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Dpcm Conte

Mosse e mossette di Conte su Mes e Recovery Fund

La posizione del governo Conte e l'esito del Consiglio europeo nel commento di Gianfranco Polillo

La risposta vera l’avremo solo tra qualche giorno: quando il progetto del “Recovery Fund” avrà preso forma e sostanza. Solo allora i relativi numeri permetteranno di verificare se il passo in avanti, compiuto dall’Europa, sia stato reale. O se la montagna non abbia fatto altro che produrre un piccolo topolino. Al momento le uniche certezze riguardano gli aspetti più controversi della questione. Controversi in Italia, dove ogni cosa è letta con gli occhiali del pregiudizio politico elevato a dogma e sentimento identitario. Ma non all’estero, dove invece si guarda alla sostanza immediata delle cose: per cui se conviene, si prende; altrimenti si scarta. Ed ecco allora il “si” definitivo ai 100 miliardi per il “Sure” (gli interventi sul mercato del lavoro), ai 200 per i finanziamenti aggiuntivi della Bei e – cosa ancora più importante – la definitiva santificazione del Mes, con i suoi 200 miliardi a disposizione.

Per giustificare quest’ultima scelta, ancora avversata dai grillini in un post violento contro Giorgia Meloni, il presidente del Consiglio si è un po’ arrampicato sugli specchi. Ha dovuto motivare un suo ripensamento, indicando la necessità di dover venire incontro alle richieste dei propri alleati. Se gli spagnoli lo vogliono – questo il ragionamento – opporsi, da parte italiana, sarebbe stato negare ogni elemento di solidarietà. Quel sentimento, in altre parole, che è alla base del tentativo di giungere ad una posizione comune contro il morbo che insanguina le principali città europee.

In compenso, ha potuto rivendicare di aver contribuito a migliorare l’intesa. Due i suggerimenti, poi accolti dagli altri partner: trasformare la proposta iniziale che si limitava a proporre una semplice “esplorazione” in un vero e proprio “lavoro” per la definizione del progetto finale. Rendere lo stesso “necessario ed urgente”. Cose da non sottovalutare nel paludato linguaggio diplomatico, ma nemmeno tali da far dimenticare l’incompiutezza di un’opera che dovrà ancora essere definita nei suoi elementi portanti.

Se ne riparlerà, quindi, il 6 maggio quando la Commissione dovrà presentare una prima bozza, concordata con i principali leader europei. Seguirà, quindi, una riunione dell’Eurogruppo, il successivo 18 aprile.

Ma questa data potrà essere anticipata o posticipata, a seconda delle difficoltà che si saranno incontrate durante il difficile cammino della fase precedete. Al momento, infatti, mancano gli stessi fondamentali.

Non si conosce quanto dovrà essere la dotazione del Fondo. Ursula von der Leyen parla di migliaia di miliardi. Un’entità non proprio definita. Tanto più ch’essa dovrà essere un multiplo delle risorse postate a bilancio. Nel 2019 il budget europeo è stato pari a 165,8 miliardi.

Se si volessero emettere obbligazioni per 1.000 miliardi, la leva sarebbe pari a 6. O a 12 nel caso dei 2.000 miliardi, indicati da Conte. Valori non proprio tranquillizzanti, nonostante la garanzia offerta dai singoli Stati. Che, tuttavia, non hanno tutti la stessa credibilità.

Si è, quindi, pensato fin da ora all’ipotesi di richiedere un contributo maggiore. Passare da quell’1 virgola qualcosa del Pil che rappresenta l’attuale tributo, almeno al 2 per cento. Proposta non ancora formalizzata, ma che ha già sollevato più di una polemica. La Germania, per bocca di Angela Merkel, si è già dichiarata disponibile.

L’Olanda, nei giorni passati, aveva addirittura dichiarato di essere disposta a fornire aiuti per un valore pari ad 1 miliardo di euro, come alternativa alla nascita degli eurobond. Si pensa poi ad eventuali tasse sul web o comunque a nuovi cespiti da incamerare direttamente a bilancio.

Addirittura alla necessità di armonizzare i diversi sistemi erariali: lotta ai paradisi fiscali, ma anche alle inefficienze degli assetti di finanza pubblica di molti Paesi. Tanta, come si vede, la carne a fuoco.

Uno degli aspetti più spinosi rimane, tuttavia, quello relativo al titolo. Devono essere doni o prestiti? Trasferimenti a fondo perduto o semplici anticipazioni a titolo oneroso? Grants o loans? Lungo questo versante, le alleanze sono quelle di sempre.

I Paesi del Nord (Germania, Olanda, Finlandia, Danimarca, Austria e Svezia) che pensano esclusivamente a forme di prestito, seppure a tassi agevolati ed a lunga scadenza. Francia, Belgio, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Grecia, Spagna, Slovenia e Portogallo, chiedono invece finanziamenti a fondo perduto. La differenza è evidente.

Nel primo caso il debito pubblico dei singoli Paesi non farebbe altro che aumentare. Nel secondo, invece, graverebbe sul bilancio dell’Unione europea. Le obbligazioni emesse sarebbero acquistate alla scadenza, con i normali introiti di bilancio. Ipotesi che spiegherebbe il perché della richiesta di aumento.

Un’ipotesi intermedia è stata avanzata dal Portogallo e fatta propria dal Governo italiano. Che la Commissione emetta le obbligazioni necessarie. Gli Stati nazionali che beneficeranno di contributi a fondo perduto, pagheranno un tasso d’interesse di lungo periodo sulle somme ricevute, senza contribuire, tuttavia, al rimborso del capitale.

Sembrerebbe un’ingiustificata concessione, ma, in termini finanziari, sono molte le combinazioni che possono garantire l’equivalenza tra i vari sistemi. In questo caso non vi sarebbe alcun “regalo”, ma solo una forma di rimborso progressivo, misurata da un tasso d’interesse leggermente superiore, rispetto alla dinamica di mercato.

Siamo alla riedizione, o meglio alla richiesta, di un Piano Marshall, come pure si è sentito dire? Esso prevedeva sia grants che loans, anzi i primi erano forse maggiori. Ma i contributi a fondo perduto recavano condizionalità stringenti. Prevedevano infatti che quelle somme fossero spese per importare prodotti americani. Cosa giusta e necessaria, considerate le distruzioni della guerra sul suolo europeo e la potenza di quel Paese, che il conflitto non lo aveva subito in casa.

Si disse, pertanto e con un pizzico di verità, che nulla toglieva tuttavia alla generosità del gesto, che si trattava, soprattutto, di una sovvenzione, per quanto indiretta, alle industrie a stelle e striscia. Condizioni da tener presente, quando si enfatizza troppo il paragone per reclamare un qualche beneficio.

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