti: da quando, gennaio 2016, è entrata in vigore la direttiva BRRD che disciplina la gestione delle crisi bancarie, l’indice di Borsa italiano del settore bancario è crollato del 60% circa in pochi mesi e da allora non si è più ripreso. Inoltre è quasi completamente scomparso il mercato delle obbligazioni bancarie, soprattutto subordinate, candidate ad essere le prime azzerate dopo il capitale, in occasione di un dissesto bancario. Per non parlare della generalizzata crisi di fiducia nel sistema bancario che porta continuamente i risparmiatori depositanti ad interrogarsi sullo stato di salute della propria banca. Incredibile a dirsi, ma si richiede al cittadino il fai-da-te per un’attività costituzionalmente garantita e sottoposta a Vigilanza da autorità nazionali e dell’Ue.

Inquadrato il tema e la sua importanza, alcuni passaggi dell’articolo meritano uno specifico commento.

A parte il numero e il merito dei 650 conteziosi, uno degli aspetti più inquietanti che emerge dalla relazione della Corte è la fragilità e l’inconsistenza della struttura legale assegnata dall’Eurosistema al contenzioso generato dalle regole di risoluzione: a fronte di quasi 700 ricorsi e azioni giudiziarie lanciati dalle banche, il Comitato di Risoluzione ha solo sei avvocati assunti a tempo pieno per difendersi dalle accuse, un numero palesemente inadeguato rispetto alla dinamica del contenzioso. Forse anche per questo, la stessa Autorità di risoluzione non è stata in grado di fornire alla Corte una stima precisa delle passività potenziali legate alle cause a cui va incontro, di fatto, il contribuente europeo. Per avere un’idea delle cifre in gioco, basti pensare che sulle sole cause lanciate nel 2017 contro il sistema di calcolo e assegnazione dei contributi ex ante al Fondo di risoluzione unico, il Comitato prevede di pagare indennizzi alle banche per 1,4 miliardi di euro. A questa cifra dovrebbero poi aggiungersi altri 558 milioni di euro di passività potenziali generate dalle cause depositate fino al settembre 2018.

Siamo alle prese con lo stesso problema evidenziato per l’organismo di Vigilanza, cioè uno staff inadeguato. Stupisce inoltre la manifesta inadeguatezza dell’azione dell’organismo di risoluzione, in pochi anni di attività ha infatti accumulato passività attuali potenziali per circa €2 miliardi, segno dell’approssimazione della sua azione ed anche della fragile base normativa su cui fonda la propria opera.

Prosegue Plateroti:

Ma questa è solo una parte della storia. La parte più critica della relazione riguarda infatti le passività miliardarie che rischiano di esplodere a spese dell’Eurosistema per effetto delle cause promosse dagli investitori internazionali contro l’unico intervento di risoluzione gestitito dal Comitato in base alle nuove norme sulle crisi bancarie: la liquidazione del Banco Popular Espanol. Nel giugno 2017, infatti, il Comitato decise la risoluzione della banca spagnola, provocando perdite per oltre 4,1 miliardi di euro ad azionisti e obbligazionisti subordinati. ripulito il bilancio, le attività residuali furono cedute al Banco Santander per appena un dollaro: la vendita degli asset, le svalutazioni e soprattutto i concambi di fusione hanno scatenato non solo l’ira degli hedge fund, ma anche di colossi come Goldman Sachs, che hanno avviato subito decine di cause e ricorsi. Nel complesso, 99 procedimenti sono stati intentati nel solo 2017 presso la Corte di Giustizia contro il Comitato di risoluzione unico e altre quattro cause sono state depositate a fine maggio 2018: alla fine del settembre scorso, tre di queste 103 cause sono state dichiarate «irricevibili» dal Tribunale Ue e quindi riavviate presso tribunali nazionali. Nel merito, alcuni ricorrenti affermano che il Comitato e la Commissione hanno causato l’illiquidità e la conseguente risoluzione del Banco Popular Español, che ci sono state violazioni del segreto professionale e una presunta fuga di informazioni da parte di un funzionario della Ue: gli azionisti chiedono un indennizzo dei danni pari al valore di mercato delle azioni quotate del BPE alla fine di maggio 2017, che potrebbe anche essere superiore agli importi svalutati o convertiti nella risoluzione.

Qui abbiamo la conferma del peggior sospetto avanzato in precedenza. L’attività di questi organismi porta all’acuirsi del problema che vogliono risolvere. È come mandare in palestra un soggetto dal fisico gracile e debilitato, può solo peggiorare. Fissano piani di ristrutturazione ambiziosi, tutti basati sul taglio dei costi, i risparmiatori ed i clienti insospettiti fuggono, la banca perde volumi di attività, i margini si assottigliano e diventano perdite e la profezia si autoavvera.

Plateroti termina con l’ultimo clamoroso caso:

Ma nell’elenco delle cause contro l’intera filiera delle autorità amministrative e di vigilanza europea, figura un caso clamoroso i cui dettagli erano rimasti finora nell’ombra: i danni provocati al mercato e ai risparmiatori dall’incomprensibile decisione del Comitato unico di ignorare la richiesta della Bce (e della Fed americana) di sottoporre a procedura di risoluzione immediata la ABLV, la banca della Lituania travolta da uno scandalo internazionale sul riciclaggio di denaro sporco. La mancata risoluzione della ABLV (e della sua controllata del Lussemburgo ABLV Luxembourg) ha costretto la Bce a dichiarare la liquidazione coatta del gruppo ma sulla sola base delle procedure fallimentari lituane e lussemburghesi, non di quelle europee. Nel maggio 2018, come era prevedibile, al Comitato Unico sono state notificate le prime due cause intentate dagli investitori e dai creditori per i danni generati dalla diversità di trattamento fissate nelle due procedure.

In questo caso, alla mancata tempestività si è unita la confusione normativa. È un caso di scuola dei problemi che tuttora esistono nel coordinamento tra norme nazionali e dell’Unione. Ogni volta che c’è un problema si apre un enorme spazio di discrezionalità e, come spesso accade, ognuno fa come gli pare ed i tedeschi in genere fanno da apripista.

Considerando anche quanto accaduto alle nostre banche a partire dal novembre 2015, si impone sempre più una consistente revisione delle regole, prima che il nostro sistema bancario finisca davvero in pezzi.

L’unione monetaria e l’unione bancaria continuano a diffondere nell’economia squilibri, asimmetrie, divergenze e non sembra essere lontano il momento in cui i danni prodotti da tale sistema disfunzionale potrebbero superare i benefici, con tutte le inevitabili conseguenze.

 

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