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Spesa Pensioni

Ecco il testo completo del (controverso) progetto di legge M5S-Lega sulle pensioni d’oro

Start Magazine pubblica l’annunciato (e contestato) progetto di legge che incide sulle cosiddette pensioni d’oro. Il testo, composto di sei articoli, è firmato dai due capigruppo di Lega e M5S alla Camera, Riccardo Molinari e Francesco D’Uva.

DISPOSIZIONI PER FAVORIRE L’EQUITÀ DEL SISTEMA PREVIDENZIALE ATTRAVERSO IL RICALCOLO CONTRIBUTIVO DEI TRATTAMENTI PENSIONISTICI SUPERIORI A 4.000 EURO MENSILI

Relazione illustrativa

L’intervento normativo oggi proposto prevede un meccanismo di ricalcolo della quota
retributiva delle pensioni e degli assegni vitalizi di importo complessivo pari o superiore alla soglia
degli 80.000 euro lordi annui, in esito al quale i trattamenti pensionistici più elevati, le cc.dd.
pensioni d’oro, risulteranno ridotti. Le risorse che verranno liberate in esito a questo ricalcolo
saranno destinate all’integrazione delle pensioni minime e delle pensioni sociali., elevando i
trattamenti che oggi si attestano intorno ai 450 euro mensili fino alla soglia dei 780 euro. Le misure
introdotte scaturiscono dalla evidente necessità di apportare al settore pensionistico un correttivo
improntato a ragioni solidaristiche e di equità sociale, ancor più urgente nell’attuale fase socioeconomica
del Paese.

Infatti, in costanza di una congiuntura economica che da qualche anno ha
assunto un carattere di grave criticità, non solo in ambito nazionale, le fasce reddituali più basse
della popolazione si trovano ad affrontare difficoltà sempre crescenti. Tra queste le categorie di
coloro che percepiscono assegni sociali o pensioni minime sono tra quelle in assoluto più colpite,
mentre nel quadro del sistema pensionistico continuano a sussistere ambiti privilegiati, quale quello
dei fruitori delle cc.dd. pensioni d’oro. L’osservazione di questo stato di iniquità sociale, venuto
ancor più in risalto a causa dell’attuale crisi economica, ha ingenerato nella società civile, e
dobbiamo supporre anche nella società politica trasversalmente considerata, una domanda di
maggiore equità sociale.

Partiamo dalla considerazione che il sistema pensionistico negli ultimi venticinque anni ha
visto una radicale inversione del proprio criterio operativo, in esito al passaggio dal calcolo
retributivo a quello contributivo, resosi ineludibile al fine di assicurare l’equilibrio di bilancio. Con
tale trasformazione, pur graduata temporalmente, si sono evidenziate forti diseguaglianze
intergenerazionali (in persistenza delle preesistenti diseguaglianze intergenerazionali, sempre più
evidenti in ragione della crescente crisi economica) che hanno alimentato l’attuale, forte istanza
sociale di maggiore solidarietà, per rispondere alla quale oggi vengono presentate le disposizioni che
qui si illustrano.

L’istanza perequativa che è alla base di questo intervento normativo ha ispirato nel recente
passato altre iniziative legislative simili, seppur di portata applicativa più limitata, accolte con
prevedibile ostilità da coloro che dalle misure introdotte vedevano incisi i propri diritti patrimoniali.
Avverso questi interventi è stata quindi proposta la questione di legittimità costituzionale.
L’osservazione dell’evoluzione, in un tempo breve, delle risposte che la giurisprudenza
costituzionale ha fornito a queste istanze di tutela è importante e significativa per una prima ipotesi
su quello che potrebbe essere il giudizio della Corte nel caso fossero sottoposte al vaglio le
disposizioni che siamo qui a presentare. Oggi infatti possiamo sostenere come non solo la società
civile e, si suppone, anche quella politica siano ben consapevoli dell’obbligo morale e dell’urgenza
di intervenire con un meccanismo correttivo di alcune evidenti iniquità di questo settore del welfare.
Questa consapevolezza è palesemente e significativamente cresciuta anche nelle risposte che negli
ultimi anni, con le più recenti pronunce, la stessa Corte costituzionale ha dato a coloro che,
ritenendosi illegittimamente colpiti nei propri diritti quesiti e nel legittimo affidamento, hanno
sottoposto al sindacato di costituzionalità quelle disposizioni correttive di alcuni squilibri sociali.

Trattasi della c.d. giurisprudenza della crisi, che ha evidentemente enfatizzato l’elemento socioeconomico
quale ulteriore, fondamentale parametro nella complessiva valutazione di
costituzionalità delle norme oggetto delle ordinanze di rimessione. Dalla lettura sinottica di alcune
recenti sentenze della Corte, segnatamente la sentenza n° 223/2012, la sentenza n° 116/2013 e da
ultimo la sentenza n° 173/2016, emerge evidente l’evoluzione del bilanciamento dei principi e
valori costituzionali operato dalla Corte, evoluzione che ha portato ad esiti decisionali impensabili
poco tempo addietro. Si pensi a come la Corte (invero già con le ordinanze n° 160 del 2007 e n° 22
del 2003) nel vagliare alcune norme ha palesemente posto l’accento sul loro carattere di misura
improntata alla solidarietà previdenziale e pertanto conforme allo spirito degli artt. 2 e 38 Cost.,
respingendo in tal modo la questione di costituzionalità posta su alcune disposizioni recanti
interventi peggiorativi dei trattamenti pensionistici, in quanto valutati non irrazionali e non lesivi
“in modo eccessivo” dell’affidamento del cittadino. Il principio emerso è che il legislatore non è
interdetto dall’emanare disposizioni modificative dei rapporti di durata in senso sfavorevole, ove
esse non siano arbitrarie, ovvero risultino improntate ad un carattere di ragionevolezza e
proporzionalità.

A tale proposito sembra evidente il carattere di non arbitrarietà, ragionevolezza e
proporzionalità delle misure di ricalcolo applicate alle cc. dd. pensioni d’oro, in ragione dell’intento
teleologico che risponde pienamente al principio di solidarietà sociale cui è improntato il testo
costituzionale. Esse possono essere considerate – come si è espressa la Corte costituzionale nella
recente sentenza n° 173 del 2016 – una misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema
pensionistico e di sostegno previdenziale ai più deboli (…), imposta da una situazione di grave crisi
del sistema stesso, valutazione atta a conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a
fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di
affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n° 69
del 2014, n° 166 del 2012, n° 302 del 2010, n° 446 del 2002, ex plurimis).

L’effettività e la gravità della crisi in cui il sistema attualmente versa consente, nel più
recente indirizzo costituzionale, di considerare salvaguardato anche il principio del legittimo
affidamento dei soggetti incisi dalle misure di ricalcolo, peraltro improntate al pieno rispetto del
principio di proporzionalità dell’intervento, ulteriormente assicurato dalla clausola di salvaguardia
che più avanti si andrà ad illustrare.

Può risultare utile ricordare quello che in passato è stato un altro dei motivi di rimessione
alla Corte costituzionale di alcuni provvedimenti non dissimili da quello oggi proposto, ovvero la
loro presunta natura di mascherato contributo tributario, dalla quale si voleva inferire la violazione
degli artt. 3 e 53 Cost. E’ appena il caso di evidenziare come le misure proposte non costituiscono
un contributo di natura tributaria, giacché non si tratta di somme prelevate e acquisite dallo Stato, né
destinate alla fiscalità generale. Infatti il prelievo è di competenza diretta dell’INPS, che lo trattiene
all’interno delle proprie gestioni per specifiche finalità solidaristiche e previdenziali. Su questa
tipologia di prelievi la Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi con le ordinanze n°
160 del 2007 e n° 22 del 2003, ritenendoli scevri dai denunciati profili di incostituzionalità in
quanto volti a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale. La
giurisprudenza costituzionale ha già inquadrato interventi legislativi analoghi a quello oggi
illustrato nella categoria non dei contributi previdenziali in senso tecnico, ma bensì in quella delle
prestazioni patrimoniali imposte, di cui all’art. 23 Cost., per cui il richiamo all’art. 53 Cost.
risulterebbe del tutto inconferente. Ma quand’anche il riferimento all’art. 53 Cost. fosse ritenuto
corretto, la Corte già con un’ordinanza dell’anno 2000 aveva chiarito che la Costituzione non
impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali
per tutte le categorie di imposizione tributaria, ma esige un indefettibile raccordo con la capacità
contributiva in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore,
nello specifico campo tributario, del principio di uguaglianza collegato al compito di rimozione
degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone
umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale. E proprio l’INPS, costituitosi in un
recente giudizio di legittimità costituzionale, ha fatto richiamo alla consolidata giurisprudenza della
Corte per la quale, per un corretto vaglio della sussistenza o meno di una discriminazione rispetto
alla generalità dei consociati, l’art. 53 Cost. va considerato in termini non assoluti, ma relativi,
imponendo di interpretare il principio dell’universalità dell’imposizione in necessario
coordinamento con il principio solidaristico di cui agli artt. 2 e 3 Cost., essendo ben possibile
l’introduzione per singole categorie di cittadini di specifici tributi, purché nei limiti della
ragionevolezza.

Dunque, preso atto del più recente indirizzo della Corte che, nell’ottica dello spirito
costituzionale di solidarietà politica, economica e sociale e nel rispetto dei criteri di ragionevolezza
e proporzionalità degli interventi, ha già vagliato positivamente recenti misure che pure incidevano i
diritti patrimoniali di una platea ristretta di destinatari, oggi forse si potrebbe ritenere che il
possibile profilo di criticità delle disposizioni illustrate sia quello della non temporaneità del
meccanismo di ricalcolo introdotto. Questa considerazione critica che qualcuno potrebbe avanzare
ci ha già indotti ad operare una riflessione più “alta” su quella che è stata l’evoluzione del sistema
pensionistico italiano negli ultimi venticinque anni e da questa riflessione ricavare elementi di
conforto a quella che siamo convinti essere la piena coerenza delle disposizioni oggi introdotte con
lo spirito ed i principi della Carta costituzionale. Infatti non possiamo ignorare il fatto che il nostro
sistema ha visto un drastico spartiacque nel momento in cui, per legittime ed ineludibili esigenze di
equilibrio di bilancio, si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo, pur con una quota
della popolazione che resta beneficiata da un regime misto.

Tradotto in termini concreti, oggi coesistono nel nostro Paese tre diversi sistemi
pensionistici: un sistema in cui il cittadino percepisce un trattamento totalmente sganciato da quelli
che sono stati i suoi reali versamenti alla cassa previdenziale in costanza di attività lavorativa, un
sistema improntato alla filosofia opposta, ovvero di severa correlazione tra il versato ed il ricevuto
ed un sistema intermedio, misto, quale presunta garanzia di legittimità e di rispetto del legittimo
affidamento, riservato a coloro i quali sono entrati nel mondo del lavoro con precise aspettative in
merito al futuro trattamento pensionistico, poi del tutto disattese all’introduzione del metodo
contributivo. In un quadro di fatto e di diritto così rappresentato, non sembra infondato ritenere che
le misure di ricalcolo qui illustrate, la cui ratio è quella di introdurre un correttivo ad alcune palesi
diseguaglianze che – queste sì – appaiono totalmente disallineate rispetto ai principi costituzionali
sopra richiamati, non potrebbero che essere valutate positivamente dalla Corte costituzionale,
nonostante il loro carattere non transitorio. Anzi, la destinazione qui dichiarata, ad integrazione
delle pensioni minime e degli assegni sociali, dei fondi che si libereranno in esito al ricalcolo,
attribuisce alle disposizioni non solo carattere di piena legittimità costituzionale, conformemente ai
principi di solidarietà (art. 2 Cost.), eguaglianza (art. 3 Cost.), proporzionalità, ragionevolezza e
quant’altro, ma anche di pregio sul piano etico.

Venendo ad una breve illustrazione del contenuto delle disposizioni, l’art. 1 dispone la
decorrenza temporale della norma ed individua l’ambito applicativo del meccanismo di ricalcolo,
indicando quale suo parametro economico i trattamenti pensionistici di consistenza pari o superiore
agli 80.000 euro annui.

Il comma 1 dell’art. 1 indica la formula economica la cui risultante individua la riduzione
della quota retributiva delle pensioni incise, che sarà differenziata a seconda della decorrenza del
trattamento pensionistico e dell’età del soggetto al momento in cui ha iniziato a percepire la
pensione.

Il comma 2 dell’art. 1 estende il ricalcolo alle pensioni con decorrenza anteriore alla data del
1° gennaio 2019, indicando la relativa formula di ricalcolo.

Il comma 3 dell’art. 1 concerne il ricalcolo delle pensioni aventi decorrenza anteriore al 1°
gennaio 1996.

Il comma 4 dell’art. 1 contempla il caso del pensionamento in età inferiore ai 57 anni.

Il comma 5 dell’art. 1 specifica che il ricalcolo va effettuato sulle quote retributive del
reddito pensionistico complessivo lordo superiore agli 80.000 euro.

L’art. 2 prevede che anche gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale si adeguino,
nell’ambito della loro autonomia, al meccanismo di ricalcolo individuato dall’art. 1

L’art 3, al comma 1, istituisce il Fondo “Risparmio” presso il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali nel quale confluisce il risparmio ottenuto attraverso il ricalcolo di cui agli articoli 1,
2 e 3. Il comma 2 prevede che con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si stabiliscano le modalità di attuazione del
Fondo, nonché la destinazione degli aumenti riguardanti le pensioni minime e le pensioni sociali
fino alla capienza dei risparmi ottenuti.

L’art. 4 introduce una clausola di salvaguardia, quale correttivo degli effetti di applicazione
del ricalcolo, in assenza della quale la riduzione della quota contributiva potrebbe portare
l’ammontare dei trattamenti pensionistici incisi, ovvero quelli di consistenza pari o superiore agli
80.000 euro lordi annui, al di sotto di altri trattamenti la cui cifra complessiva lorda annua sia di
poco al di sotto degli 80.000 euro annui. Pertanto in nessun caso il totale lordo potrà scendere al di
sotto di questo valore.

L’art. 5 esclude dall’applicazione del ricalcolo gli istituti di cui alla Legge n° 222/1984 e
alla Legge n° 466/1980, in ragione della maggior tutela che il sistema intende continuare ad
assicurare a quei soggetti svantaggiati per la loro condizione di invalidità /inabilità o che siano
vittime del dovere o di azioni terroristiche.

Art. 1
(Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo contributivo dei
trattamenti pensionistici superiori a 4.000 euro mensili)

1. A far data dal 1° gennaio 2019 i trattamenti pensionistici pari o superiori agli 80.000 euro lordi
annui, liquidati a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei
lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione
generale obbligatoria, sono ricalcolati riducendo le quote retributive alla risultante del rapporto
tra il coefficiente di trasformazione relativo all’età dell’assicurato al momento del
pensionamento – come risulta dalla tabella A allegata L. 335/1995 e successive modificazioni
e integrazioni -, e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età prevista per il
pensionamento di vecchiaia, di cui all’articolo 24, comma 6 del Decreto Legge n. 201 del
2011, convertito con modificazioni dalla Legge n. 214 del 2011.
2. La rideterminazione si applica anche ai trattamenti pensionistici diretti aventi decorrenza
anteriore alla data del 1° gennaio 2019. In tali casi le quote retributive sono ridotte alla
risultante del rapporto tra il coefficiente di trasformazione vigente al momento del
pensionamento relativo all’età dell’assicurato alla medesima data e il coefficiente di
trasformazione corrispondente all’età riportata nella tabella A allegata alla presente legge per
ciascun anno di decorrenza della pensione. Nel caso in cui l’età alla decorrenza del trattamento
fosse superiore a 65 anni, deve essere utilizzato il coefficiente di trasformazione relativo a tale
età.
3. Per le pensioni aventi decorrenza antecedente il 1° gennaio 1996, alla data di pensionamento si
applicano i coefficienti di trasformazione in vigore fino alla data del 31 dicembre 2009, come
riportato nella tabella B allegata alla presente legge e disposto nella tabella A della legge
335/1995.
4. Nel caso in cui l’età alla decorrenza del trattamento fosse inferiore a 57 anni è utilizzato il
coefficiente di trasformazione relativo a tale età.
5. In caso di titolarità di più pensioni, il ricalcolo di cui al presente articolo va applicato alle
quote retributive del reddito pensionistico complessivo lordo superiore a 80 mila euro.

Art. 2
(Organi costituzionali e di rilevanza costituzionale)

1. Gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nell’ambito della loro autonomia, si
adeguano alle disposizioni di cui all’articolo 1, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge.

Art. 3
(Istituzione del “Fondo Risparmio”)

1. Presso il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, è istituito un “Fondo risparmio” nel
quale confluisce il risparmio ottenuto dal ricalcolo di cui agli articoli 1, 2 e 3.

2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle Politiche sociali , di concerto con il Ministro
dell’Economia e delle finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della
presente legge, sono stabilite le modalità di attuazione e gestione del Fondo di cui al comma
1, nonché la destinazione degli aumenti riguardanti le pensioni minime e le pensioni sociali
fino alla capienza dei risparmi ottenuti.

Art. 4
(Clausola di salvaguardia)

1. L’applicazione del meccanismo di ricalcolo di cui all’articolo 1, non potrà in alcun caso
comportare la riduzione dei trattamenti pensionistici o degli assegni vitalizi interessati al di sotto
della soglia degli 80.000 euro lordi annui, nonché perequazioni.

Art. 5
(Esclusioni)

1. Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui all’art 1 le pensioni di invalidità, i
trattamenti pensionistici di invalidità di cui alla legge 12 giugno 1984 n. 222, i trattamenti
pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o
di azioni terroristiche, di cui alla Legge n° 466/1980 e successive modificazioni e integrazioni.

Art. 6
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale

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