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Caos europeo, rischio Mes e ruolo della Bce. L’analisi di Liturri

Che cosa succede davvero in Europa tra Eurogruppo, Commissione Ue e Bce? L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Le conclusioni dell’Eurogruppo terminato ieri sera, danno una chiara idea dello scarto attualmente esistente tra la magnitudo del terremoto economico e sanitario in atto e gli strumenti a disposizione per affrontarlo.

Al Presidente Mario Centeno non è bastato pronunciare la fortunata frase “whatever it takes” per crearsi una credibilità ed un’autorevolezza che non possiede. La sua pistola è scarica e piena solo di generiche dichiarazioni di intento. Per alcuni commentatori, la dichiarazione finale è un testo timido, vago, anche se si riserva ulteriori e più efficaci misure. Il linguaggio non riflette la sensazione di  urgenza e drammaticità del momento, sembra la solita vecchia liturgia.

Centeno fa affidamento unicamente sulle risorse nazionali, peraltro non coordinate, perché ognuno sta facendo per sé, sulla base dello spazio fiscale disponibile. Che senso ha parlare di misure pari al 1% del Pil dell’Eurozona, includendo e sommando le risorse nazionali, se quest’ultima non ha autonoma capacità di spesa? Per non parlare dei €65 miliardi promessi dalla Commissione, una vera e propria goccia nell’oceano insieme agli €8 miliardi messi a disposizione dalla BEI, aumentabili fino a 28. Come spiegato oggi sul Ft, se l’attività economica si riduce a metà per un solo mese e poi del 25% nei due mesi successivi, il Pil potrebbe decrescere del 10% su base annua. Scenario da tempi di guerra. Durante la crisi 2008/2009 lo stimolo fiscale fu pari al 1,5% del Pil. In questo caso, dovremmo andare ben oltre, almeno al 4% del Pil oppure in misura identica a quella della caduta del PIL.

L’Eurogruppo sembra ancora preda di vecchi feticci, come il Patto di Stabilità e Crescita (SGP), a cui Centeno continua a fare riferimento. Che aiuto fornisce al miglioramento della situazione affermare l’ovvio, e cioè garantire che le spese effettuate per questa crisi saranno escluse dal calcolo del deficit strutturale, rilevante ai fini del SGP? Che senso ha ancora parlare di regole sugli aiuti di Stato e pensare che le soluzioni per questa crisi possano ancora risiedere all’interno del perimetro di vecchie regole?

Al di là di queste ovvietà, il vero punto di discussione della riunione è stato il Mes, come riferito ampiamente sempre dal Ft anche oggi.

Per quanto riguarda la riforma del Mes, Centeno ha ripetuto quanto noto da dicembre e cioè che l’accordo è già raggiunto “in linea di massima” (in principle), erano rimasti alcuni dettagli legali da chiarire e ciò è avvenuto ad opera dei loro vice e quindi si chiuderà questo capitolo a breve.

Il Mes già in vigore dal 2012, che ha una capacità teorica di prestito inutilizzata di €410 miliardi è ancora poggiato sul tavolo e ieri avevamo anticipato già di discussioni avvenute venerdì a livello di alti funzionari dei ministeri coinvolti.

Ieri sera le parole del Presidente del Mes, non hanno dissipato i dubbi. Klaus Regling ha parlato di discussioni in corso su come utilizzare gli strumenti disponibili. Ha però fatto notare che oggi, a differenza della precedente crisi, nessun Paese ha (ancora, nda) perso l’accesso ai mercati e beneficiano tutti di bassi tassi di interesse. Non sono bastate sei ore di discussione su come tarare l’uso di questo strumento.

Il Ft riferisce di differenza di posizioni. Il Ministro tedesco Olaf Scholz sostiene che sia ancora “prematuro” parlarne. Altri hanno paura di scatenare la paura dei mercati, mettendo in campo uno strumento che colpirebbe come uno stigma il Paese beneficiario.

Come interpretare tali affermazioni? Le parole di Regling ricalcano la posizione tedesca, dal sen fuggita giovedì alla Lagarde: ognuno vada sui mercati, trovi i soldi e paghi secondo il suo merito di credito. E lo spread? Pazienza. Ognuno per sé. Inoltre il MES dimostra oggi, alla prova dei fatti, tutti i difetti descritti nei mesi precedenti. Quando serve, cioè in una crisi, porta più costi che benefici.

È lento: il Mes oggi non dispone di 410 miliardi, deve trovarli emettendo obbligazioni oppure richiamare il capitale non versato, cioè un salasso da circa €100 miliardi per l’Italia.

Ha comunque risorse limitate: il Mes non potrà mai chiamare “il whatever it takes” che solo una Banca Centrale può chiamare.

Ha un solo pregio, agli occhi dei nostri partner europei: per Statuto deve concedere prestiti sotto stretta condizionalità (con la riforma ancora più stretta) ed è perfetto per installare definitivamente la Troika a Palazzo Chigi.

Stasera il Consiglio Europeo, in videoconferenza in seduta straordinaria, potrà fornire altri elementi per capire l’evoluzione della vicenda. Il fabbisogno finanziario del nostro Paese, per fronteggiare un calo del PIL che si misurerà in centinaia di miliardi, è tale che solo una Banca Centrale, che incondizionatamente acquisti i nostri titoli, può soddisfare.

La posta in gioco, come si vede, è enorme. Ne va del futuro del nostro Paese per i prossimi decenni.

 

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