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Leonardo-Finmeccanica, ecco perché sarà una difesa a salve senza missili Mbda. Parola dell’Aiad

L'articolo di Chiara Rossi

“Se non facciamo il Camm-er, il nostro è un Paese che non avrà più una difesa. Questo non è un problema industriale. Questo è un problema del Paese”. Ha tuonato così nei giorni scorsi Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, la Federazione che riunisce le aziende italiane del comparto aerospazio, difesa e sicurezza, durante l’indagine conoscitiva presso la Commissione Difesa della Camera lo scorso 9 gennaio. Interrogato sullo spinoso tema della pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive della ricerca tecnologica, alla luce dei tagli previsti alla Difesa dalla legge di bilancio, il rappresentante dell’associazione che rappresenta le aziende del settore – in primis Leonardo-Finmeccanica – non si è risparmiato. Mettendo l’accento in particolare sull’ancora incerto acquisto dei missili Camm.Er, prodotti da Mbda, società partecipata da Leonardo-Finmeccanica.

I TAGLI ALLA DIFESA

Dal bilancio sono stati sforbiciati “circa 580 milioni di euro sulla parte difesa e circa 180 milioni per quella che attiene al Mise”, ha detto il rappresentante Aiad nel corso dell’audizione, come emerge dal resoconto stenografico. Come ha puntualizzato Festucci, questo significa tagliare i programmi e tra quelli a rischio c’è proprio il programma Camm.er (Common Anti-air Modular Missile Extended Range) nuovo sistema di difesa aerea  realizzato congiuntamente da britannici e italiani. A fabbricare i sistemi d’arma dovrebbe essere Mbda, società leader nella missilistica, controllata dai tre maggiori azionisti nel settore aeronautico e della difesa: Bae System (37,5%), Airbus Group (37,5 %) e Leonardo-Finmeccanica (25%).

E UN PROGRAMMA DIVENTATO INCERTO

Tuttavia, a inizio ottobre il governo gialloverde ha ritirato lo schema di decreto ministeriale della Difesa di approvazione del programma Camm.er. Come ha ricordato di recente Start Magazine, “il programma era stato varato dal governo Gentiloni, il decreto fa riferimento a un programma pluriennale di ammodernamento militare approvato nel 2017: prevede la spesa di 545 milioni entro il 2031”.

CAMM.ER ESIGENZA OGGETTIVA

Ecco dunque che l’esecutivo Conte ha deciso di ritirare il provvedimento e procedere con una serie di approfondimenti sul dm. Ma non si tratta soltanto di tagliare dei costi al bilancio, in quanto “c’è un problema oggettivo di esigenza”.  Il segretario generale dell’Aiad ha ricordato che infatti che “nel 2021, tutti i missili per la difesa terra-aria arriveranno al termine del loro impiego, scadranno”. Il riferimento è agli attuali missili Aspide, ormai in servizio da 40 anni e che avrebbero palesato “gravi problemi di obsolescenza, soprattutto per la componente ‘attuatori’”. Da qui l’esigenza di una nuova arma aerea. “Se non rispondiamo a quest’esigenza e se non mettiamo l’industria in condizione di rispondere all’esigenza della nostra Forza armata e alle esigenze del Paese, non è che all’ultimo momento queste cose si inventeranno. Ci vorranno anni per poi arrivare a risolvere questi problemi”.

L’IMPORTANZA DEL PROGRAMMA

Convinto dell’importanza strategica del programma Camm.er per l’Italia è anche Gianandrea Gaiaini, direttore di AnalisiDifesa. “Il programma avrebbe un impatto positivo in termini tecnologici e occupazionali coinvolgendo gli stabilimenti di Mbda Italia ma anche quelli di Avio per lo sviluppo e produzione del motore del missile e Leonardo per il radar Kronos”.

IL RISCHIO PER L’ITALIA E PER UN SETTORE STRATEGICO

In questo momento rinunciare dunque a un programma che ci vede protagonisti insieme al Regno Unito “è un problema serio, perché, se noi non partecipiamo ai programmi europei, non giocheremo sui tavoli dove si discuteranno le grandi strategie” avverte Festucci. “Quello che auspichiamo è che, invece, su questo, che è un comparto strategico per l’Italia, per giocare un ruolo importante in Europa, per l’export eccetera, non vi sia più questo atteggiamento” disfattista. Partecipare ai programmi internazionali è fondamentale “soprattutto per le piccole e medie imprese”, dal momento che “non avere queste risorse significherà permettere che siano decimate. E se noi decimiamo la nostra supply chain, che è una supply chain di eccellenza, togliamo la flessibilità alla grande impresa, perdiamo queste capacità occupazionali significative e facciamo un danno a un settore come il nostro che, insisto, è strategico”.

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