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Giorgetti

Che cosa cambierà a Repubblica con Molinari voluto da Elkann al posto di Verdelli

Obiettivi ed effetti della scelta di Elkann di affidare la direzione di Repubblica a Molinari della Stampa. I Graffi di Damato La prima impressione che si ha di fronte all’improvviso cambiamento intervenuto alla direzione della Repubblica – quella naturalmente di carta, da non confondere con quella in carne e ossa presieduta al Quirinale da Sergio…

La prima impressione che si ha di fronte all’improvviso cambiamento intervenuto alla direzione della Repubblica – quella naturalmente di carta, da non confondere con quella in carne e ossa presieduta al Quirinale da Sergio Mattarella – è di una irruzione metaforica dei cingolati o trattori della Fiat, o di come diavolo si chiama dai tempi del compianto Sergio Marchionne, nel giornale fondato nel 1976 da Eugenio Scalfari. Che a 96 anni appena compiuti ha dovuto incassare un’altra cocente delusione, dopo quella procuratagli dal penultimo editore della “sua” Repubblica, Carlo De Benedetti, quando nominò direttore Mario Calabresi per la successione a Ezio Mauro, senza neppure consultarlo. Allora Scalfari minacciò di diradare o addirittura interrompere la sua collaborazione con gli editoriali domenicali ed altri interventi.

IL TRATTORE DI ELKANN SU REPUBBLICA

Il nuovo editore di Repubblica è notoriamente e sostanzialmente la ex Fiat – o, se preferite, per semplicità, il nipote della buonanima di Gianni Agnelli, John Elkann – con un cambiamento di proprietà che Carlo De Benedetti ha cercato inutilmente di impedire, anche a costo di scontrarsi con i figli e dar loro, senza mezzi termini, degli inadatti all’impresa ricevuta in donazione dal padre.

LA CARTA MOLINARI PER REPUBBLICA

Trasferire materialmente, dalla mattina alla sera, il direttore della storica testata della Fiat la Stampa da Torino a Roma, alla guida appunto della Repubblica, è qualcosa che parla da sé. Il nuovo editore ha voluto far sentire tutto il suo peso come più, francamente, non si poteva, non lasciandosi condizionare – fra le proteste della redazione – neppure dalla campagna di solidarietà a favore del direttore uscente, Carlo Verdelli, appena lanciata sulla stessa Repubblica da Francesco Merlo a causa delle minacce di morte piovutegli addosso e procurategli, fra l’altro, una protezione di primo livello da parte delle forze dell’ordine. Lo spostamento del pur ottimo Massimo Giannini dall’interno della Repubblica alla direzione della Stampa fa un po’ assomigliare i due giornali a due stabilimenti industriali dello stesso imprenditore, con vertici intercambiabili a preminenza tuttavia torinese.

LO SCIOPERO A REPUBBLICA

Sul piano economico o industriale, diciamo così, queste operazioni, chiaramente temute dalla redazione scesa non a caso in uno sciopero immediato, sembrano finalizzate a portare a termine piani radicali di riduzione di spese e personale con prepensionamenti destinati a danneggiare il già pericolante Istituto di previdenza dei giornalisti italiani. Che è stato usato spesso dagli editori da qualche tempo come bancomat per i loro stati ripetutamente dichiarati di crisi e conseguenti ristrutturazioni.

GLI EFFETTI DI MOLINARI

Sul piano politico si può sospettare – s  vedrà con i fatti se a torto o a ragione – un ridimensionamento del peso della politica interna sulla linea di Repubblica, privilegiando notoriamente il nuovo direttore Maurizio Molinari, di formazione liberale, la politica estera per la sua consolidata esperienza fra gli Stati Uniti e Israele.

REBUS SCALFARI

D’altronde, va detto che della politica interna si è via via disamorato negli ultimi anni lo stesso Scalfari, scrivendo più volentieri del suo autorevolissimo amico Papa Francesco che dei presidenti italiani del Consiglio dei Ministri. All’ultimo dei quali, tuttavia, egli ha voluto più volte concedere l’onore di un paragone col compianto Aldo Moro per capacità di intuizione e di creazione di sempre più nuovi equilibri politici. E ciò anche se l’ultimo interlocutore di Moro fu Enrico Berlinguer, mentre quelli di Conte vanno, dopo la rottura con Matteo Salvini, da Nicola Zingaretti a Vito Crimi, e un po’ da qualche giorno anche Silvio Berlusconi. Roba da capogiro, o da emergenze, di cui d’altronde è sin troppo piena l’Italia.

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