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Spagna Sahel

Tutti i veri perché del sorpasso della Spagna sull’Italia

Minori tasse e maggiori investimenti pubblici per schiacciare la testa del serpente della crisi in Spagna. L’Italia, purtroppo, ha seguito la strada opposta. Il commento di Gianfranco Polillo Il sorpasso spagnolo in termini di reddito pro-capite, seppure corretto per la diversità del potere d’acquisto, nei confronti dell’Italia, è un campanello allarmante. Al momento si tratta…

Il sorpasso spagnolo in termini di reddito pro-capite, seppure corretto per la diversità del potere d’acquisto, nei confronti dell’Italia, è un campanello allarmante. Al momento si tratta di qualche decimale: ma la distanza è destinata a consolidarsi se le previsioni, per i prossimi anni, dovessero trovare conferma. Se poi si guarda alle diverse prospettive politiche, in termini di stabilità e di governance, quell’allarme rischia di trasformarsi in un nuovo incubo.

In questo caso l’ulteriore declassamento dell’Italia risulterebbe inevitabile ed avrebbe, come conseguenza, un’irrilevanza anche maggiore nel delicato scacchiere internazionale.

Comunque chapeau per Madrid che, grazie anche ai soldi italiani – il finanziamento delle sue banche con le risorse del Fondo salva stati (ESFS) – è riuscita a risalire la china. E divenire uno dei Paesi più dinamici dell’intera Eurozona. Con un tasso di crescita annua, negli ultimi tre anni, superiore al 3 per cento. Ritmo che ha consentito a Madrid di recuperare interamente il terreno perduto con la grande crisi. Mentre l’Italia, insieme alla Grecia, restano confinate in un limbo dalle poche speranze.

Il “miracolo spagnolo”, sebbene sussistano contraddizioni e squilibri, è indiscutibile. Solo qualche anno fa, il Paese era afflitto da un forte deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Nel periodo 2008–2012 era addirittura superiore al 4,1 per cento. Dal 2013 i progressi sono stati continui, con un surplus che ha superato l’1,1 per cento del Pil. Anche se rimane meno della metà di quello italiano. Ma in questo confronto c’è tutta la differenza, in termini di politica economica, con il nostro Paese.

Gli spagnoli non si sono limitati a sviluppare le esportazioni, come avvenuto in Italia. Hanno potenziato il motore della crescita, favorendo il traino della domanda interna per accrescere la potenza di fuoco complessiva dell’apparato produttivo. Sono stati soprattutto gli investimenti ad alimentare la domanda effettiva, con una conseguenza ricaduta in termini di consumi. Il tasso di disoccupazione è infatti diminuito da oltre il 25 per cento, del quinquennio 2008–12, a poco più del 17 per cento. Nuovi occupati che, con il loro reddito, hanno spinto verso l’alto l’asticella del benessere collettivo, alimentando quel “circolo virtuoso” che é alla base del successo conseguito.

Rilevante è stato il contributo della finanza pubblica. Con un deficit di bilancio tutt’altro che rispettoso dei parametri di Maastricht. Ancora nel 2017 esso era pari al 3,1 per cento, ben superiore ai limiti del Fiscal compact. Situazione che ha comportato la collocazione del Paese in una perenne “procedura d’infrazione” da parte della Commissione europea. Con nessuna conseguenza, tuttavia, ai fini del rinnovo dei titoli di Stato, visto che gli spread sui Bonos sono risultati di oltre 50 punti base inferiori a quelli sui Cct italiani. Sebbene il debito fosse, nel frattempo, fortemente cresciuto.

La verità è che Madrid ha utilizzato in modo intelligente le possibilità offerte dalla maggiore disponibilità finanziaria. Basti guardare all’andamento della pressione fiscale: pari a poco più del 33 per cento. Quasi 10 punti in meno rispetto all’Italia. Minori tasse e maggiori investimenti pubblici per schiacciare la testa del serpente della crisi. L’Italia, purtroppo, ha seguito la strada opposta. Ed ora è costretta a rammaricarsi del suo non invidiabile destino.

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