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Democrazia

Che cosa serve davvero all’Italia

Il commento di Gianfranco Polillo, blogger di Start Magazine L’unica cosa che l’Italia non può permettersi è perseverare diabolicamente nell’errore. Nella passata legislatura si è tentato di tutto. Le riforme istituzionali, proposte da Matteo Renzi, non hanno superato lo scoglio del referendum popolare, ma stessa sorte era toccata al governo Berlusconi nel 2006. Quindi una…

L’unica cosa che l’Italia non può permettersi è perseverare diabolicamente nell’errore. Nella passata legislatura si è tentato di tutto. Le riforme istituzionali, proposte da Matteo Renzi, non hanno superato lo scoglio del referendum popolare, ma stessa sorte era toccata al governo Berlusconi nel 2006.

Quindi una prima lezione: le riforme costituzionali – di cui il Paese ha estremo bisogno – richiedono la maggioranza relativa (i due terzi) prevista dall’articolo 138 della Costituzione. Affidarsi al referendum, al tempo delle semplificazioni dei social, è solo una pia illusione, che nasconde i limiti della classe dirigente e la sua incapacità di giungere ad una sintesi condivisa.

Altro fallimento, la riforma della legge elettorale. Finché l’impianto costituzionale resta sostanzialmente proporzionale ogni tentativo di schema bipolare é semplicemente impossibile. Lo si è visto nella Seconda Repubblica. Ancora più evidente è stato il fallimento dell’ibrido appena proposto: un po’ proporzionale (preminenza del singolo partito) un po’ bipolare (primato della coalizione). Alla fine un corto circuito che ha finora impedito la formazione di un qualsiasi governo.

Nel frattempo il ruolo puramente conservativo dei poteri forti (le grandi corporazioni amministrative-giudiziarie di cui parla Angelo Panebianco) è riuscito a mantenere il suo opaco primato. Colpa soprattutto della politica. Della sua incapacità di competere sullo stesso terreno, selezionando un personale in grado di contrastare, sul piano culturale, le posizioni dei mandarini di Stato. Chi ha avuto esperienza di governo, sa quanto sia difficile smontare un‘ortodossia amministrativa che replica l’istinto del gattopardo.

L’esperienza più antica dimostra che progressi, seppur limitati, nella governance complessiva, si sono avuti quando al vecchio potere assoluto della Ragioneria dello Stato sono stati giustapposti poteri parlamentari, come l’Ufficio del bilancio. Da allora non fu più sufficiente rispondere “parola di re”, come avveniva in precedenza.

Il confronto sui dati, disposizioni legislative, regole contabili divenne sempre più approfondito e vincolante. Realizzare quell’obiettivo fu tutt’altro che facile. Forti furono le resistenze degli apparati centrali dell’esecutivo. Ci vollero uomini come Nino Andreatta e Giuseppe La Loggia, per vincere la partita.

Ora per allora, l’insegnamento può ancora servire. La crisi italiana sta toccando il fondo. Ed è da qui che si deve ripartire. Non servono allora soluzioni rabberciate. Procedere come se nulla fosse alla ricerca di un Governo impossibile. Si prenda atto che é giunto il momento di prendere il toro per le corna. Realizzare quelle riforme minime (legge elettorale ed assetti costituzionali coerenti) che sono indispensabili e solo dopo tornare a votare.

Per fortuna aiuta la congiuntura politica. Nel 2019 saremo, comunque, chiamati alle urne per eleggere il Parlamento europeo. Abbiamo un anno di tempo ed un’occasione unica per vedere chi vuole restare nel Vecchio continente e chi se ne vuole allontanare, alla ricerca di un incerto destino.

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