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Sanzioni

Tutte le prime fibrillazioni nel governo Conte

I Graffi di Damato sui primi passi (anche falsi) del governo Conte D’accordo, per un governo nominato da pochi giorni, peraltro in un sistema che è ancora parlamentare, l’esordio che vale dovrebbe essere quello della presentazione alle Camere per chiedere la fiducia, con tanto di discorso del presidente del Consiglio. E anche di cronache di…

D’accordo, per un governo nominato da pochi giorni, peraltro in un sistema che è ancora parlamentare, l’esordio che vale dovrebbe essere quello della presentazione alle Camere per chiedere la fiducia, con tanto di discorso del presidente del Consiglio. E anche di cronache di cosiddetto colore sui ministri nuovi di zecca, o quasi, che siedono ai loro banchi, felici come una Pasqua, dopo avere già scatenato la curiosità e la fantasia di giornalisti e fotografi nella cerimonia del giuramento al Quirinale.

Eppure la presentazione di Giuseppe Conte, e della sua “squadra” gialloverde, o pentaleghista, al Senato è stata preceduta da scelte, annunci e quant’altro alquanto infelici. Che si spera siano rapidamente corretti da istruzioni e richiami quanto meno all’opportunità, che deve pur essere compatibile con il “cambiamento” propostosi dai promotori del “contratto” che ha portato alla pur accidentata soluzione della lunga crisi di governo.

Un governo, e più in particolare un presidente del Consiglio, tanto per dirne una, che non ritiene di mandare uno straccio di ministro in Calabria nel giorno in cui esplode giustamente la rabbia degli immigrati per lo sfruttamento al quale sono sottoposti, a tre l’euro l’ora, e per la fucilazione -ripeto, la fucilazione- di un poveraccio sorpreso fra le lamiere arrugginite di un deposito più abbandonato che sequestrato, un governo, dicevo, e un presidente del Consiglio, che ritiene di disinteressarsene non offre uno spettacolo civile.

E non è da meno una stampa, aggiungo, che fa lo stesso, espellendo generalmente un fatto del genere dalle prime pagine, a cominciare dal principale giornale del Mezzogiorno, Il Mattino. Il cui direttore Alessandro Barbano, distintosi per la sua linea garantista ma ultimamente anche per la diffidenza verso il governo che stava nascendo, è stato appena rimosso dall’editore. Che stampa giornali nello spazio libero lasciatogli dalle attività di costruttore, finanziere e non so cos’altro.

Non è uno spettacolo incoraggiante, per quanto il quotidiano Libero abbia smesso per questo di rimproverargli l’intesa di governo con i grillini e lo abbia applaudito con un titolone su tutta la prima pagina, un ministro dell’Interno che comincia creando un incidente diplomatico con la Tunisia. E si fa giustificare dall’ambasciatore italiano con la solita scusa di essere stato frainteso a causa degli altrettanto soliti giornalisti. Che avrebbero riferito “fuori dal contesto” in cui sarebbero state pronunciate le sue parole contro “l’esportazione di galeotti” tunisini in Italia come migranti.

Nossignore, ministro Salvini, e vice presidente del Consiglio. Continui pure ad andare in giro per uffici, piazze e salotti più o meno televisivi in maniche di camicia per difendersi dal caldo, e dal sudore non contenibile di un fisico che risente, secondo le sue stesse spiegazioni, dei menù elettorali non proprio dietetici, ma cerchi di riflettere di più prima di continuare a comiziare. E, visto che c’è, cerchi anche di coordinare meglio quanti parlano di fisco a nome del partito che guida, visto che nelle ultime ore hanno fatto un po’ troppa confusione tra la famosa flat tax sulle imprese o sulle famiglie.

Tra i leghisti, a dire il vero, sembra essersi un po’ scatenata una gara con i grillini a chi la spara più grossa contro gli avversari di turno. Roberto Calderoli, per esempio, se l’è presa con le conferenze all’estero che ha fatto o prenotato Matteo Renzi, tra Cina, Stati Uniti e chissà dov’altro, e ne ha chiesto le dimissioni da senatore per il troppo tempo che sottrarrebbe all’attività parlamentare, ben remunerata, per la quale si è fatto eleggere nella sua Firenze. Ora che l’ex segretario del Pd, ed ex presidente del Consiglio, gli ha rinfacciato la circostanza di non essere mancato a una sola delle sedici votazioni svoltesi nell’aula di Palazzo Madama dall’inizio della diciottesima legislatura, e ha voluto partecipare alla discussione sulla fiducia al nuovo governo, Calderoli dovrebbe quanto meno chiedergli scusa. O dimettersi lui.

In questa panoramica poco consolante sull’esordio del nuovo governo, e della maggioranza che lo sostiene, ha sorpreso piacevolmente il nuovo guardasigilli Alfonso Bonafede, che ha annunciato al personale del Ministero della Giustizia di non voler disfare per partito preso tutto quello che è stato fatto dai suoi predecessori. Lo dimostri allora con la riforma penitenziaria lasciatagli in eredità dal piddino Andrea Orlando.

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