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Bolloré

Tim e Mediaset, tutte le grane di Bolloré (Vivendi) in Italia spiegate dalla stampa francese

Che cosa ha scritto il quotidiano Le Figaro sugli affari di Bolloré (Vivendi) in Italia. L'articolo di Marco Livi

Non si farà «il matrimonio all’italiana tra tlc e media» tanto voluto da Vincent Bolloré.

A distanza di 4 anni, dopo «battaglie, giochi di forza, azioni legali e inchieste delle Authority», non prende forma il «puzzle» tricolore che il tycoon francese aveva in mente. Del resto, avendo «litigato con Silvio Berlusconi», essendosi «inimicato la classe politica italiana» e avendo già «speso miliardi di euro», la sua campagna d’Italia finisce «senza successi».

Lo dice chiaramente Le Figaro, quotidiano francese che alle ambizioni di Bolloré ha dedicato in questi giorni una pagina intera, non solo ripercorrendo la sua storia ma puntualizzando, caso per caso, dove ha sbagliato l’imprenditore bretone che oggi controlla il gruppo media Vivendi (con diramazioni nella pubblicità tramite Havas e nella musica grazie a Universal, ndr).

La conferma della «fine del suo sogno», secondo Le Figaro, sta in un numero: 1,066 miliardi di euro che Bolloré ha accantonato in Vivendi per l’esercizio 2018. Obiettivo: iniziare a fronteggiare perdite complessive per 2,1 miliardi, date dalle svalutazioni delle sue partecipazioni a sud delle Alpi, fra Tim e Mediaset. Partecipazioni che, sottolinea il quotidiano, hanno richiesto 5 miliardi d’investimenti. Insomma, lo stesso Bolloré «non crede più a una prossima ripresa» della sua strategia tricolore.

Dova ha sbagliato? Il peccato originale risale al 2001, seguendo al contrario nel tempo la ricostruzione giornalistica, quando Bolloré entra in Mediobanca e poi in Generali in modo «dirompente», secondo Le Figaro, o «compiendo un’effrazione», stando al banchiere italiano Cesare Geronzi, sentito dal giornale francese, anche se poi Bolloré «ha portato stabilità e sostenuto la strategia» di piazzetta Cuccia (tempio della finanza tricolore, ndr). «Io stesso», ha specificato Geronzi, presidente di Mediobanca dal 2010 al 2012, «l’ho aiutato a entrare nel patto di sindacato e l’ho accompagnato nel mondo della finanza italiana».

Successivamente, nel 2015-2016, grazie alla presa di controllo di Vivendi, l’imprenditore bretone si ritrova nell’azionariato di Tim e prova a prenderne in mano le redini. Ma Tim è una società privata d’importanza nazionale e «la sua salita (nel capitale, ndr) non è stata ben vista dal governo, non avendo rivelato le proprie intenzioni», specifica la testata transalpina che ha chiesto il parere anche di alcuni giornalisti italiani.

Aiutato da Tarak Ben Ammar (imprenditore e suo braccio destro, ndr), Bolloré muove poi da Tim verso Mediaset, visto che il suo traguardo finale è sempre la creazione di un polo di contenuti sud-europeo. Corre l’anno 2016 e si arriva a un accordo che però, a luglio dello stesso anno, salta. Da quel momento in poi si apre la guerra con Silvio Berlusconi. Il tycoon straniero decide per il braccio di ferro, compra azioni del Biscione e si porta a ridosso della soglia che obbliga al lancio di un’opa. Un modo per «non pagare il prezzo» dell’offerta pubblica di acquisto ma tradire Berlusconi voleva dire tradire l’Italia, si spiega nell’articolo. Risultato: anche il governo perde la pazienza e l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni opta per «la creazione di un’unica rete tlc sotto controllo pubblico», frutto della fusione della rete di Tim con quella di Open Fiber.

Bolloré non viene aiutato, a giudizio di Geronzi, nemmeno dal suo luogotenente nella Penisola Arnaud de Puyfontaine, «scollegato dalla classe politica italiana così come dal mondo della finanza». A peggiorare la situazione ci si mette pure il fondo americano Elliott che, invece, «ha saputo farsi accettare in Italia», afferma Le Figaro. Insomma, si arriva ai periodi più recenti e, nel marzo 2018, Bolloré, «pur maestro nell’arte di manipolare i quorum e le maggioranze nelle assemblee dei soci» si fa battere in quella di Tim da Elliott (complice anche l’alleanza con Cdp-Cassa Depositi e Prestiti, società controllata dal ministero dell’economia). Il finale della storia, sancisce Le Figaro, è che «del progetto che gli stava tanto a cuore, la convergenza tlc-contenuti, Bolloré non parla più».

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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