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Spesa Pensioni

Pensioni, ecco che cosa fare (e cosa non fare)

Il commento di Gianfranco Polillo sulle politiche previdenziali in corso e in fieri… Le preoccupazioni di Giuliano Cazzola (“Le pensioni, la Commissione Ue e la mia analisi”), in risposta ad un mio precedente intervento, sono pienamente condivisibili. La previdenza è materia che va maneggiata con cura. Come la dinamite può esplodere facilmente se si strattona…

Le preoccupazioni di Giuliano Cazzola (“Le pensioni, la Commissione Ue e la mia analisi”), in risposta ad un mio precedente intervento, sono pienamente condivisibili. La previdenza è materia che va maneggiata con cura. Come la dinamite può esplodere facilmente se si strattona con faciloneria. Attenti, quindi, a non seguire le bad practises degli anni precedenti, quando la prima preoccupazione del nuovo Governo era quello di disfare la tela dei precedenti. Nel momento in cui Romano Prodi fu costretto ad abolire lo “scalone” di Roberto Maroni non fece altro che creare le condizioni che portarono, successivamente, alla Legge Fornero.

Secondo i dati forniti dall’Ufficio parlamentare del bilancio, la suddetta legge comportava in dieci anni (2012-2021) risparmi 88 miliardi. Le sei salvaguardie per gli esodati sono costate 11,4 miliardi. La sua eventuale soppressione costerebbe pertanto circa 7,7 miliardi l’anno. Si potrebbe fare, viene da dire, se nel frattempo non si dovessero trovare risorse per circa 16 miliardi, per il 2019, per venire incontro alle richieste europee (3,5 miliardi) e per scongiurare l’amento dell’Iva (12,5 miliardi). Resterebbe, inoltre l’incognita della flat tax, senza contare gli inevitabili maggiori oneri derivanti dalla legislazione a politiche invariate. In genere più elevati del semplice tendenziale.

Questo è quindi il quadro, che sarà reso più nitido nel momento in cui il Governo Gentiloni pubblicherà lo scarno Def – solo le proiezioni macroeconomiche e finanziarie – che è stato annunciato. La fragilità del contesto è evidente. Per questo motivo non abbiamo fatto cenno all’ipotesi di un “salario di cittadinanza”. Fin quando non avremo una proposta di legge, ogni tentativo di quantificarne il relativo onere è semplicemente impossibile. Non condividiamo, pertanto, il metodo seguito da Tito Boeri. Quei presunti costi, da lui indicati, hanno come riferimento una vecchia proposta dei 5 stelle, che è decaduta con la nuova legislatura. E non è detto che sia ripresentata negli stessi termini.
Occorre un grande rigore. Sia nella formulazione delle policies, che nelle relative critiche. Ogni effetto destabilizzante va evitato con cura, per evitare di alimentare allarmi sociali.

Da questo punto di vista sia i rilievi di alcuni economisti del Fmi, che non sono la voce dell’Istituto, sia le anticipazioni di Repubblica, sul possibile paper dell’Europa, si muovono in una direzione opposta e contraria. Formulano ipotesi che sono state già contemplate e metabolizzate nei documenti elaborati dal Governo italiano. Lo stesso grafico, presentato da Giuliano Cazzola (al quale rinnoviamo tutta la nostra stima e il nostro affetto) altro non è che una semplificazione della figura contenuta a pag. 58 della Nota di aggiornamento del Def del settembre 2017, sovrapposta a quella relativa allo scenario nazionale di base (pag. 54).

I risultati sono ovviamente difformi essendo diverse le ipotesi di base. Se il tasso di crescita di lungo periodo si dimezza, se il flusso dell’immigrazione crolla, se la produttività totale dei fattori è quella della “decrescita felice”, lo schema elaborato dall’EPC-WGA (Economic policy Committee – Working Group on Ageing) si trasforma in un incubo notturno. Pericolo, comunque incombente, se il tema dello sviluppo, non diventa una priorità assoluta rispetto ai propositi assistenzialisti del pauperismo dilagante. Ma non è stata questa la linea, finora perseguita, seppure con incertezze e contraddizioni, dai precedenti governi.

La dimostrazione di quest’assunto l’abbiamo nella risposta data a quelle osservazioni. “L’impatto sugli indicatori di sostenibilità, imputabile essenzialmente al ridimensionamento delle prospettive di crescita per effetto dell’aggiornamento delle ipotesi macroeconomiche e demografiche di scenario, – è scritto testualmente nella Nota di variazione al Def – non mette in discussione la validità dell’assetto normativo istituzionale italiano. L’architettura del nostro sistema pensionistico, come si è strutturata nel corso del tempo per effetto degli interventi di riforma, può contare su un avanzato meccanismo di correzione e adeguamento automatico dei parametri di calcolo e dei requisiti, che ne garantisce la tenuta complessiva. Su un piano più generale, l’obiettivo di migliorare gli indici di sostenibilità delle finanze pubbliche può essere realizzato proseguendo le politiche volte all’accrescimento della produttività e dei livelli occupazionali”.

Speriamo solo che il nuovo Governo, sempre che venga alla luce, tenga nel debito conto questo monito e si comporti di conseguenza.

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