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Borsa

Perché i mercati sono attendisti sull’Italia

Il Taccuino di Polillo fra politica e mercati con un occhio ai rapporti fra governo italiano e Unione europea Giornata complicata per la Borsa italiana, che si trova tuttavia in cattiva compagnia. Maglia nera in Europa rispetto ad un cedimento più generale, seppur più contenuto. Due i fattori di carattere sistemico che preoccupano. Il dossier…

Giornata complicata per la Borsa italiana, che si trova tuttavia in cattiva compagnia. Maglia nera in Europa rispetto ad un cedimento più generale, seppur più contenuto. Due i fattori di carattere sistemico che preoccupano. Il dossier sui dazi, oggi in discussione nel G7 canadese, che vede gli Stati Uniti fin troppo distanti dalle richieste europee. Le attese per la riunione del board della Bce in cui dovrebbero essere indicate le date del possibile rientro dal quantitative easing. Quelle misure – il cosiddetto bazooka di Mario Draghi – che hanno permesso a tutti (Stati, banche, famiglie ed imprese) di finanziarsi a tassi agevolati.

L’eventuale rientro avrà effetti immediati sugli spread – quelli relativi ai titoli italiani viaggiano intorno ai 270/280 punti base – per poi diffondersi attraverso l’euribor sulle banche e quindi sulle imprese. Ma le stesse famiglie, che hanno contratto mutui a tassi variabili, dovranno pagar pegno. Questa preoccupazione, che alimenta le vendite del debito sovrano di tutti i Paesi, spiega un generale rialzo di tutti gli spread. Uniche eccezioni: il Portogallo, la Danimarca e l’Austria. Non ne è esente nemmeno il bund tedesco che quota intorno a 0,45, dopo aver toccato, nei giorni precedenti, 0,52.

L’Italia, purtroppo, resta il vaso di coccio. Dal giorno del voto di fiducia in Senato, la sua performance è stata la peggiore. Niente di drammatico, per carità: con una caduta del Ftse-mib (fino a giovedì) dell’1,7 per cento, mentre le principali borse europee chiudevano in pareggio o in attivo. Significativo, tuttavia, il confronto con Madrid. Che dopo la rapida soluzione della crisi di governo, con il cambio della guardia a favore di Pedro Sanchez, registra un incremento vicino all’1 per cento.

Per non parlare del rapporto con gli spread che penalizza notevolmente l’Italia: da una tradizionale differenza di 50 punti base, si passa agli oltre 150 delle ultime sedute. C’è quindi qualcosa di specifico che, pur nel buio dell’Eurozona, caratterizza la situazione italiana e spinge gli investitori a tirare i remi in barca.

La sensazione è che il “contratto per il governo del cambiamento” abbia più spaventato, che convinto. Non tanto per i propositi colà enunciati, quanto per la loro indeterminatezza. Temi come la flat tax, il reddito di cittadinanza o le modifiche alla legge Fornero hanno pieno diritto di cittadinanza nella cultura europea.

Il problema è capirne la dimensione in sede di attuazione per poi – ma solo dopo – verificarne gli oneri. E quindi indicare i mezzi di copertura. Lasciare invece tutto nel vago, mentre si tentavano “impossibili” valutazioni quantitative, ha creato confusione. Tanto più che venivano enunciati, fin dall’inizio, propositi di aumentare debito e deficit anche oltre le colonne d’Ercole previste dai Trattati. Sebbene Francia e Spagna, senza sbandierare, per anni, hanno fatto altrettanto.

Il rapporto con l’Europa rimane, quindi, problematico. L’Italia ha a disposizione strumenti tecnici necessari per intervenire nella discussione. Deve solo saperli utilizzare senza gridare “al lupo”. Finora si sono perse molte occasione ed altre se ne perderanno se si pensa che il ricorso alla voce grossa possa spaventare.

L’unico risultato che si ottiene – questo sì – è mettere in allarme i mercati. Che si comportano come farebbe qualsiasi creditore nei confronti di un debitore che rischia di essere insolvente. Né convincono le sole argomentazioni giuridiche, pure tirate in campo.

E’ vero, infatti, che l’articolo 3 della Costituzione europea stabilisce che “l’Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi; su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale” che “promuove la coesione economica sociale territoriale e la solidarietà fra gli Stati membri”. E che, al contrario, la realtà fattuale è completamente all’opposto: segnata com’è da una profonda asimmetria tra Paesi forti e Paesi deboli.

Quindi la recriminazione sulla differenza tra ciò doveva essere ed invece non è stato è più che giustificata. Si deve, tuttavia, tener conto del fatto che difficilmente le norme costituzionali sono “precettive”. Esse hanno al contrario, come riconoscono i costituzionalisti, un contenuto programmatico, la cui attuazione richiede altri interventi. Come mostra il fatto che molti articoli della Costituzione italiana, a distanza di 70 anni, non hanno ancora avuto la necessaria attuazione.

Come colmare questa lacuna? Nel caso dell’Europa non contano tanto i successivi provvedimenti legislativi. Sono naturalmente importanti. Ma ancora più importanti sono i processi reali. Ed è qui che si apre un nuovo problema. Chi deve metterli in atto? I tedeschi, ad esempio, ritengono che ogni processo di condivisione del rischio deve essere accompagnato da provvedimenti interni a ciascun Paese nel segno di una maggiore responsabilizzazione. La retorica dei “compiti a casa”: cavallo di battaglia del Governo Monti.

Altri puntano invece il dito sulla necessità di un gioco cooperativo, senza il quale gli stessi “compiti a casa” non portano al sospirato superamento dell’esame. Come si vede la matassa è piuttosto intricata. Pensare di prendere le forbici per tagliare questo nodo gordiano è solo una grande illusione.

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