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Beni culturali, petrolio d’Italia. Seminario di Startmag.it

Beni culturali, petrolio d’Italia. E’ il titolo del seminario a porte chiuse che si svolge questa mattina a Roma, organizzato da StartMag.it in collaborazione con Telecom Italia. I Beni culturali come perno per una nuova crescita economica Premessa. Beni culturali, volano per la crescita economica   L’Italia ha un patrimonio artistico, architettonico e culturale che…

Premessa. Beni culturali, volano per la crescita economica

 

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L’Italia ha un patrimonio artistico, architettonico e culturale che da solo sarebbe in grado di dare impulso e linfa alla crescita economica, all’educazione, ad un ulteriore sviluppo culturale. Eppure questo immenso patrimonio non è valorizzato come meriterebbe. Spesso non è fruibile in maniera efficiente, diffusa e sicura. Con alcuni effetti di non poco conto.

Riportiamo un dato ed una considerazione:

– Nel 2011 il Museo del Louvre a Parigi, da solo, ha incassato quanto tutti i musei italiani;
– Molti italiani conoscono a malapena l’immenso patrimonio artistico che li circonda.

Di valorizzazione dei beni artistici, architettonici e culturali in Italia si è dibattuto largamente (sebbene, spesso, la qualità del dibattito abbia lasciato a desiderare) e spesso si è utilizzata un’immagine efficace, quanto controversa: i beni culturali sono il petrolio d’Italia.

Al di là della metafora non ritenuta sempre calzante da molti osservatori, i nostri beni culturali e artistici si prestano a diverse considerazioni in quanto non solo patrimonio storico di tutta la nazione, ma anche perno e volano per la nostra economia. Da più parti sentiamo dire, spesso a sproposito, che il nostro Paese potrebbe vivere di solo turismo, ma al di là delle esagerazioni – spesso ideologiche che contiene questa affermazione – possiamo affermare che il turismo del nostro paese trae linfa dalle bellezze naturalistiche e da quelle artistiche, e il patrimonio dello Stato in questo ha un ruolo preponderante.

Turismo, beni culturali e big data. Nuove frontiere

Attualmente anche il turismo, e di conseguenza i beni culturali, deve fare i conti con i flussi e le tracce digitali. Internet ha cambiato molto il modo di scegliere una destinazione, un hotel, e anche un museo o una singola opera d’arte. Molte azioni (e le conseguenze) che un turista o un visitatore compie nell’atto di accostarsi ad un museo o ad una galleria, solo qualche anno fa, erano del tutto impensabili.

Euro Beinat, docente di Geoinformatica all’Università di Salisburgo, ed esperto della materia ha dichiarato: “Costantemente, ogni volta che usiamo un telefono o strisciamo una carta di credito, lasciamo tracce del nostro passaggio e del nostro uso della città. Se da un lato su Facebook, Twitter o Yelp scegliamo deliberatamente di divulgare dati e opinioni, molti altri servizi hanno bisogno di catturare informazioni su di noi per poterci fornire comunicazione, trasporto, sicurezza e tutti gli altri servizi essenziali che fanno parte del nostro vivere contemporaneo”.images_Colosseo

I big data possono essere una vera e propria ricchezza, anche al fine di farsi un’idea sul nostro sistema artistico, mappando la presenza dei turisti sul nostro territorio nazionale, oppure misurando i flussi turistici in base alla nazionalità di provenienza. Proprio allo stesso modo di una grande azienda che misura il sentiment di un marchio o di un prodotto specifico.

StartMag.it – magazine on line dedicato alla crescita economica a partire da settori come innovazione e tecnologia, ambiente ed energia, lifestyle e nuove tendenze – vuole proporre tre aree di confronto per riportare il dibattito relativo al patrimonio dei beni culturali su un piano operativo, economico, pratico. L’obiettivo di questo seminario è quello di stilare un documento finale di indirizzo, da inviare al Ministero dei Beni e delle attività culturali, che possa fornire spunti e idee per la migliore valorizzazione del nostro patrimonio culturale, per la collaborazione tra pubblico e privato, per il nuovo mecenatismo, perché i beni culturali possano diventare finalmente un bene economicamente produttivo.

Proteggere il patrimonio. L’efficienza energetica, prima di tutto. Ma non solo

Il tema della conservazione dei beni culturali è un tema strategico ed urgente. Non parliamo solo di casi limite come Pompei, ci sono forme di “protezione” del patrimonio artistico e culturale molto più vicine alla nostra esperienza di tutti i giorni. Le ondate di caldo di questa estate 2015, per esempio, hanno tenuto chiusi importanti siti museali come il Museo di Capodimonte a Napoli per la mancanza di un adeguato sistema di condizionamento e climatizzazione.

D’altra parte, interventi di restauro straordinario resi possibile dal ruolo dei privati, come quello della Fontana di Trevi, dimostrano come partnership virtuose siano possibili. Proteggere il patrimonio dei beni culturali in Italia significa realizzare interventi che vanno dalla climatizzazione all’efficienza energetica, dalla videosorveglianza alla corretta illuminazione.

A questo proposito è da segnale il lavoro del Ministero dei Beni Culturali, che con il supporto di una commissione di esperti (e grazie al lavoro di Aicarr, Associazione italiana condizionamento dell’aria riscaldamento e refrigerazione) ha varato le linee guida per l’efficienza energetica degli edifici vincolati. Se l’efficienza energetica è uno dei capisaldi di cui il nostro paese può disporre per regolare ed armonizzare il futuro dei consumi di energia, l’efficienza energetica relativi agli edifici storici rappresenta una “sotto-categoria” (in senso tecnico) rilevante per il nostro sistema paese, per contribuire a rimettere in moto il settore dell’edilizia e per ridare, per esempio, al settore museale una linea comune in fatto di manutenzione energetica o, in altri casi, di progettazione, a partire da zero, di nuovi impianti di calore o di energia elettrica.

Le linee guida sull’efficienza energetica sono anche finalizzate alla corretta conservazione dei beni culturali. Molto banalmente: sbagliare il posizionamento di un impianto di condizionamento, per esempio, vicino ad un’opera d’arte non fa che produrre un danno per quest’ultima. Oppure usare un’illuminazione troppo forte all’interno di spazi chiusi che conservano beni artistici, alla lunga causa danni.images_Pompei

Su questo per esempio, si può citare, tra i casi virtuosi quello della Cappella Sistina, in cui l’illuminazione, dal Novembre 2014, è costituita da un sistema di luci a LED che aiuta i circa 4,5 milioni di visitatori annuali ad ammirare meglio gli affreschi. Si tratta di un esempio sofisticato, frutto del lavoro e della ricerca dei tecnici, che dopo una lunga analisi hanno potuto stabilire una temperatura di colore di 3.300 kelvin, possibile solo con la tecnologia LED (fonte: www.osram.it).

Ugo Ojetti nel 1917, in un accorato appello per la protezione del patrimonio artistico italiano durante la Grande Guerra, metteva in guardia dal considerare l’arte qualcosa di estraneo e separato dalla vita. E’ un errore che non possiamo e non dobbiamo commettere neppure oggi.

Accedere al patrimonio. Digital is beautiful!

Smaltire l’affollamento alle biglietterie nei periodi di picco delle visite, organizzare al meglio l’informazione rivolta al pubblico, regolare i flussi evitando orari di punta, velocizzare l’acquisto di biglietti: sono tutte attività tecnicamente realizzabili, che potrebbero aumentare il numero di persone che possono fruire alcuni dei beni culturali più famosi (Il Colosseo o il grande sito archeologico di Pompei, ad esempio).

Mettere la tecnologia al servizio dei beni culturali permetterebbe ai beni culturali di mettersi al servizio delle persone e dell’economia. Non è un mistero che le risorse destinate ai luoghi deputati alla fruizione dei beni culturali (Biblioteche, pinacoteche, musei) continuano a diminuire, e con esse alcune piante organiche. Il circuito delle biblioteche nazionali ha conosciuto una costante diminuzione delle sale lettura e disposizione del pubblico a causa di questa contrazione.

Anche in questo la tecnologia può venire incontro all’arte, e anche in questo caso l’arte e la cultura possono diventare un volano per lo sviluppo sociale ed economico. Nel 2011, l’allora Commissaria europea per l’Agenda digitale e vicepresidente della Commissione, Neelie Kroes, dichiarava: “L’Europa possiede probabilmente il più vasto patrimonio culturale del mondo. Non può permettersi di perdere l’opportunità offerta dalla digitalizzazione e rimanere inerte di fronte al declino culturale. La digitalizzazione porta la cultura nelle case della gente e costituisce una risorsa preziosa per l’istruzione e per il settore del turismo, dei giochi, dell’animazione e dell’industria culturale in genere. Investire nella digitalizzazione stimolerà la nascita di nuove imprese e creerà nuovi posti di lavoro”.

Sul fronte della digitalizzazione di vere e proprie istituzioni culturali, un esempio recente è venuto dalla collaborazione dei privati con il pubblico. E’ il caso della Biennale di Venezia, che grazie al lavoro svolto dall’Istituto di cultura di Google, ha potuto mettere on line una vasta selezione di opere ospitate dalla Mostra internazionale. Il visitatore che fosse impossibilitato ad andare a Venezia può comodamente da casa propria visitare virtualmente la Biennale di Venezia. In questo caso la digitalizzazione non sostituisce la visita fisica dell’utente ma ne può preparare lo spirito e il desiderio.

La tecnologia viene in soccorso dell’arte e dei beni artistici. In questo le major di internet e del tech si stanno mobilitando. E’ il caso dei Google Glass o di Oculus (recentemente acquisito da Facebook), prodotti avanzatissimi a livello tecnologico, in alcuni casi, ancora in sperimentazione, ma che possono accrescere le potenzialità della fruizione dei beni culturali.

In Italia solo un anno fa nel Polo museale di San Gimignano (Siena) si sono sperimentati gli ArtGlass, un modo innovativo di fruire un’opera d’arte. Indossando questi speciali occhiali si può vedere l’opera d’arte in formato tridimensionale e, allo stesso tempo, fruirne il racconto di due guide esperte. La tecnologia aiuta l’arte e così possiamo immaginare come sarà il museo del futuro.

Finanziare il patrimonio. Chi, come, dove e perché?

Dalla Reggia di Caserta al sito archeologico di Pompei sono molte le opere d’arte in Italia che avrebbero necessità di un intervento immediato di restauro, recupero, manutenzione straordinaria. Dove trovare i fondi? Perché non pensare a nuove formule di valorizzazione dei beni culturali, come il product placement, che in questi anni sono state introdotte nel mondo del cinema e della televisione? Ci sono limiti legislativi che ostacolano questo nuovo modo di finanziare i beni culturali e le opere d’arte in generale?

Si è lungamente dibattuto su come finanziare la cultura. Da una parte chi ritiene che certi interventi siano possibili solo con soldi pubblici, dall’altra chi, in tempi di crisi, dichiara che “con la cultura non si mangia”. In ambo i casi è vero l’esatto contrario: la cultura può e deve essere finanziata dai privati, può e deve diventare una leva economica, anche “profit”. Ed è assolutamente vero che, alle giuste condizioni, con la cultura si mangia.

Infatti, negli ultimi anni qualcosa si è mosso. Nell’ultimo Decreto Cultura vi è la possibilità per le persone fisiche e le persone giuridiche di finanziare lavori di ristrutturazione e manutenzione di opere d’arte in cambio di sconti fiscali, sotto forma di detrazione fiscale sino al 65% (per il 2016 il limite arriva al 50%) per i mecenati dei nostri giorni.

Un mese fa il Ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha annunciato la possibilità per i privati di gestire monumenti di proprietà statale, secondo un meccanismo di concessione d’uso che vada da 6 sino a 19 anni, in alcuni casi. Si tratterebbe di monumenti che sono abbandonati o chiusi. Il privato fisserà il costo dei biglietti, entro alcuni limiti regolati dalla legge, e potrà prevedere anche servizi aggiuntivi, collaterali con l’opera d’arte interessata. Un esperimento del tutto nuovo, che vede l’entrata dei privati anche gestione di alcuni siti statali.

Alla fine del 2014 è iniziata l’era dell’autonomia dei Musei, anche in questo caso si tratta di una novità per cosi dire, copernicana. Si legge sul sito internet del Mibact: “Con il decreto musei si avvia una riforma che punta a rafforzare le politiche di tutela e di valorizzazione del nostro patrimonio dando maggiore autonomia ai musei, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità. Viene finalmente riconosciuto il museo, fino ad oggi semplice ufficio della Soprintendenza, come istituto dotato di autonomia tecnico scientifica che svolge funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte assicurandone e promuovendone la pubblica fruizione. Vengono inoltre definiti i musei e i luoghi della cultura che, in sede di prima applicazione, consentiranno ai poli museali regionali di diventare subito operativi. I nuovi direttori dei musei elaboreranno inoltre i progetti di valorizzazione per consentire un’ immediata messa a gara dei servizi aggiuntivi in tutti i musei statali”.

Il provvedimento riguarda i 20 Musei italiani statali, di cui sono stati nominati i nuovi direttori nello scorso Agosto.

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