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Perché Tria non può mandare tutti al diavolo. Il commento di Polillo

Il commento di Gianfranco Polillo, già sottosegretario al ministero dell'Economia

“Di lui non c’era bisogno”: ha detto, una certa dose di malizia, il presidente del consiglio per giustificare l’assenza del ministro dell’Economia dal vertice che avrebbe dovuto completare la manovra di finanza pubblica, secondo quanto riporta il Corriere della sera. Evidentemente era superfluo, data la grande competenza dell’”avvocato del popolo” e dei due leader politici della maggioranza. Competenza emersa con chiarezza cristallina in questi giorni concitati in quel di Bruxelles, sull’onda delle inquietudini dei mercati. Ma ciò che sorprende di più non è l’assenza del titolare di via XX Settembre e del Ragioniere dello Stato, seppur ricevuti in precedenza. È soprattutto il lessico usato.

In generale non si ha più bisogno dell’idraulico che ha riparato il guasto. Della segretaria che ha appena terminato di mettere a posto l’agenda del capo. Grazie, può andare. Non continuiamo solo per carità di patria. Il bon ton non costa. Si poteva dire che il ministro era impegnato altrove. Una conference call con l’Eurogruppo. Un incontro con qualche collega europeo. O, più semplicemente, accennare a più urgenti esigenze. Ed invece: non ne abbiamo bisogno. Grazie, può togliere il disturbo.

Antonio Fazio, quand’era Governatore della Banca d’Italia aveva voluto nel suo studio un grande quadro che raffigurava San Sebastiano trafitto dalle frecce. Un monito al nobile esercizio della pazienza. Per resistere alle indebite pressioni del mondo politico. Per rispondere alle richieste più strampalate con quel suo accento frusinate. Senza perdere la calma. Quel viso sempre un po’ triste e pensieroso. Era la sua forza. Riflesso della collocazione istituzionale della Banca. La cui indipendenza è garantita dai Trattati europei. La politica può essere anche feroce contro quel presidio. Lo si è visto quando si è trattato di procedere alla nomina di Ignazio Visco. Ma è solo una piccola parentesi. Si chiude rapidamente e subito dopo si alzano quei ponti levatoi che impediscono ulteriori interferenze.

Se queste fossero le regole d’ingaggio anche per il ministro dell’Economia sarebbe tutto più semplice. Anche se, per la verità, queste sono state quasi sempre le caratteristiche del ruolo. Giulio Tremonti le norme della “legge finanziaria” le consegnava il giorno stesso del Consiglio dei ministri. Prendere o lasciare, nonostante le proteste, anche pubbliche, dei suoi colleghi di governo. Ma quelli erano altri tempi. Sebbene più “normali” dello spettacolo di questi ultimi giorni. Contro chi eccepiva, bastava ricordare la prassi inglese o quella francese. Nel primo caso il cancelliere dello scacchiere si presenta in Parlamento con una valigetta che contiene la normativa. Se ne prende atto e basta. Nel secondo caso le procedure parlamentari, di fatto, inibiscono qualsiasi emendamento.

Tria non ha questo armamentario alle sue spalle. La sua unica forza era solo quella dell’intesa con il presidente della repubblica e la sua capacità di parlare ai mercati nell’unico linguaggio, loro comprensibile. Lo ha fatto ed i risultati sono stati immediati con il crollo degli spread ed un pizzico di serenità acciuffato per i capelli. Un successo non solo provvisorio, ma subito contestato da chi, come Di Maio, vuole distribuire soldi, come se piovesse. Altrimenti che rivoluzione sarebbe? Ci provò Allende, durante la primavera cilena. Finì come finì. Ma Enrico Berlinguer fu lesto a capire la lezione e tirare fuori dal cappello il mito dell’austerity e del “compromesso storico”, per evitare esiti sciagurati, seppure meno cruento.

Il dramma di Giovanni Tria è che non può dimettersi, mandando tutti al diavolo. Non glielo impedisce tanto il presidente della Repubblica, quanto il suo senso di responsabilità nei confronti del Paese. Questo non è il momento di aprire una crisi al buio, dalle conseguenze imponderabili. Ed allora ci vuole la pazienza di Antonio Fazio. Anzi di più. Perché la sua continua delegittimazione è lo strumento principe di un governo che non sa che pesci pigliare. Ma, al tempo stesso, non vuole scontentare una platea di militanti – soprattutto pentastellati – allevati a pane e contestazione contro un vecchio establishment. Un’equazione che, tuttavia, non torna. Non solo dal punto di vista economico.

L’Italia che produce e che lavora si sta muovendo contro. Ed alla fine lo stesso Matteo Salvini dovrà capire che non si può vivere solo di “sicurezza”.

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