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Tutte le stranezze degli isterismi di Bruxelles sulle pensioni italiane

Il commento di Gianfranco Polillo, già sottosegretario all’Economia, sul rapporto europeo relativo al sistema pensionistico italiano Se le anticipazioni de La Repubblica sul prossimo rapporto europeo relativo al sistema pensionistico italiano (Ageing Report 2018) dovessero trovar conferma nel successivo report, nascerebbe più di un problema. Di metodo e di merito. Sarebbe, innanzitutto, un fulmine a…

Se le anticipazioni de La Repubblica sul prossimo rapporto europeo relativo al sistema pensionistico italiano (Ageing Report 2018) dovessero trovar conferma nel successivo report, nascerebbe più di un problema. Di metodo e di merito. Sarebbe, innanzitutto, un fulmine a ciel sereno, visto che la Commissione europea è informata, ogni anno, delle previsioni a lungo termine sulla dinamica della spesa pensionistica italiana. Non solo informata, ma accondiscendente, non risultando a verbale alcuna valutazione critica. Pur tenendo conto del monitoraggio continuo che Bruxelles esercita nei confronti di tutti i Paesi membri, al punto da essere, specie nei Paesi sottoposti a “procedura d’infrazione”, veri e propri coautori della legge di stabilità.

Se quindi fosse allarme rosso, come quei dati lasciano intravedere, perché finora si è taciuto? In Italia c’era forse un governo amico, mentre ora dominano gli “estremisti”, come si è lasciato andare, con poco garbo diplomatico, Emmanuel Macron, nella sua conferenza stampa a fianco di Angela Merkel? Un’ipotesi da non prendere nemmeno in considerazione, tanto più che l’ultimo report ufficiale (Country Report Italy 2018) all’argomento dedica solo qualche parola: “The 2018 Budget further extends some provisions of the 2017 Budget partially reversing past pension reforms, which increase the already high pension share in overall social spending”. Tradotto: “il budget del 2018 estende alcune provvidenze già previste in quello del 2017 peggiorando parzialmente l’ultima riforma pensionistica ed aumentando ulteriormente la già alta quota della spesa previdenziale sul complesso di quella sociale”. Problema, del resto ben noto, negli equilibri del welfare italiano. Che non andrebbe, comunque, ulteriormente peggiorato.

Ancora più sorprendente sono le ipotesi che dovrebbero giustificare la relativa denuncia. Nell’ultima Nota d’aggiornamento al Def, del settembre 2017, (pag. 64 e seguenti) le previsioni riguardavano il lasso di tempo che intercorre tra il 2010 ed il 2070. Secondo il relativo diagramma, la spesa pensionistica dovrebbe crescere dal 15,3 per cento del Pil (2020) al 18,4 per cento (2040): anno destinato a rappresentare il culmine della curva. Da quell’anno in poi inizierebbe la discesa, destinata a raggiungere quota 13,8 per cento nel 2070. Le ipotesi sottese alla previsione erano le seguenti: un tasso medio di crescita del Pil, in termini reali, dell’1,2 per cento; un tasso di fecondità pari a 1,59 per cento; la stabilizzazione dei flussi di immigrazione in circa 154 mila unità all’anno; una speranza di vita che cresce progressivamente di 6,4 anni per gli uomini e di 6 anni per le donne, rispetto ai livelli del 2015.

Sono realistiche queste ipotesi, che tra l’altro scontano un tasso d’inflazione zero, mentre le pensioni sono, com’è noto, solo parzialmente indicizzate? Salvo sui dati dell’immigrazione – ardui da valutare – difficile non scorgere elementi di prudenza. Che evidentemente non sono asseverati dai tecnici di Bruxelles. Una prima critica è addirittura fuorviante, sempre che le anticipazioni di Repubblica siano fondate. Si afferma, infatti che “il picco della spesa italiana per le pensioni in rapporto al Pil” si avrà nel 2040 con una percentuale pari al “18,5 per cento anziché al 16,3 per cento come sostiene l’Italia”. Dove sia stato preso quest’ultimo dato, resta un mistero non risolto. Come riportato in precedenza, la previsione del Governo, per quell’anno, è una spesa pari al 18,4 per cento del Pil. Lo 0,1 per cento in meno rispetto al dettato bruxellese. Quindi fine della discussione.

Seconda perla. La previsione di crescita dell’Italia – questa l’altra critica – è eccessiva. Secondo il duo “UE-Repubblica” il Pil non aumenterà ad un tasso medio dell’1,2 per cento, ma quasi della metà: uno striminzito 0,7 per cento. Che può trovare riscontro negli anni della grande crisi – dal 2007 al 2012 – ma se destinato a divenire stabile, non comporterebbe solo il crollo del sistema pensionistico ma dell’intera società italiana. Vale quindi la pena di non preoccuparsi molto. Per quel lungo periodo, come profetizzava Keynes, saremmo tutti morti. Per effetto di sommovimenti sociali, conflitti sanguinosi e carestie: Malthus insegna. Quindi non vale la pena preoccuparsi, ma prendere il tutto con filosofia. E sarebbe un errore.

Ciò di cui preoccuparsi è invece dell’eventuale tentativo – se mai verrà alla luce – di sconvolgere tutto. Di alterare, in radice, un quadro che resta fragile, ma è ancora gestibile. Allarmismi del genere rischiano solo di produrre effetti contrari ai fini che si vorrebbero perseguire. Se quella fosse la realtà del domani si scatenerebbe una vera e propria guerra tra poveri nell’illusoria speranza di una salvezza individuale. Che Bruxelles, quindi, faccia esercizio di prudenza. La situazione è già terribilmente complessa. Non servono ulteriori scossoni.

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