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Start up innovative per sostenere la crescita economica

Poter contare su start-up innovative di successo garantisce ai diversi sistemi economici ricchezza e occupazione. Le idee di pochi possono generare benefici per molti, anche e per certi versi soprattutto a distanza di tempo.

 

Lo dimostra uno studio I-Com, realizzato per la Fondazione Lilly, che ha rilevato come nel 2013 quelle che, dal 1970 in poi, erano nate come start-up innovative pesassero sulla capitalizzazione delle prime 150 imprese quotate negli USA per il 17% (per una somma complessiva equivalente a 1.438 miliardi di €, più o meno il PIL italiano di un anno). Ma anche nel Vecchio Continente, le cifre sono significative. Nella borsa tedesca, sempre nello stesso anno costituivano il 7,3% della capitalizzazione totale. Purtroppo non si può dire lo stesso per l’Italia, dove, nonostante la scarsa capitalizzazione complessiva delle prime 150 società quotate, solo lo 0.17% era costituito da start‐up innovative di successo.

Tra le prime 150 società quotate, in Israele ben 23, poco meno di una su sei, sono aziende nate negli scorsi decenni come start-up innovative, 17 sui due principali mercati americani (NYSE e NASDAQ) e 16 in Germania. In questa classifica, l’Italia conta solo 4 presenze, segnale di un potenziale che non si riesce a sfruttare con grave danno in termini di mancata crescita.

Basti pensare che, se l’Italia riuscisse ad allinearsi al best performer del Vecchio Continente analizzato nello studio I-Com (la Germania), si creerebbe un fatturato aggiuntivo di 46 miliardi di €, un utile aggiuntivo di 2 miliardi di € e una maggiore occupazione di 155.000 unità (in gran parte altamente qualificata).

Non c’è dunque dubbio che la legge 221/2012, che ha introdotto nel nostro Paese un set organico di misure a favore delle start-up, fosse lungamente attesa e abbia rappresentato un primo importante passo per allineare l’Italia alle migliori pratiche internazionali.

A distanza di un anno e mezzo circa dall’approvazione dalla legge, i risultati sono molto interessanti. Oltre 1800 imprese (per la precisione 1829, secondo l’ultima rilevazione) si sono iscritte nell’apposita sezione del registro delle imprese, gran parte delle quali (il 77%) hanno iniziato ad operare dal 2012 ad oggi.

Per il 78% si tratta di aziende che operano nei servizi (per il 30% nella produzione di software e per il 17% nella ricerca scientifica e sviluppo). Sono molte le imprese che sviluppano tecnologie di alto valore in ambito energetico (più di 340), segnale che innovazione e sostenibilità sono un binomio sempre più importante.

Tra le Regioni spiccano Lombardia (363), Emilia Romagna (209) e Lazio (192) mentre per arrivare alla prima Regione meridionale occorre scorrere la classifica fino al settimo posto, dove troviamo la Campania, a pari merito con il Trentino Alto Adige, con 84 imprese innovative. Ma, in rapporto alla popolazione, fa meglio la Puglia che colleziona ben 78 start-up innovative e vede addirittura due province (Bari e Lecce) tra le prime venti d’Italia (solo Veneto ed Emilia Romagna fanno meglio, rispettivamente con 4 e 3 province tra le prime 20). Stupiscono anche i risultati di Trento (che fa meglio di Bologna) e Cagliari (che fa meglio di Genova).

In un quadro che rileva un dinamismo per certi versi inaspettato, specie in alcune parti del Paese, destano qualche preoccupazione i dati dimensionali.

Solo 6 società hanno dichiarato un valore della produzione superiore a 2 milioni di euro e soltanto 34 in tutto si collocano al di sopra dell’asticella di mezzo milione di euro (secondo gli ultimi dati di bilancio). Se poi guardiamo alla dimensione occupazionale, risulta che nessuna start-up ha più di 50 addetti e solo 20 hanno più di 10 addetti.

Naturalmente, si sta parlando di aziende all’inizio del proprio ciclo di vita (per iscriversi al registro, devono essere in attività da non più di 48 mesi) ma è anche vero che Facebook a tre anni dalla fondazione fatturava già $150 milioni e valeva circa $15 miliardi (secondo la valutazione che ne diede Microsoft, acquistandone nel 2007 una piccola quota). E’ chiaro che anche per gli standard statunitensi exploit come Facebook siano rari. Tuttavia, occorre fare ogni sforzo possibile per favorire la crescita dimensionale delle start-up made in Italy, oltre a quella del loro numero. Altrimenti, vorrà dire che avremo moltiplicato soprattutto sogni spezzati sul nascere più che opportunità solide di crescita.

(Stefano da Empoli – Presidente di I-com)

 

 

 

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