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Carige

Tutte le tensioni in Banca Carige fra Fiorentino, Malacalza, Mincione e Bce

L’articolo di Luca Gualtieri, giornalista di Mf/Milano finanza, sulle ultime novità di Banca Carige con il punto sui rapporti fra Fiorentino, Malacalza e Mincione anche dopo il forcing della Bce La bufera al vertice di Banca Carige è iniziata con un tuono, scoppiato lunedì 25 giugno, in un periodo apparentemente calmo per la cassa genovese.…

La bufera al vertice di Banca Carige è iniziata con un tuono, scoppiato lunedì 25 giugno, in un periodo apparentemente calmo per la cassa genovese. Quel giorno, con una lettera dura e stringata rivolta al cda, il presidente Giuseppe Tesauro ha gettato la spugna dopo oltre due anni di mandato.

L’ATTACCO DI TESAURO A FIORENTINO IN CARIGE

Non si può dire che il passo indietro sia avvenuto in punta di piedi, visto che il documento esordisce con un attacco all’amministratore delegato Paolo Fiorentino, cui vengono rinfacciati i contatti per presunte «consulenze illecite» con il costruttore romano Luca Parnasi (scarcerato solo qualche giorno fa nell’ambito dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma).

I RAPPORTI TESI AL VERTICE

Nei giorni successivi il banchiere avrebbe smentito ogni coinvolgimento nella vicenda, ma già dal secondo paragrafo della lettera appare chiaro che l’obiettivo di Tesauro era contestare Fiorentino su tutta la linea: «L’a.d. sin dall’assunzione del ruolo ha reso sempre difficile l’esecuzione delle attività di mia competenza, ponendo tra l’altro a mia disposizione la documentazione necessaria affinché io potessi informare i consiglieri e i sindaci in modo adeguato con ritardi, omissioni, mancanze». E ancora: «Non riesco ormai più a comprendere neppure le modalità relazionali della Bce, la quale negli ultimi tempi scrive, incontra, colloquia direttamente con l’a.d. e solo marginalmente con il presidente». Insomma, la sostanza è che Tesauro si sentiva tagliato fuori da un amministratore delegato accentratore e con un rapporto esclusivo con la Bce. Una tesi che però Francoforte avrebbe smontato un mese dopo in una lettera rivolta al vice presidente dimissionario Vittorio Malacalza.

«Quando il signor Fiorentino è stato nominato ceo di Banca Carige il cda gli ha delegato diversi poteri che riguardano la gestione quotidiana della banca. (…) La Bce ha considerato il ceo come il rappresentante del cda della banca nell’interazione quotidiana». Nessun rapporto esclusivo quindi, secondo l’organo di vigilanza, ma solo la normale applicazione della legge italiana.

I RILIEVI DEI DIMISSIONARI

Ma torniamo a giugno. Pochi giorni dopo la lettera di Tesauro i consiglieri hanno ricevuto quella di Stefano Lunardi, altro amministratore eletto nella lista Malacalza. Il documento dimostra che Lunardi è stato più circostanziato, snocciolando una lista di obiezioni alla gestione Fiorentino: si va da un «cost-income cresciuto a livelli insostenibili» alla perdita 2017 «superiore di 50 milioni rispetto alle previsioni di piano», dalla «riduzione dei ricavi target di budget 2018» agli «effetti economici complessivi dell’operazione di cessione di sofferenze Sword del 2017». Nella successiva riunione del cda Fiorentino avrebbe ridimensionato questi addebiti, ricordando ad esempio la riduzione degli oneri di gestione e contestualizzando le spese per consulenze e operazioni straordinarie.

L’AFFONDO DI LUNARDI CONTRO FIORENTINO

La relazione di 11 pagine presentata dal banchiere in quella sede ripercorre insomma l’andamento economico di Carige e, in relazione al deficit patrimoniale e alla programmata emissione di bond subordinati, spiega che «ancorché la banca abbia messo in atto tutte le attività necessarie per portare sul mercato l’operazione, inclusi regolari incontri con investitori italiani ed esteri, il mercato primario rimane ancora estremamente rarefatto». Argomentazioni che, secondo quanto ricostruito, avrebbero convinto il board. Resta il fatto che per Lunardi l’affondo più deciso è stato quello sulla governance della banca: «Le modalità con le quali questo indirizzo gestionale viene condotto, con palpabile intolleranza e vistoso fastidio nei confronti delle eventuali voci di critica o di dissenso portano in definitiva a svuotare di significato e rendere sempre più inutile, oltre che estremamente difficile da esercitare, il ruolo di amministratore indipendente».

LE ACCUSE DELLA BALZANI

Accuse che venerdì 6 luglio sarebbero state riproposte da Francesca Balzani. L’ex vicesindaco di Milano è stato il terzo amministratore della lista Malacalza ad annunciare le dimissioni (valide però in questo caso dall’assemblea): «Non è accettabile il costante tentativo di fare del consiglio un organo deputato a ratificare decisioni già assunte, Quando ciò accade è evidente che il consiglio non può dare il giusto contributo ai processi decisionali e il suo ruolo rischia di uscirne svuotato e modificato», spiega un passaggio della lettera rivolta anche questa volta al consiglio di amministrazione.

L’AZIONE DI MINCIONE

È in questa situazione di incontrollato caos che si è consumata la rottura definitiva. Martedì 10 luglio Raffaele Mincione, entrato nella banca appena pochi mesi prima con una partecipazione dichiarata al 5,4%, ha chiesto la revoca e il rinnovo del consiglio di amministrazione. Immediata la reazione di Malacalza: l’imprenditore piacentino, che di Carige è ancora primo azionista con il 20% ed esprime la maggioranza del board (di cui è presidente ad interim), avrebbe preannunciato l’intenzione di dimettersi già nel corso del cda del 10 e si sarebbe poi preso una pausa di riflessione.

I PASSI SUCCESSIVI

La pausa però è durata solo 24 ore, fino alle 20 di mercoledì 11, quando gli amministratori hanno ricevuto per posta elettronica l’annuncio del passo indietro. Il passaggio però è stato tutt’altro che lineare; al contrario si è verificato un vero e proprio cortocircuito informativo che fonti vicine alla banca spiegano con la necessità di verificare l’autenticità della missiva. Nel corso della notte si sono ricorse conferme e smentite e il comunicato stampa ufficiale è arrivato solo il mattino successivo, circostanze che hanno spinto Malacalza a prendere nuovamente carta e penna per denunciare al cda «la versione falsata dell’accaduto».

IL LIVELLO DELLO SCONTRO

La sensazione è che da quel momento il livello dello scontro si sia alzato drasticamente e che il vice presidente sia diventato incontenibile. Lunedì 16 luglio si è dimesso ufficialmente e ha poi scritto alla Bce per spiegare la mossa e porre ancora una volta sotto accusa la governance e Fiorentino. Come detto, Francoforte avrebbe smontato queste rimostranze pochi giorni dopo (martedì 24) come «ungrounded», ribadendo la preoccupazione per la situazione economica della banca e per l’assetto di governo.

LA LETTERA DELLA BCE

In una precedente lettera peraltro l’organo guidato da Danièle Nouy aveva posto l’accento sui ritardi del piano industriale, chiedendo la presentazione di una nuova strategia entro novembre. Mercoledì 18 invece lo scontro si è spostato sul piano legale visto che Malacalza ha dato mandato all’avvocato Alessandro Vaccaro di esaminare «documenti, condotte e fatti posti in essere da soggetti apicali nel corso della travagliata gestione aziendale della Carige al fine valutare se siano ravvisabili profili di rilevanza penale». Senza contare che saranno proprio le dichiarazioni pubbliche rese nelle ultime settimane a innescare l’indagine della Procura di Genova per manipolazione del mercato.

LO SCENARIO TURBOLENTO

Se questa è stata la cronaca dell’ultimo mese, c’è da scommettere che agosto sarà altrettanto turbolento. La convocazione dell’assemblea straordinaria (prevista per la terza settimana di settembre) aprirà infatti la corsa per il rinnovo del board, una competizione senza esclusione di colpi alla quale potrebbero partecipare anche investitori esterni. Tra gli altri si fa il nome del fondo Apollo che già negli anni scorsi aveva studiato con attenzione il dossier e che potrebbe affiancare il fronte contrario a Malacalza.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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