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Di Maio, Salvini, Tria, l’incognita Iva e le bizzarrie sulle tasse “buone”

L’articolo del commercialista Giuliano Mandolesi, blogger di Start Magazine, sul dibattito in corso su Iva, tasse e programmi governativi Se, come diceva Agatha Christie, “tre indizi fanno una prova” anche il giallo italiano sull’aumento delle aliquote IVA previsto dal 1 gennaio 2019 sta forse per essere risolto. Nel nostro caso non ci sono tre indizi…

Se, come diceva Agatha Christie, “tre indizi fanno una prova” anche il giallo italiano sull’aumento delle aliquote IVA previsto dal 1 gennaio 2019 sta forse per essere risolto.

Nel nostro caso non ci sono tre indizi ma tre illustri esponenti della nostra economia, Ignazio Visco governatore della Banca d’Italia, Giovanni Tria neo ministro dell’economia e Vincenzo Visco economista ed ex ministro che, seppur con diversi intenti, si fanno “promotori” di un eventuale aumento dell’imposta sul valore aggiunto.

Se infatti il governatore della Banca d’Italia immagina uno scenario in cui, con l’aumento dell’Iva, sia l’ordinaria al 25% sia la ridotta dall’11,5%, si potrebbero trovare le risorse o per abbassare di due punti il primo scaglione Irpef (dal 23% al 21%) o per aumentare le detrazioni da lavoro dipendente, il neo eletto ministro dell’Economia punta invece al risparmio dei circa 12 miliardi che occorrerebbero per sterilizzare le clausole per finanziare l’esosissima flat tax giallo-verde.

Senza entrate nel merito dell’idea di Tria, viene però da chiedersi come la metterà il neo ministro con quanto riportato nel programma di governo, firmato solo pochi giorni fa da Di Maio e Salvini, in cui si dichiara a chiare lettere la volontà di evitare gli aumenti Iva “in quanto sarebbe un colpo intollerabile per famiglie e imprese”.

Di altra concezione invece Vincenzo Visco, da sempre promotore di una politica tributaria estrema di spostamento totale del carico fiscale su patrimoni e consumi, che propone una rimodulazione delle aliquote Iva stabilendone una nuova, a sostituzione delle due più alte attuali, con aliquota sulla mediana alta tra quella ordinaria e ridotta, magari al 18,5% e salvaguardando quella al 4% sui prodotti alimentari il cui aumento inciderebbe soprattutto sulle fasce meno abbienti della popolazione.

Il dibattito è dunque tra imposte da alcuni definite “buone”, quelle su consumi e patrimoni, e quelle invece definite “cattive” sulla produzione di ricchezza, dimenticando forse che vista la pressione fiscale insostenibile nel nostro paese bisognerebbe prima di tutto pensare ad una tassazione che non sia buona o cattiva ma sia prima di tutto equa.

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