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Piaggio Aerospace Vendita

Come Leonardo-Finmeccanica e governo possono decollare con Piaggio Aero. L’analisi di Arpino

L'analisi di Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

 

La Piaggio, pur tra alterne vicende, è un pezzo importante ed amato della nostra storia. E’ però anche vero che, negli anni, se ci ha fatto tanto gioire, altrettanto ci ha fatto tribolare. Onestamente, i più anziani sanno che per questa società la condizione di crisi o quasi-crisi non è affatto una novità. Intendiamoci, ha sempre avuto ingegneri di eccezionale valore e maestranze di professionalità impareggiabile, ma purtroppo è mancato qualcosa che la rendesse più grande per competere, più efficiente nel prodotto e più affidabile nell’assistenza al cliente. Problema, quest’ultimo, sensibilmente migliorato solo qualche anno dopo l’ingresso in linea dell’ottimo biturbina P-180.

I motivi di questo stato di continuo disagio possono essere fatti risalire alla permanente sottocapitalizzazione, all’insufficiente industrializzazione e, quindi, ad una produzione limitata, che non ha mai consentito né di ampliare sufficientemente il mercato, né di beneficiare delle economie di scala. Negli anni, il collocamento di piccoli numeri sul mercato interno, per lo più militare, spesso non ha avuto alternative. Così nel dopoguerra è stato per il valido anfibio P-136, che pure – reso celebre dalle imprese aviatorie della marchesa Carina Negrone – aveva destato interesse negli Stati Uniti. Idem per i bimotori a pistoni e turboelica P-166, acquistati solo dall’Aeronautica Militare, e per i bireattori tipo executive PD-808, anche questi venduti in pochi esemplari solo all’Aeronautica. Prima, negli anni ’50, l’Aeronautica Militare aveva anche acquistato un buon numero di piccoli monomotori P-148, biposto da addestramento e collegamento, mentre il più formativo P-149 era stato prodotto dalla Foke-Wulf in Germania, per esigenze militari e civili.

Come si vede, senza un continuo finanziamento governativo e la buona volontà della Difesa, le attività aeronautiche di Piaggio sarebbero già cessate da tempo. La svolta avrebbe dovuto essere rappresentata (ed in parte così è stato) dalla produzione su più ampia scala dell’innovativo biturboelica P-180, con prestazioni che si avvicinano a quelle di alcuni aviogetti executive stranieri. E’ stato acquistato, sebbene in piccoli numeri, dalle forze armate italiane e da vari corpi dello Stato. All’estero, India, Cina e Stati Uniti compresi, questo interessante velivolo ha avuto una discreta accoglienza, dovuta, oltre che alle qualità intrinseche, alla maggior attenzione al cliente da parte della Ditta. Ma, se la Piaggio oggi è in crisi nonostante questo indubbio successo, il cospicuo ingresso di capitale straniero ed il rinnovo dei vertici, significa che qualcosa non ha funzionato.

Probabilmente il proposito di poggiarsi sul successo tecnico del P-180 per trasformarlo in velivolo a pilotaggio remoto, facendo ancora una volta affidamento sulle esigenze future della Difesa, non è stata un’idea felice. Tuttavia, sebbene l’Aeronautica Militare, che con i Predator ed i Reaper è la Forza Armata che in Europa ha la maggior esperienza sui velivoli pilotati a distanza, abbia posto una doverosa e patriottica opzione sui futuri P2-HH, la grande industria partecipata aveva già aderito ad altra iniziativa europea, sul tappeto da molto prima del prodotto nazionale su cui aveva solitariamente puntato Piaggio Aerospace. Si tratta del progetto EURO MALE Rpas (Medium Altitude Long Range – Remotely Piloted Air System), in servizio nel 2025. Il nazionale P2-HH ora è quindi sul mercato quale concorrente del progetto europeo. Un modello in scala reale di Euromale (anche questo con turboeliche propellenti, come il Piaggio) è stato presentato nello scorso aprile al Salone aeronautico di Berlino. Capofila è la Germania con Airbus, affiancata dalla Francia con Dassault e dall’Italia con Leonardo. Da ultimo ha aderito anche la Spagna con la Casa. Tutti i big europei, quindi, a fronte di un solitario progetto Piaggio e con un’Italia che, ogni tanto le succede, si trova con un piede in due staffe.

E’ normale che in questa situazione, e con i precedenti anche lontani che abbiamo cercato di descrivere, il governo, prima di procedere con finanziamenti, voglia chiarirsi meglio le idee. C’è però il problema delle maestranze e della nicchia di know-how che Piaggio Aerospace rappresenta per l’Italia. Non azzardiamo proposte, che non ci competono, ma solo un’idea molto libera. Leonardo (ex Finmeccanica), come sta facendo con Vitrociset, acquisterebbe Piaggio, senza iniziali spacchettamenti. Con la sua capacità di inserimento globale potrebbe rilanciare nel mondo (anche in Africa) il P-180, executive economico di successo, e integrare poi con quelle che già possiede le competenze acquisite da Finale Ligure nello studio dei velivolo a pilotaggio remoto. La revisione dei motori dell’MB-339 dell’A.M. è comunque destinata ad esaurirsi con la vita residua del velivolo.

I vantaggi dell’operazione sarebbero più d’uno. Leonardo crescerebbe di dimensioni e know-how, potendosi così meglio confrontare con i partner europei. Piaggio di fatto si salverebbe entrando a far parte di un futuro gruppo Leonardo, già partecipato dallo Stato, che razionalizzerebbe le principali attività aeronautiche nazionali. Il governo avrebbe l’opportunità (ampiamente giustificabile) di spostare un’aliquota di risorse di bilancio su attività produttive e di sviluppo, facendo contenta la Commissione senza perdere la faccia con gli elettori. L’eventuale ritiro dal capitale degli Eau non sarebbe più un danno grave. Unico dispiacere: il P2-HH decadrebbe come progetto nazionale, ma l’esperienza acquisita confluirebbe, attraverso Leonardo, verso l’Euromale.

La Difesa, ancora ben attrezzata con Predator e Reaper, potrà attendere senza patemi il nuovo prodotto europeo.

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