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Banca D'Italia

Banca Etruria, Tercas e non solo. Ecco i veri attriti fra Paolo Savona, Ignazio Visco e Antonio Patuelli

Sono svelati anche gli attriti fra i vertici del Fondo interbancario di tutela dei depositi (quando era presieduto da Paolo Savona), la Banca d’Italia e l’Abi su Banca Etruria e non solo nel libro in uscita dell’economista Savona “Come un incubo e un sogno” per i tipi di Rubbettino. Nei giorni in cui Savona è…

Sono svelati anche gli attriti fra i vertici del Fondo interbancario di tutela dei depositi (quando era presieduto da Paolo Savona), la Banca d’Italia e l’Abi su Banca Etruria e non solo nel libro in uscita dell’economista Savona “Come un incubo e un sogno” per i tipi di Rubbettino.

Nei giorni in cui Savona è candidato da Movimento 5 Stelle e Lega come ministro dell’Economia e delle Finanze, con la ritrosia del capo dello Stato, Sergio Mattarella, il libro in uscita dell’economista chiarisce per la prima volta gli attriti istituzionali che ci sono stati negli anni scorsi su alcuni dossier bancari ad alto tasso politico.

Non mancano nel libro di Savona staffilate ai vertici della Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi, della Banca d’Italia governata da Ignazio Visco e dell’Abi presieduta da Antonio Patuelli.

(TUTTE LE SOAVI BORDATE DI SAVONA A EDITORI, BANCHIERI, ISTITUZIONI, MANAGER E MAGISTRATURA)

Ecco alcuni brevi brani tratti da “Come un incubo e un sogno”:

La direttiva che regola la garanzia sui depositi e la risoluzione delle crisi bancarie fu approvata affrettatamente e disordinatamente dagli organi europei e dal Parlamento italiano, nonostante i miei avvertimenti fatti in occasione di una udienza parlamentare. All’aggravarsi della crisi, Draghi fu costretto a «inventarsi» altri strumenti per intervenire, la Commissione europea colse l’occasione per accrescere il suo potere e così fece, abbastanza disordinatamente, pure fece il governo Renzi e quello che seguì.

Per le altre mie richieste – chiarire il contenuto di deposito protetto, i rapporti tra noi e i commissari designati dal MEF, ma voluti dalla Banca d’Italia, le informazioni da dare al comitato del FITD per decidere la forma dell’intervento e i limiti statutari, i doveri di informazione dei depositanti sui rischi che corrono – il nervosismo al quale ho fatto cenno divenne reazione contraria aperta.

La Vigilanza mal sopportava in particolare la funzione di controllo che il FITD affidava a una società di auditing per verificare la fondatezza della richiesta di intervento che ci veniva richiesta, invece di ubbidire come avvenuto nel periodo di mia assenza.

Nella soluzione della crisi di una piccola banca milanese appurammo talune anomalie; tra queste che i dirigenti della banca in via di fallimento avevano chiuso i loro contenziosi accendendo depositi a saldo, che il FITD avrebbe dovuto rimborsare. La Banca d’Italia mi chiese di «passarci sopra» in attesa di un chiarimento che non venne, per evitare reazioni tra i depositanti (che avrebbe di seguito essa stessa determinato, permettendo l’applicazione anticipata del bail-in rispetto ai termini di entrata della sua validità, per le obbligazioni subordinate della Banca Etruria).

(TUTTE LE SOAVI BORDATE DI SAVONA A EDITORI, BANCHIERI, ISTITUZIONI, MANAGER E MAGISTRATURA)

La situazione di confusione e autodifesa degli errori di vigilanza della Banca d’Italia si sono ripetuti per altri casi e per altri aspetti dell’intervento, esplodendo in occasione della sistemazione della crisi della Tercas, la Cassa di Teramo, che si trascinava da anni ed era stata malamente condotta per coprire il conflitto di interessi in cui era incappata.

I commissari ci chiesero 300 mln di euro rifiutando di darci la documentazione adeguata, posizione che la Vigilanza ratificò sulla base di assurdi motivi, quale quello che il Fondo fosse parte terza che per legge non poteva accedere alle informazioni riservate.

La tesi era che chi pagava non aveva diritto a sapere perché dovesse farlo. Dopo aver chiesto un parere a un giurista altamente stimato dalla stessa BdI, il prof. Merusi, decisi qualcosa che, ben sapevo, avrebbe irritato i vertici della Banca, ormai non adusa a veder discutere le sue scelte: scrissi una lettera in cui affermavo che la richiesta era statutariamente «irricevibile». Apriti cielo!

Il presidente dell’ABI, Patuelli, fu invitato a non presentarsi più con me per difendere la posizione del Fondo, perché io ero titolare della difesa di interessi generali, mentre lui di interessi particolari; argomento valido, ma non ancora risolto, perché il presidente dell’ABI è membro di diritto del comitato esecutivo del Fondo e, quindi, amministratore responsabile, oltre che grande elettore del presidente.

L’ingiunzione era quindi contra legem, oltre che espressione dell’incapacità di governare un’importante istituzione rappresentativa di interessi legittimi. Il governatore Visco si fece dare il parere sul quale avevo basato la mia lettera e se ne fece preparare uno dal responsabile legale della Banca d’Italia, guarda caso moglie del responsabile della Vigilanza per le crisi bancarie, che venne silenziosamente rimosso secondo lo stile della casa.

Ovviamente il parere reso dagli uffici della Banca d’Italia era contrario al mio e, sulla sua base, ingiunse al Fondo di obbedire, negando il diritto all’indipendenza di giudizio del Fondo come organo legale Nel disperato tentativo di ottenere la collaborazione dell’ABI a tutela dei suoi associati preparai, con la preziosa e intelligente collaborazione dei funzionari del FITD diretti dal prof. Ricardo De Lisa – che avrei ben visto come nuovo direttore dopo il pensionamento di Roberto Moretti, che sarebbe dovuto restare presidente dell’EFDI –, un documento di confronto tra gli schemi di tutela depositi e di risoluzioni delle crisi dei principali Paesi sviluppati e una proposta per un monitoraggio delle crisi bancarie che consentisse una programmazione anticipata degli interventi.

(TUTTE LE SOAVI BORDATE DI SAVONA A EDITORI, BANCHIERI, ISTITUZIONI, MANAGER E MAGISTRATURA)

Il primo lavoro implicava la superiorità del metodo americano dell’assicurazione depositi con integrazione pubblica per le crisi che superavano le riserve matematiche; il secondo richiedeva una stretta collaborazione tra Vigilanza BdI e Fondo che, come ho ricordato, mancava.

Nella riunione del direttivo ABI che si tenne a Milano, i membri si rifiutarono di discutere il programma e il vice presidente dell’Associazione bancaria, Venesio, e membro del comitato esecutivo del FITD disse che non erano interessati a queste proposte, ma volevano solo sapere se l’intervento che era stato richiesto dal commissario della Tercas poteva godere degli esoneri fiscali. Quale lungimiranza!

Dietro di me il solito ragioniere di banca di vista corta, vice presidente del FITD, mi scavalcò e si mise a negoziare con la Vigilanza piccoli sconti sulla cifra richiesta, distogliendo l’attenzione dal più importante problema di fondo, che non era quello di avere una riduzione dell’onere, ma un chiarimento statutario sulla correttezza dell’intervento, che venne effettuato, ma è stato di seguito impugnato dalla Commissione europea.

Il presidente dell’ABI Patuelli non sostenne la mia azione e assecondò la decisione di sostituire me e il direttore generale, rispettivamente con un consulente e un funzionario della Banca d’Italia, ponendo fine alla vicenda. Di seguito, informai Visco per iscritto di una grave violazione compiuta dal consiglio della Banca Etruria ed egli neanche mi rispose. Non ricorsi alla magistratura, che comunque era informata dalla stampa, anche per la disistima verso questa importante istituzione di cui ho già parlato. Le vicende che sono seguite e sono tuttora aperte mi hanno dato in larga parte ragione.

Ho atteso inutilmente da Visco e da Patuelli un semplice gesto riparatorio dei loro comportamenti scorretti nei miei confronti, ma soprattutto verso il Paese, il primo, e verso gli associati, il secondo.

(TUTTE LE SOAVI BORDATE DI SAVONA A EDITORI, BANCHIERI, ISTITUZIONI, MANAGER E MAGISTRATURA)

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