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La Burocrazia che blocca anche i pollai in nome della competitività. Una storia italiana

Quando la burocrazia si trasforma in un mostro. Nel decreto Competitività una norma che di fatto ammette alla pre procedura di impatto ambientale anche gli impianti rinnovabili di piccolissima taglia. Ma anche un pollaio, tecnicamente parlando. E non stiamo scherzando.

Nel tentativo di risolvere una vecchia procedura di infrazione del 2003 il Governo ha rimosso con la L. 116/2014 (conosciuto come Decreto Competitività, approvato dal Parlamento nell’Agosto del 2014, dopo essere stato emanato dal Governo in carica a Giugno 2014) tutte le soglie che limitavano ai soli impianti e progetti significativi l’obbligo di sottoporsi ad una complessa procedura di valutazione peraltro assurdamente propedeutica ad un’altra identica. Cose italiane. Denunciate dal Coordinamento Free, Fonti rinnovabili ed efficienza energetica, che raggruppa oltre 30 associazioni del settore.

 

Una pre procedura di valutazione di impatto ambientale

Parliamo delle procedure di ammissione alla Valutazione di Impatto Ambientale. Fino a giugno erano tenuti ad accedervi solo gli impianti di generazione elettrica sopra 1 MW, o quelli termici sopra 50 MW. Veri impianti industriali. Oppure gli allevamenti intensivi con migliaia di capi, i nuovi sistemi di irrigazione sopra i 300 ettari, le condotte gas o acquedotti sopra i 20 km, le industrie di trasformazione dei prodotti alimentari tutte, e via dicendo…

 

La fretta consiglia male. Anche un pollaio sottoponibile a Via

Ora, invece, anche una fossa settica o un pollaio dovrà avviare una procedura che prevede l’ascolto di tutti, la pubblicazione sui bollettini ufficiali, la presentazione di complesse e costose documentazioni multidisciplinari, l’interessamento di funzionari istruttori e di commissioni di esperti, la decretazione regionale. Dovrà anche aspettare un tempo che usualmente è superiore a quello necessario per avere un figlio. In pieno contrasto con le sbandierate espressioni di semplificazione e sburocratizzazione, la stessa procedura si farà per un inceneritore di rifiuti e per un termocamino a pellet, se riscalda acqua. Si arriva all’assurdo che progetti la cui autorizzazione a costruire è stata demandata dalla mano destra a procedure praticamente istantanee, la mano sinistra ritarda di un anno o più.

E che progetti il cui costo è di poche migliaia di euro saranno gravati da procedure amministrative che costano tre-quattro volte più dell’impianto. Che piccoli investimenti realizzabili nell’ordine di giorni dovranno aspettare mesi per superare i nuovi vincoli burocratici.

Chiaramente migliaia di progetti saranno abbandonati ancora prima di essere concepiti e centinaia di milioni di euro di investimenti (nel solo fotovoltaico senza incentivi sono stati promossi nel 2014 progetti per circa un miliardo di nuovi investimenti e 800 MW di nuova potenza istallata, non vogliamo pensare a quanti progetti industriali e posti di lavoro potrebbero essere colpiti negli altri settori) saranno persi per il paese. 

 

Il caso in Sardegna dell’impianto mini eolico

La settimana scorsa a Villanovaforru, nel Medio Campidano, in Sardegna è stato sequestrato dal nucleo di polizia investigativa regionale un impianto mini eolico di 60 Kw, perché in base alla legge non era stato sottoposto a questa lunga procedura di valutazione di impatto ambientale. Per l’impianto, che a giorni sarebbe andato a regime, sono scattati i sigilli. Ma sono in tanti a giurare che questo caso non resterà isolato se non si pone rimedio subito con una nuova norma ad un errore, ne siamo certo, di distrazione. 

Distrazione che cozza con la competitività che questo Governo vorrebbe introdurre con una serie di Decreti dai nomi altisonanti, ma che rimangono sempre succubi, in balia della burocrazia, dei disciplinari, dei regolamenti. Non sarebbe la prima volta. Passare dalle slide che si presentano a Palazzo Chigi ad un risultato che impatti sui termini e i volumi di produzione del nostro Pil nazionale non è facile. 

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