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Il vero punto debole dell’economia turca è l’energia

L'economia turca, negli anni 2010 e 2011, ha fatto registrare tassi di crescita secondi solo alla Cina. Per questo, il sistema produttivo del Paese ha bisogno di molta energia. La Turchia è un grande importatore di gas e petrolio, e non si distingue per produzione nel settore oil&gas. Almeno per ora.

Negli anni, Ankara è stata crocevia di oleodotti e di gasdotti per la sua posizione geografica, ma oggi l’ambizione del Paese è quella di diventare un vero e proprio hub energetico, in grado di condizionare le esigenze dell’Europa e le ambizioni di una regione come quella caspica.

E’ il caso del corridoio Sud europeo (Tanap-Tap), oppure del progetto South Stream che dalla Russia raggiungerà l’Italia. La Turchia su quest’ultimo mega-gasdotto, si è offerta più volte come raccordo tra Russia ed Europa, ma per ora Mosca ha risposto con un rafforzamento del gasdotto Blue Stream che collega la città russa di Djubga e quella turca di Samsun (per poi proseguire ad Ankara).

 

Il rapporto Ankara-Mosca: non sempre lineare

Il rapporto tra Turchia e Russia non è sempre stato lineare. Mosca ed Ankara si contendono il controllo degli stretti marittimi sul Mar Nero e un ruolo di leadership nel Caucaso e in Asia Centrale, come testimonia il dialogo costante, ad esempio, tra Turchia e Azerbaijan, sul progetto del gasdotto Tanap (Trans anatolian natural gas pipeline), i cui lavori inizieranno nel 2015. La Turchia, nel 2012, ha importato quasi tutto il gas consumato, mentre solo l’1% è stato prodotto sul territorio nazionale.

Il gas è affluito essenzialmente da Russia (56%) e Iran (18%); a seguire una cospicua quantità di Gnl (16%), è arrivato da Algeria, Nigeria, Qatar, Egitto e Norvegia; infine, dall’Azerbaijan è giunto circa l’8% del gas importato dall’estero. La Turchia è al centro di diversi progetti di costruzione di gasdotti, non solo il Tanap, ma anche il South East European Pipeline (Seep), l’Interconnector Turkey Greece Italy Pipeline (Itgi), il Turkey-Iraq Pipeline. Destinata a non vedere la luce, a causa di instabilità politiche del passato, è invece l’estensione dell’Arab gas pipeline che dall’Egitto avrebbe dovuto trasportare gas nel Paese della mezzaluna.

 

Al via nuove esplorazioni di oil&gas

 

Nonostante la crescita turca, nel 2012, abbia rallentata rispetto ai due anni precedenti, secondo l’Eia, Energy information administration, il consumo totale di combustibili liquidi è aumentato significativamente. La Turchia importa quasi tutto il petrolio di cui necessita; nel 2012, stando ai dati dell’Eia, è stato l’Iran ad importare il maggior quantitativo di greggio verso Ankara (il 35% del fabbisogno totale).

Proprio per questo, da poco, il governo di Ankara ha annunciato un investimento di ben 1,5 miliardi di dollari per intensificare le ricerche di gas e petrolio sul territorio nazionale, per i prossimi due anni. Si parla di ben 116 richieste per la ricerca di petrolio e gas finalizzate ad arricchire l’esigua produzione domestica, che oggi, per ciò che riguarda il petrolio, è di circa 44 mila barili al giorno. Secondo le stime, le principali riserve di greggio si trovano nella regione del sud-est, mentre le riserve offshore si troverebbero soprattutto nel Mar Egeo e nel Mar Nero. Nel caso dell’Egeo sussistono ancora alcune dispute territoriali con la Grecia.

La forza della Turchia è nel suo essere affacciata su quattro mari. A Ceyhan, sulla costa mediterranea del Paese, arriva un oleodotto che parte da Kirkuk, in Iraq, e nella stessa località finisce l’oleodotto BTC, Baku-Tbilisi-Ceyhan, che oltre al greggio azero porta petrolio dal Kazakistan.

L’intenzione del governo turco è quella di fare di Ceyhan una città-hub per l’energia dove non solo converga il greggio azero e iracheno, ma dove possano sorgere raffinerie, con un porto ancora più attrezzato per presentarsi come luogo di passaggio del petrolio verso l’Europa e gli Stati Uniti.

 

Articolo pubblicato nella sezione OIL BOOK di www.abo.net

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