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Piattaforma Lavoro

I numeri dei contratti a termine non sono un’anomalia italiana in Europa. Report Adapt

L’analisi di Francesco Seghezzi, direttore della fondazione Adapt, sui contratti a termine a latere del decreto Dignità Obiettivo del decreto dignità è quello di avviare azioni di contrasto al fenomeno del precariato che, e questo è l’assunto di partenza, sarebbe aumentano notevolmente negli ultimi anni tanto da richiedere un intervento urgente. I contenuti del decreto…

Obiettivo del decreto dignità è quello di avviare azioni di contrasto al fenomeno del precariato che, e questo è l’assunto di partenza, sarebbe aumentano notevolmente negli ultimi anni tanto da richiedere un intervento urgente. I contenuti del decreto ci fanno comprendere come il precariato sia identificato dal legislatore negli istituti del contratto a tempo determinato e nel contratto di somministrazione, in particolare la somministrazione a tempo indeterminato. Sulla base di questi elementi è interessante offrire un quadro di dati statistici e amministrativi che delinei l’evoluzione di tali forme contrattuali e la inserisca nel quadro comparato.

La prima distinzione da fare riguarda quello che le diverse tipologie di dati ci consentono di conoscere. Infatti le statistiche diffuse dall’Istat, seguendo la modalità di rilevazione utilizzata a livello europeo e internazionale, ci offrono dati in merito ai contratti temporanei in senso lato, ossia tutto il lavoro dipendente non considerato permanente. Tali dati consentono di avere un quadro sullo stock di lavoratori temporanei presenti nel nostro Paese. I dati amministrativi forniti invece sia da INPS che dal Ministero del lavoro riguardano il flusso di attivazioni e cessazioni dei contratti, e questo consente di avere una idea più precisa dell’andamento dei contratti a termine, non solo del lavoro temporaneo in generale.

IL LAVORO TEMPORANEO IN ITALIA E IN EUROPA

Possiamo individuare come data di inizio della ricostruzione statistica che vogliamo proporre il 2001, data in cui viene liberalizzato in Italia mediante il d.lgs. n. 368 il contratto a termine superando la legge n. 230 del 1962 che lo prevedeva solo in poche determinate situazioni. Come si può notare dal grafico l’impatto della nuova norma non si è fatto sentire per i primi anni e inizialmente il numero di occupati a termine è rimasto sostanzialmente lo stesso, vivendo anzi un calo nel 2004. Successivamente si è assistito ad una breve crescita tra il 2005 e il 2008 subito rallentata dai primi anni di crisi. A partire dalle prime avvisaglie di ripresa economica, che spesso si è storicamente accompagnata da una cautela nelle scelte occupazionali delle imprese che preferiscono contratti a termine, abbiamo assistito ad una crescita degli occupati temporanei, rallentatasi poi nel 2013, probabilmente sempre per motivi legati alla congiuntura economica e agli impatti della seconda fase della crisi. Tra il 2001 e il 2013 la crescita complessiva di questa tipologia di occupati è stata quindi di 225mila unità, pari all’11,4%.

Una crescita più marcata è riscontrabile invece a partire dal 2014, complice il c.d. decreto Poletti insieme all’avvio di un processo di generale miglioramento dell’economia italiana, concentrato soprattutto nel settore dei servizi. Tra il 2014 e il 2017 il numero di occupati a termine è cresciuto di 446mila unità, pari al 19,6%. Nel corso di questi quattro anni si è assistito quindi ad una crescita pari al doppio di quella avvenuta tra il 2001 al 2013. Complessivamente tra il 2001 e il 2017 la crescita è stata di 750mila unità, pari al 38%, e i primi dati del 2018 confermano come questo trend sia ancora in corso.

Se non guardiamo solo al numero assoluto ma alla percentuale dei lavoratori a termine sul totale dei lavoratori dipendenti assistiamo alla medesima dinamica. Ma questo grafico ci consente anche di inserire l’andamento di questa fetta del mercato del lavoro italiano all’interno del quadro europeo. Emerge così come il dato italiano si trova in linea con la media europea, fatta salva l’accelerazione degli ultimi anni. Non sembra riscontrarsi quindi una particolare anomalia italiana rispetto alla quantità di occupazione temporanea.

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