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Ecco chi al Fmi vuole far piangere i pensionati italiani

Il commento di Gianfranco Polillo su un paper scritto da 4 economisti del Fondo monetario internazionale mentre anche a Bruxelles è in cottura un altro documento sulle pensioni…. Le reazioni e le pressioni degli ambienti internazionali sul governo che verrà non si sono fatte attendere. Preoccupati degli esiti della campagna elettorale e delle proposte avanzate…

Le reazioni e le pressioni degli ambienti internazionali sul governo che verrà non si sono fatte attendere. Preoccupati degli esiti della campagna elettorale e delle proposte avanzate nel corso di quel confronto, hanno fatto partire le prime bordate.

La mossa più tempestiva è stata quella del Fondo monetario con un paper scritto a otto mani. Ben quattro economisti si sono adoprati per prescrivere le necessarie ricette di politica fiscale (Italy: Toward a Growth-Friendly Fiscal Reform). Un elaborato, tuttavia, che “do not necessarily represent the views of the IMF, its Executive Board, or IMF management”, come riportato in modo testuale nel frontespizio.

Un libero contributo, quindi, come se ne sono visti tanti. Le ricette proposte rappresentano un piccolo massacro sociale per i nostri pensionati: eliminazione della tredicesima e quattordicesima mensilità; limiti alle pensioni di reversibilità; introduzione del contributivo per tutti o metodi equivalenti (quindi anche per coloro che sono andati in pensione da anni); aumento dei contributi sociali per gli autonomi; riforma complessiva del sistema nell’eventualità di un taglio del cuneo fiscale (che dovrebbe comportare una riduzione dei contributi sociali); introduzione di una tassa per la salute (una sorta di Irap anche per chi non lavora); formulazione di ipotesi più restrittive nel più lungo periodo (in termini di crescita del Pil, tasso di occupazione e volumi di immigrazione). Due le possibili obiezioni.

La prima è di metodo. Non si capisce se siamo di fronte a misure che dovrebbero cumularsi oppure ad un menù dal quale scegliere le portate meno indigeste. Del resto manca qualsiasi quantificazione della possibile manovra. Comprensibile. L’obiettivo, seppur non dichiarato, era il monito a fermarsi, prima di sconvolgere un assetto, che comunque resta fragile. Ma allora perché gridare al lupo? Occorre serietà e misura anche nelle esortazioni.

La seconda è di maggiore sostanza. I tecnici del Fmi prendono in considerazione il singolo albero, ma non vedono l’intera foresta. Non tengono conto, cioè, degli equilibri complessivi della finanza pubblica italiana. Se la situazione italiana fosse quella descritta, l’Italia sarebbe sull’orlo della bancarotta. Con una spesa pubblica debordante. Immagine contraddetta dai dati della Banca d’Italia, coerenti con quelli di Eurostat. Nel 2016 la spesa corrente italiana, al netto degli interessi, è stata assolutamente pari a quella dell’Eurozona: entrambe al 41,9 per cento del Pil.

L’Italia – è vero – spende di più per le prestazioni sociali (previdenza ed assistenza) ma quel surplus è compensato al centesimo dalla minor spesa per consumi finali e per i redditi da lavoro. Resta la maggior spesa per interessi (4 per cento del Pil contro una media dell’Eurozona del 2,8). Onere al quale si fa fronte con una più elevata pressione fiscale (42,7 per cento del Pil contro una media europea del 40,9). Tant’è che l’indebitamento netto italiano è solo leggermente superiore: 1,5 del Pil, contro lo 0,5 dell’Eurozona. Scarto comprensibile se si considera che l’Italia resta l’unico Paese – oltre la Grecia – a non aver recuperato i livelli di reddito del 2007.

Conclusione: nessun allarmismo. Una volta determinati i saldi che contribuisco all’equilibrio di bilancio, – e l’Italia come abbiamo visto si trova in questa condizione – la scelta della sua composizione fa parte di quel residuo di sovranità nazionale che ancora rimane, nel rispetto dei vincoli europei. Spetta infatti ai singoli Parlamenti ed ai singoli governi decidere se spendere per produrre burro o cannoni.

Il sindacato internazionale può esercitarsi solo sui parametri globali e non certo sindacare le singole scelte, che appartengono alla cultura di ciascuna nazione. Il che non significa trascurare equilibri che devono essere salvaguardati. Ma tenendo conto di tutte le variabili incorporate nel quadro macroeconomico complessivo. Dei valori monetari, naturalmente; ma senza prescindere dagli altri elementi: quali la ricchezza finanziaria delle famiglie; il tasso di crescita non solo reale, ma nominale dell’economia; l’andamento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. L’eccessiva semplificazione del quadro finanziario può essere solo fuorviante. Soprattutto non aiuta a comporre una linea di politica economica aderente alle reali condizioni del Paese. Per questo certe critiche unilaterali vanno rispedite al mittente.

PS: Da informazioni stampa sembrerebbe che la Commissione europea in un suo report di prossima pubblicazione (Ageing Report 2018) sarebbe intenzionata a cavalcare la stessa onda. Le relative anticipazioni sono incerte e lacunose. Hanno tuttavia già contribuito a creare un clima poco rassicurante. Fosse così sarebbe grave. La Commissione europea, ogni anno, valida le previsioni di lungo periodo sulla tenuta del sistema pensionistico italiano, contenute nel Def. Ripensamenti sarebbero sempre possibili, ma andrebbero motivati con cura per spiegare le eventuali divergenze. L’impegno è a ritornarvi quando il quadro sarà più chiaro. Nel frattempo è bene non prestarsi a giochi incontrollabili, le cui finalità non sono, tuttavia, così misteriose.

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