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Bce

Che cosa cambierà davvero per banche e imprese dopo le mosse della Bce. Il commento di Mezzomo

Il commento di Luca Mezzomo, Head of Macroeconomic Analysis Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, dopo gli annunci del presidente della Bce, Mario Draghi

La Bce ha annunciato una serie di misure di stimolo, nel complesso abbastanza vicine alle attese di consenso, ma con qualche sorpresa:

1. Una limatura del tasso sui depositi da -0,40% a -0,50%, lasciando immutato il livello del tasso sulle OPR (operazioni principali di rifinanziamento) e del tasso sul rifinanziamento marginale. Il taglio degli altri due tassi ufficiali non è neppure stato considerato. Questo è meno di quanto il mercato scontava, ma la porta non è chiusa a nuove limature.

2. Infatti, è arrivata la conferma dell’easing bias, con possibilità di ulteriori limature dei tassi fino a quando le prospettive dell’inflazione non convergeranno energicamente (robustly) all’obiettivo, e non si stabilizzeranno a un livello un po’ sotto il 2%.

3. Viene introdotto un sistema di remunerazione delle riserve a due livelli, che consentirà di esentare una parte dell’eccesso di riserve dal tasso negativo sui depositi.

4. Si annuncia la riattivazione degli acquisti netti nell’ambito dell’APP al ritmo di 20 miliardi mensili, con decorrenza 1 novembre, senza scadenza prefissata: “fino a quando necessario per rafforzare l’impatto di stimolo dei suoi tassi ufficiali”, con l’aspettativa che siano terminati fino a poco prima che inizi il rialzo dei tassi. La dimensione degli acquisti è minore rispetto alle stime di consenso, ma l’assenza di una scadenza fissa dovrebbe essere interpretata favorevolmente. Questa parte dell’annuncio è la più clamorosa, perché inizialmente l’APP era lo strumento contro il rischio di deflazione.

5. Il reinvestimento delle scadenze APP esteso fino a dopo che sarà iniziato il rialzo dei tassi ufficiali.

6. Infine, le condizioni delle TLTRO III sono state rese più attraenti: ora sarà applicato il tasso medio sulle OPR, oppure il tasso sui depositi medio se la crescita degli impieghi supera il benchmark, calcolato sulla vita dell’operazione, senza più prevedere addizionali. Inoltre, la durata delle operazioni è stata estesa da 2 a 3 anni.

L’opposizione agli acquisti netti emersa nelle scorse settimane, dunque, si è rivelata minoritaria. A una domanda specifica, il presidente Draghi ha risposto che c’è stata unanimità riguardo al fatto che il principale strumento di intervento dovrebbe oggi essere la politica fiscale, e non la politica monetaria. Come previsto, l’accordo è stato “ampio” su tutte le misure tranne gli acquisti netti. Anche sugli acquisti netti, però, Draghi ha dichiarato che la maggioranza è stata larga da non richiedere un voto formale sufficientemente . Inoltre, ha dichiarato che non è stata considerata l’ipotesi di acquisti maggiori di quelli annunciati. Ugualmente, l’ipotesi di revisione dell’obiettivo di inflazione non viene neppure considerata.

La natura aperta del programma di acquisti è la parte più sorprendente dell’annuncio. In particolare, la dichiarazione che sarà terminato a ridosso del rialzo dei tassi, implica indirettamente che gli acquisti netti continueranno fino a quando l’inflazione non avrà raggiunto l’obiettivo.

Tale passo, quindi, ci avvicina un po’ alla giapponesizzazione della politica monetaria in Europa. Legando gli acquisti netti al raggiungimento dell’obiettivo di inflazione, data la minore efficacia della politica monetaria in questa fase, si apre alla prospettiva del trasferimento di una quota crescente del debito pubblico nel bilancio dell’Eurosistema attraverso acquisti netti superiori alle emissioni nette dei governi. Se tale impostazione sarà confermata, probabilmente ciò renderà necessario nel tempo anche un allentamento dei criteri di allocazione degli acquisti, dato che l’Eurosistema già detiene oltre il 30% del debito tedesco eligible. Draghi ha però dichiarato che gli acquisti netti potranno continuare per un periodo “piuttosto lungo” senza bisogno di discutere dei limiti.

A mitigare la radicalità di questa scelta, va detto che si tratta di una aspettativa del Consiglio Direttivo, che potrebbe mutare nel tempo. Ma ciò è vero anche per l’indirizzo che la BCE fornisce sui tassi ufficiali. In effetti, se e come l’easing bias si tradurrà in nuove misure di stimolo, e per quanto gli acquisti continueranno, sono questioni che dipendono dall’evoluzione dell’attività economica reale nel 2020.

A tale riguardo, le previsioni dello staff sull’inflazione e la crescita sono state limate, come previsto. La crescita è stimata 1,1 e 1,2% rispettivamente nel 2019 e nel 2020, con una più marcata accelerazione nel 2021. Le stime sono appena superiori alle nostre proiezioni: tuttavia, Draghi ha ricordato che lo scenario di base non include l’ipotesi di no-deal Brexit, che potrebbe quindi portare a ulteriori limature della crescita, se si realizzasse. L’inflazione è invece prevista a 1,2% e 1,0% rispettivamente, con una risalita successiva a 1,5%. In questo caso, i numeri per il primo biennio sono pressoché identici ai nostri.

Tale scenario implica nel 2020 un’accelerazione della crescita reale maggiore di quanto non appaia dalle medie annue. Quindi, se lo scenario è corretto, nel primo semestre del significativo miglioramento dei dati per evitare una nuova limatura dei tassi 2020 servirà un . Non ci sarebbe scenario migliore per la BCE di una pronta riaccelerazione del ciclo economico europeo a inizio 2020, che sarebbe percepita come un successo delle misure aggressive messe in campo quest’anno. Tutto sarebbe più facile se la politica fiscale venisse allentata più rapidamente in Germania.

Nel secondo semestre, invece, se i dati saranno migliorati come da scenario di base, potrebbe iniziare un dibattito riguardo all’opportunità di ridurre lo stimolo, e la svolta maturerebbe forse nel 2021. Tuttavia, lo scenario macroeconomico internazionale è così incerto che il bilancio dei rischi potrebbe obbligare la Banca centrale a continuare gli acquisti netti anche nel 2021, mantenendo un orientamento molto espansivo della politica monetaria.

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