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Ecco come e quanto le tasse aumenteranno. Parola del ministro Gualtieri

Con la lettera inviata dal ministro Gualtieri a Dombrovskis e a Moscovici, il governo svela i dettagli sull’aumento delle tasse che ci attende per il 2020. L'analisi di Giuseppe Liturri

(articolo pubblicato domenica 27 ottobre dal quotidiano La Verità fondato e diretto da Maurizio Belpietro)

Confessio est regina probationum. Il celebre brocardo ci ricorda che la confessione costituisce prova inconfutabile riguardo la veridicità di un fatto.

Con la lettera inviata mercoledì 23 dal ministro Gualtieri al Vice Presidente Dombrovskis ed al Commissario Moscovici, possiamo finalmente dire di avere la prova regina sull’aumento delle tasse che ci attende per il 2020, ma non solo.

Gualtieri rassicura subito i Commissari, informandoli che il deficit/Pil per il 2020 si fermerà sullo stesso livello del 2019 (2,2%) ma che già dal 2021 il deficit scenderà al 1,8% e poi al 1,4% nel 2022. Insomma, il solito calciare il barattolo giù lungo la discesa, promettendo di rispettare regole semplicemente assurde ed insostenibili, per poi ritrovarci tra 12 mesi a ridiscutere degli stessi temi ed intavolare la solita ormai stucchevole pantomima con Bruxelles.

Il deficit strutturale (calcolato sul PIL potenziale, al netto di fattori non ricorrenti, che è quello osservato dalla Ue) che addirittura era sceso al 1,2% nel 2019, salirà leggermente al 1,4% nel 2020, per poi scendere al 1,2% nel 2021 ed al 1% nel 2022. Così da rassicurare la Commissione sul raggiungimento del famigerato ‘obiettivo di medio termine’ che, da Monti in poi, è la corda che tiene impiccato ogni anno il bilancio dello Stato.

Gualtieri ritiene che tale modesto sforamento sia giustificabile alla luce del rallentamento della congiuntura e delle spese per emergenza idro-geologica, eventi sismici, manutenzione straordinaria delle infrastrutture stradali del Paese. La solita litania ripetuta ogni anno per strappare uno 0,2% di deficit in più.

Dopo una non banale stoccatina sul tema dell’aleatorietà del calcolo della differenza tra Pil reale e potenziale (output gap), il ministro sembra dire che tutto il ragionamento sul rapporto tra deficit strutturale e Pil potenziale è fuori dalla realtà. Però noi obbedientemente (dutifully!) eseguiamo. E infatti Gualtieri snocciola i numeri che testimoniano la nostra obbedienza e confessa che:

  • Senza aumento dell’Iva, con alcune spese indifferibili, e con il taglio del cuneo fiscale (0,3% del Pil) il deficit 2020 sarebbe stato pari al 2,9%.
  • Poiché l’obiettivo di deficit è pari al 2,2%, ma loro sono obbedienti e non sono mica come la Francia che nel 2019 farà un sontuoso 3,1% di deficit, allora sono necessarie maggiori entrate per lo 0,7% del Pil. Ecco la confessione. Sono oltre 12 miliardi di tasse minuziosamente elencate in 2 allegati:
    1. 0,2% entrate da lotta all’evasione. Circa €3 miliardi di entrate tra cui spicca 1 miliardo frutto di un intervento che allunga i tempi di compensazione delle imposte per i contribuenti creditori, in pratica un prestito forzoso (irredimibile?) dei contribuenti allo Stato.
    2. 0,04% da tasse sui giochi.
    3. 0,1% per entrate da eliminazione dei sussidi ambientali dannosi ed altre tasse legate all’ambiente (plastic tax)
    4. 0,3% da diverse misure (minori detrazioni per i redditi alti, restrizione regime forfettario, ecc…) note ormai come ‘microtasse’ che, per essere, pari a circa €5 miliardi non devono poi essere così tanto micro. Per indorare la pillola le chiamano ‘tax changes’ tra le quali spicca la garrota verbale del ‘fondo taglia tasse’. In pratica, si alza il prelievo per rimpinguare una riserva chiamata appunto ‘taglia tasse’ (che però intanto le aumenta) e che, siccome deve realizzare gli obiettivi della manovra, domani potrà essere utilizzate a copertura di interventi già programmati (e cioè smentendo il suo nome): niente male.
    5. Si chiude con uno 0,1% di spending review, un abito che si porta bene in tutte le stagioni.
  • Ed ecco fatto. Ci sono le coperture pari a 0,7% del PIL, oltre 12 miliardi che, al netto del beneficio del taglio del cuneo fiscale (per chi ne godrà), si traducono in quegli 8-9 miliardi di nuove tasse pronte per gli italiani.

Ma oltre al danno c’è anche la beffa. Gualtieri sostiene che per il 2020 l’Ue ci chiedeva una stretta fiscale da 23 miliardi per l’aumento Iva e, poiché ne pagheremo solo 8-9, peraltro frantumate in una miriade di micro misure che creano ancora più confusione ed incertezza, dice che sta riducendo le tasse o almeno mantiene una impostazione neutrale. Quella che qualsiasi economista avrebbe chiamato manovra restrittiva (così come ha fatto il professor Piga sul Sole del 17 ottobre) viene pure ribaltata come una frittata.

A questo punto, andrebbe chiesto agli italiani se per loro ha importanza quanto pagheranno in più nel 2020 oppure quanto pagheranno in meno rispetto a quanto avrebbero dovuto pagare se fosse aumentata l’Iva.

Esiste qualcuno che nei propri bilanci previsionali famigliari o aziendali aveva inserito l’aumento dell’Iva ed ora gioisce per lo scampato pericolo? O piuttosto sono molto più numerosi quelli che imprecano per le maggiori tasse rispetto al 2019? Forse la seconda che ho detto.

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