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Lavoro

Che cosa celano i risultati delle Europee. L’analisi di Seghezzi (Adapt)

La frattura tra centro e periferia nell'analisi di Francesco Seghezzi del centro studi Adapt sulle elezioni europee

 

Non sarà facile interpretare nel dettaglio il voto europeo di ieri. Occorrerà smaltire le polemiche interne al governo, tra governo e opposizione, attendere i risultati delle elezioni amministrative, valutare la composizione della nuova Europa e i suoi uomini chiave. Ma qualcosa sembra chiaro fin da subito, qualcosa alla quale siamo ormai abituati da qualche anno in Italia e non solo: la frattura tra centro e periferia.

Ma non un centro e periferia inteso semplicemente come distanza geografica tra spazi all’interno di singole o confinanti amministrazioni. C’è qualcosa di più complesso dietro che si collega direttamente a catene globali del valore che sempre più muovono i sistemi economici (e quindi sociali) dei singoli territori. I territori che si collocano ai livelli più alti di queste catene con buone performance di innovazione, investimento tecnologico e soprattutto capacità di attrazione di capitale umano, finanche miglior integrazione beneficiano di molti vantaggi.

Chi è tagliato fuori respira preoccupazione, insicurezza, paura. Le imprese della manifattura tradizionale in questi territori chiudono o non riescono ad uscire dalla cassa integrazione, i lavoratori dei servizi non qualificati si vedono scavalcati dai lavoratori stranieri all’interno di diffuse dinamiche di dumping salariale. I giovani se ne vanno, i territori si spopolano e invecchiano. Tutto questo si replica, in una modalità in parte diversa, all’interno delle città stesse in una logica più tradizionale di confronto-scontro tra centro e periferia.

Ma solo in uno sguardo più ampio sui rapporti tra territori e loro evoluzione socio-economica si possono spiegare intere città in cui la Lega ha preso la maggioranza dei voti, soprattutto in Emilia, Toscana e Umbria. In tutto questo il nodo del lavoro, in tutti i sondaggi la preoccupazione principale degli italiani (e della maggioranza degli elettori europei), è centrale. Vuoi per il timore, più diffuso di quanto si pensi (sebbene in buona parte infondato), della tecnologia, vuoi per un mondo della produzione che cambia, per i contratti che non garantiscono più la sicurezza di un tempo, per la competizione con i lavoratori stranieri, per la richiesta di lavorare più a lungo.

Non esiste oggi nessun partito o movimento politico che sia in grado di rispondere con soluzioni nuove a queste sfide, tutti sono ancora ingabbiati all’interno di schemi mentali del Novecento industriale. Vuoi perché buona parte della classe dirigente è ancora legata a quel mondo, vuoi perché la nuova classe dirigente giovane non ha spesso gli strumenti culturali (oltre che la volontà) per comprendere le trasformazioni. Anche perché, fino ad oggi, sono bastate risposte semplici, antistoriche, utopiche per ottenere i voti agognati.

(estratto di un’analisi pubblicata su Bollettino Adapt; qui la versione integrale)

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