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Voucher Lavoro

Sorpresa, il renziano Pietro Ichino non stronca il programma Lavoro di M5S e Lega

Chi si aspettava da Pietro Ichino, giuslavorista, eletto nella montiana Scelta Civica nella scorsa legislatura e poi passato nel gruppo del Pd di Matteo Renzi, critiche ficcanti, toste e virulente contro il programma sul lavoro presente nel “Contratto del governo di cambiamento” firmato da Movimento 5 Stelle e Lega, resterà deluso. Ichino infatti oggi sul…

Chi si aspettava da Pietro Ichino, giuslavorista, eletto nella montiana Scelta Civica nella scorsa legislatura e poi passato nel gruppo del Pd di Matteo Renzi, critiche ficcanti, toste e virulente contro il programma sul lavoro presente nel “Contratto del governo di cambiamento” firmato da Movimento 5 Stelle e Lega, resterà deluso.

Ichino infatti oggi sul suo blog analizzando le parti sul lavoro del programma di pentastellati e leghisti in vista del governo in fieri non usa parole troppo critiche. Certo sottolinea la vaghezza di alcuni brani, sottolinea in altri casi che le tesi coincidono a volte con il programma del Pd e sottolinea evoluzioni positive rispetto alle proposte iniziali del Movimento 5 Stelle che furono votate su Rousseau.

Ecco i passaggi sul lavoro del “Contratto” fra pentastellati e leghisti e i commenti di Ichino:

13. LAVORO

“Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavoratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione. A tal fine si ritiene necessaria l’introduzione di una legge salario minimo orario che, per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva, stabilisca che ogni ora del lavoratore non possa essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Similmente non potranno essere più gratuiti gli apprendistati per le libere professioni”.

In questo capoverso la sola novità di qualche rilievo è costituita dalla previsione divieto del praticantato totalmente gratuito negli studi professionali. Invece l’istituzione del salario orario minimo per i settori non coperti da un contratto collettivo nazionale applicabile era già prevista, in forma di delega legislativa al Governo, nella legge n. 183/2014 (c.d. Jobs Act); sta di fatto, però, che la delega non è stata esercitata, a causa dell’opposizione congiunta di confederazioni sindacali maggiori e Confindustria.

“Al fine di favorire una pronta ripresa dell’occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri, spesso inutili e gravosi, occorre porre in essere da un lato una riduzione strutturale del cuneo contributivo e dall’altro una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, degli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro che incidono pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate”.

La riduzione del “cuneo contributivo” è già stata disposta in modo strutturale e incisivo dalla legge di bilancio 2018 per i primi tre anni di lavoro dei giovani a tempo indeterminato, cumulabili con un precedente periodo di apprendistato. Una ulteriore riduzione graduale, questa volta a carattere universale, è prevista anche nel programma del Pd.

“La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. La sua sostituzione con il c.d. «libretto famiglia» e con il «contratto di prestazione occasionale» ha soltanto reso più complesso il ricorso al lavoro accessorio, col rischio di un aumento del lavoro sommerso. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un’apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio”.

Anche questa è una previsione opportuna, mirata a correggere la drastica restrizione operata nell’aprile 2017 su iniziativa del Governo per evitare il referendum abrogativo dei “buoni lavoro” promosso dalla Cgil. Va osservato, però, che in quell’occasione il M5S non soltanto non prese posizione contro il referendum promosso dalla Cgil, ma consentì che diversi suoi parlamentari prendessero posizione a sostegno di esso.

“Al fine di tutelare la sicurezza occupazionale e sociale, è importante lo sviluppo e il rafforzamento di politiche attive che facilitino l’occupazione, la ricollocazione ed adeguate misure di sostegno al reddito e di protezione sociale. Ciò potrà essere attuato anzitutto procedendo ad una profonda riforma e ad un potenziamento dei centri per l’impiego”.

Capitolo programmatico di importanza fondamentale, presente anche nel programma del Pd (il quale, però, su questo terreno porta la grave responsabilità di aver lasciato che la parte della riforma del 2015 riguardante i servizi per l’impiego rimanesse pressoché totalmente inattuata).

“Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro”.

Capoverso condivisibile, ma formulato in modo troppo generico. Salta all’occhio la (prevedibile e prevista) rinuncia alla reintroduzione dell’articolo 18 St.lav. in materia di licenziamenti, proposta dal prof. Tridico, fino a poche settimane fa candidato in pectore del M5S alla guida del ministero del Lavoro (su quella proposta il M5S era profondamente diviso al proprio interno).

“Favorire gli investimenti in imprese giovani, innovative e tecnologiche, significa scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca. A tal fine appare necessaria anzitutto una profonda riorganizzazione della formazione finalizzata all’effettivo impiego e di qualità, che guardi non solo alla realtà odierna ma che investa sui settori del futuro al fine di adeguare il lavoro ai cambiamenti tecnologici e di offerta, attraverso processi di formazione continua dei lavoratori. Si dovrà inoltre favorire, nell’ambito delle scuole secondarie di secondo grado e dell’università, la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni profili, nonché prevedere misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate”.

Al pari del precedente, questo capoverso è condivisibile, ma formulato in modo troppo generico. Salta all’occhio il silenzio sulla questione cruciale della rilevazione a tappeto dei tassi di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi: questa è la prima cosa concreta da fare, e non sarebbe difficile farla; ma incontra grandi resistenze negli apparati che gestiscono la formazione.

“È necessario inoltre introdurre misure volte a garantire un’adeguata formazione secondaria superiore di tipo tecnico professionale, capace di assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro e delle professioni manuali, tecniche e artigianali”.

Al pari dei due precedenti, questo capoverso è condivisibile, ma formulato in modo troppo generico: chi mai potrebbe sostenere il contrario?

 

(estratto di un post pubblicato sul blog personale di Pietro Ichino)

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