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Di Maio

Acea, Iren, Hera, A2a e non solo. Ecco le aziende nel mirino a 5 stelle della maggioranza giallo-verde

L'approfondimento di Giusy Caretto

Si chiama Pdl Daga, dal nome della prima firmataria, la deputata M5s Federica Daga, ed è un provvedimento che punta a ribadire come l’acqua sia un bene “pubblico” e perciò “non è oggetto di mercificazione”. La proposta di legge si propone di togliere il bene a qualsiasi forma di mercificazione, sottraendo il controllo a privati o a società per azioni (anche se controllate dal pubblico).

Ma non è tutto: la proposta di legge, già ampiamente criticata dalle associazioni di settore, potrebbe far aumentare le tariffe del 15%. Andiamo per gradi.

UNA RIVISITAZIONE DELLA PDL DI INIZIATIVA POPOLARE

Per Federica Daga e i firmatari della proposta di legge “è necessario invertire la rotta” e per questo hanno deciso “di ripresentare, opportunamente modificata e aggiornata anche grazie all’esperienza maturata in questi anni, la proposta di legge d’iniziativa popolare depositata dai movimenti per l’acqua nel 2007, che nella scorsa legislatura abbiamo presentato d’intesa con l’intergruppo «Acqua Bene Comune» e di cui, durante la discussione alla Camera, furono completamente stravolti il senso e l’obiettivo principale: una gestione pubblica partecipativa e trasparente del bene comune costituito dall’acqua”.

TUTTO PREVISTO NEL CONTRATTO DI GOVERNO

La proposta di Legge di Federica Daga e degli altri firmatari (tutti a 5Stelle) non è certo una novità e sembra trovare l’appoggio anche della Lega. Un paragrafo sull’acqua come bene pubblico, infatti, è  stato inserito anche nel Contratto di Governo, in cui si legge: “E’  necessario investire sul servizio idrico integrato di natura pubblica applicando la volontà popolare espressa nel referendum del 2011, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica, garantendo la qualità dell’acqua, le esigenze e la salute di ogni cittadino, anche attraverso la costituzione di società di servizi a livello locale per la gestione pubblica dell’acqua”.

“La più grande opera utile è restituire ai cittadini una rete di infrastrutture idriche degne di questo nome. È necessario dunque rinnovare la rete idrica dove serve, bonificare le tubazioni dalla presenza di amianto e piombo, portare le perdite al minimo in modo da garantire acqua pulita e di qualità in tutti i comuni italiani”, aggiungono M5S e Lega nel Contratto di Governo.

ACQUA UN BENE PUBBLICO

La proposta di legge, ancora in discussione riconosce l’acqua come “bene naturale e un diritto umano universale e fondamentale. Il diritto all’acqua potabile di qualità nonché ai servizi igienico-sanitari è un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.

L’acqua, si legge nell’articolo 2, “è un bene comune, una risorsa rinnovabile, indispensabile per la vita dell’ecosistema e di tutti gli esseri viventi”.

GESTIONE PUBBLICA

Con queste premesse, le nuove norme propongono, come si legge nell’articolo 9, una gestione del servizio idrico integrato “realizzata senza finalità lucrative, mediante modelli di gestione pubblica, e persegue finalità istituzionali e di carattere sociale e ambientale, garantendo un elevato livello di qualità, efficienza ed economicità del servizio, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale degli utenti”.

“La gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possono essere separate e possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico”, si precisa poi nell’articolo 10. Pertanto “Tutte le forme di gestione del servizio idrico integrato affidate in concessione a terzi alla data di entrata in vigore della presente legge, per le quali sia stabilito un termine di scadenza posteriore al 31 dicembre 2020, se non decadute per contratto, decadono alla medesima data”.

“Tutte le forme di gestione del servizio idrico integrato affidate a società a capitale misto pubblico e privato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, se non decadute per contratto”, si legge ancora all’articolo 10 “sono trasformate, previo recesso del settore dell’acqua e scorporo del ramo d’azienda relativo in caso di gestione di una pluralità di servizi, in aziende speciali o in società a capitale interamente pubblico partecipate dagli enti locali il cui territorio rientri nel bacino idrografico di riferimento. Il processo deve essere completato entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

UN RITORNO AL PASSATO

Un sistema come quello appena descritto significa un deciso ritorno al passato e la cancellazione immediata di quanto fatto finora per lo sviluppo del settore: le società per azioni (anche miste, pubblico-private) gestiscono ad oggi il 97% del servizio in Italia, come ha sottolineato Repubblica. La decadenza dei permessi di gestione sarebbe un ritorno a più di 30 anni fa.

LE AZIENDE COLPITE DALLE NUOVE NORME

In Italia le società che gestiscono i servizi idrici sono, secondo i dati Arera, 2.033 (sono compresi anche i comuni). Tra le aziende che dovranno rinunciare a gestire i servizi idrici ci sono Acea, Hera, Iren Acqua, A2A ciclo idrico, 2i Rete Gas, Acsm-Agam, Ecotec, Gestione Acqua, Girgenti acque, Hidrogest, Ireti, Italgas acqua, Nuove acque, Publiacqua.

NO CONTROLLO AD ARERA

E ancora: la proposta di legge intende anche revocare ad Arera le competenze di controllo e di verifica degli investimenti. Tutto questo, però, avrebbe un costo che potrebbe aggirarsi, come si legge su Repubblica, sui 15 miliardi di euro.

L’ALLARME COSTI

Il servizio idrico integrato è “finanziato attraverso la fiscalità generale e specifica e attraverso tariffa”, il cui metodo di determinazione verrà elaborato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge Daga. Nonostante, però, poco ancora si sappia sul fronte delle tariffe, le utility di settore hanno già lanciato l’allarme: ci sarebbe, infatti, una concreta possibilità che le tariffe aumentino di almeno il 15% per coprire i costi delle nuove misure.

“Alcune soluzioni si rifletterebbero in un aumento dei costi per i cittadini e per il servizio”, ha affermato l’amministratore delegato di Hera, Stefano Venier, in occasione di una audizione tenuta nel mese di novembre. Gli aumenti sarebbero di “almeno il 15%”.

Anche Iren ha lanciato l’allarme: “L’abbandono dell’attuale modello industriale comporterebbe la perdita di economie di scala e scopo per 40 milioni di euro e un maggior costo del reperimento delle risorse finanziarie per 10 milioni, con un incremento tariffario del 10-15%”.

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