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Nuovo Mes

Chi e perché contesta il Mes. L’articolo di Liturri

Che cosa è emerso sul Mes durante le audizioni del dirigente Consob, Minenna, e dell'ex sottosegretario agli Affari europei, Barra Caracciolo

Ormai è ufficiale. Solo il ministro Gualtieri derubrica le modifiche al Mes come poche e non significative.

A smuovere il fermo ottimismo di Gualtieri, che accusa chi non la pensa come lui di fomentare il terrorismo, non sono bastate le parole del professor Giampaolo Galli del 6 novembre (“Una ristrutturazione preventiva sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori ”). Nemmeno quelle del governatore di Bankitalia Visco del 15 novembre (“…I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative di insolvenza, suscettibili di autoavverarsi…), nonostante il poco convincente tentativo di reinterpretazione del 4 dicembre, Visco, con quelle parole, sostiene chiaramente che il Mes, con la sua capacità di definire modalità e tempi per la gestione di una crisi sovrana e di una possibile ristrutturazione del debito pubblico, contribuisce senz’altro ad evitare il ripetersi di situazioni simili al caos argentino, il cui semplice annuncio rischia però di innescare un circolo vizioso di aspettative che porta proprio a far avverare l’evento che si intende disciplinare: la crisi ed il default di uno stato sovrano. È vero che si riduce l’incertezza, peccato che così si rischi di provocare proprio l’evento.

Il 9 dicembre in audizione presso le commissioni parlamentari l’economista e dirigente Consob Marcello Minenna ed il giurista e magistrato Luciano Barra Caracciolo hanno aperto ulteriori varchi nel muro di gomma dell’ottimismo di facciata. Minenna, pur evidenziando che le clausole di azione collettiva sono di là da venire e quindi minimizzando il rischio di una immediata reazione avversa, ritiene che il MES non aiuti a colmare i vuoti dell’attuale assetto europeo. Non si evolve verso un sistema di condivisione dei rischi ed anzi si afferma il principio della segregazione dei rischi. Inoltre, per quanto riguarda il sostegno al fondo di risoluzione per le crisi bancarie che andrà a regime solo nel 2024, nella valutazione per l’eventuale introduzione anticipata, si continua a guardare solo alle sofferenze bancarie come fonte di rischio e si ignorano i derivati illiquidi e difficilmente valutabili che abbondano nelle banche francesi e tedeschi. Infine, tra le condizionalità per l’accesso alla linea di credito precauzionale, c’è ancora il contestato fiscal compact e, soprattutto, il rispetto dell’obiettivo di disavanzo strutturale che è soggetto all’ampia discrezionalità della stima dell’output gap (la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale). Insomma, tutto quanto è oggetto di contestazione da anni nell’eurozona, è stato riproposto come snodo fondamentale del MES.

Quando poi si è trattato di rispondere alla domanda dell’On. Padoan, Minenna ha sostenuto che con le CAC non si elimina affatto il rischio di uscita di un Paese dall’euro e conseguente ridenominazione del debito pubblico, anzi, la modifica che intende adottare un’unica maggioranza dei creditori per tutto il debito pubblico (la cosiddetta ‘single limb’) anziché specifiche maggioranze per ciascuna serie di titoli (‘dual limb’), costituisce un incentivo per lo Stato ad uscire. Mentre in quest’ultimo caso si riducono gli spazi di manovra per la ristrutturazione, nel primo caso si aumentano gli incentivi per uscire perché con un singolo accordo con i creditori, lo Stato può salutare ed uscire.

L’intervento di Barra Caracciolo ha riservato i rilievi più clamorosi, proprio perché la linea di critica più efficace al MES si svolge sul piano della compatibilità con la nostra Costituzione. Secondo il giurista, il MES va inquadrato in un’architettura di riferimento. Esso esiste in quanto esiste un rischio di insolvenza per il debito sovrano dei paesi dell’eurozona che è una scelta intenzionale, mentre in tutto il mondo esiste solo un rischio di inflazione. I tedeschi da sempre vogliono che siano i mercati a disciplinare i paesi riottosi verso il rispetto delle regole di riduzione del debito ed il MES è il coronamento finale di questo disegno di lungo periodo, proprio perché finalizzato a gestire le crisi e l’insolvenza di uno Stato. Quindi niente solidarietà ma ognuno paga per sé, anche con sacrificio dei risparmiatori. Perché, si chiede il giurista, le condizioni di accesso al credito precauzionale sono esclusivamente concentrate su parametri e condizioni che ci vedono penalizzati, quando le crisi del passato hanno avuto origini da problemi di debito privato e non pubblico? Perché scegliere quei parametri e non altri che ci vedono come uno degli Stati più virtuosi nella gestione del bilancio pubblico, soprattutto dopo la crisi del 2008?

Ma queste condizionalità creano anche un forte conflitto sul piano della compatibilità con la nostra Carta: come possiamo partecipare ‘su un piano di parità’ (ex art. 11 Costituzione) quando siamo esclusi in partenza dall’accesso alla linea di credito precauzionale e veniamo spediti di diritto all’inferno della linea di credito rafforzata con annesso memorandum alla greca? Non c’è proporzione tra prestazione a carico del nostro paese e controprestazione del MES, da cui siamo sin dall’inizio esclusi.

Il giurista contesta anche il processo di approvazione che tende a dare potere negoziale ad organi tecnici come il gruppo di lavoro dell’Eurogruppo. Il vero consenso si formerà al momento dell’Eurosummit a livello di capi di governo e fino ad allora non si può legare le mani alla volontà del nostro paese. E né è possibile invocare il ‘legittimo affidamento’ sorto negli altri contraenti. Quale legittimo affidamento può esserci negli altri contraenti quando mancano ancora allegati decisivi ed il testo è stato sottratto al processo di confronto tra Governo e Parlamento che lo ha ricevuto solo qualche settimana fa?

Da ultimo e più importante, la ponderazione del rischio dei titoli di Stato, fatta uscire dalla finestra rifiutandola nell’ambito del negoziato sulla garanzia comune dei depositi, rientra dalla porta. Perché la verifica sistematica e preventiva della sostenibilità del debito (ex art. 3) di tutti gli Stati, porterebbe ad una preventiva conoscibilità dei diversi livelli di rischio, una sorta di rating de facto, con conseguente impatto sui valori dei titoli e sui bilanci bancari e, a cascata, sui risparmi. In sintesi, l’apocalisse.

(versione integrata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità questa settimana)

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